«Pubblico impiego, nessuna moratoria»

«Quello che abbiamo sentito in questi giorni sul pubblico impiego è totalmente inaccettabile: all’ultimo incontro con il ministro dell’economia Padoa Schioppa, il governo ci ha fatto capire che non ci sono soldi per il rinnovo del contratto, ci propone di fatto una moratoria per il biennio 2006-2007. Se le cose stanno così, penso che sarà inevitabile mobilitarsi già da settembre». Nessuno sconto al governo, solo perché è di centrosinistra: Carlo Podda, segretario generale della Funzione pubblica, la più numerosa categoria della Cgil, disegna il prossimo «autunno caldo». Al centro, oltre al tema del contratto, anche quello della precarietà: Podda ha firmato, insieme al segretario generale della Fiom Gianni Rinaldini, a quello della Flc Enrico Panini, ad associazioni come l’Arci, e parlamentari di Prc, Pdci e sinistra Ds, Giorgio Cremaschi della Rete 28 aprile e alcuni sindacati di base, un appello contro la legge 30 (vedi sopra). La «coalizione» indice una grande assemblea per il prossimo 8 luglio a Roma. In preparazione di una manifestazione a ottobre-novembre. Parola d’ordine: «abrogare» (sì il verbo è proprio questo) la legge 30, la riforma Moratti e la Bossi-Fini, per «riscrivere» daccapo nuove leggi. Estendere i diritti, interrompendo il rischio di «continuità» rispetto al governo Berlusconi.
Cominciamo dal contratto. Vi hanno detto che non ci sono risorse?
Sì, Padoa Schioppa ha fatto capire chiaramente che vuole proporci una moratoria per questo e l’anno prossimo, non a caso fa continuamente riferimento al 1992. Allora accettammo la moratoria, ma venivamo da aumenti sostanziosi elargiti da Cirino Pomicino: oggi la situazione è completamente diversa, per rinnovare gli ultimi bienni ci abbiamo messo rispettivamente 27 e 30 mesi. Ci siamo già confrontati con Cisl e Uil: se il governo conferma questo indirizzo, non potremo far altro che convocare delegati e dirigenti e indire una mobilitazione già da settembre. Sia chiaro: abbiamo manifestato contro Tremonti, e lo stesso possiamo fare nei confronti di Padoa Schioppa.
Cosa vi aspettate dal governo?
Innanzitutto, ovviamente, il rinnovo del contratto. E non ci dicano che non possono trovare i soldi: l’ultimo rapporto del ministero della Funzione pubblica parla di ben 140 mila consulenze attivate nelle istituzioni. Ben 13 superano il milione di euro di retribuzione annua, e 35 i 500 mila euro. Le altre sono comunque molto ricche. Si alimenta il clientelismo, e non ci sono soldi per i dipendenti. Ma poi c’è l’altro tema caldissimo, quello della precarietà. Non riguarda solo i lavoratori pubblici: nel nostro settore si traduce in precarietà dei servizi al cittadino. Non si può continuare così: solo negli enti locali e nella sanità, ben il 30% dei lavoratori sono a termine in varie forme, superano i 300mila. Noi abbiamo detto: cominciamo dai centomila a tempo determinato, perché tanto non cambia il costo per lo Stato; sono contratti che durano un anno e vengono rinnovati costantemente, l’anzianità degli impiegati va dai 4 ai 12 anni. Per tutti gli altri si può pensare ad assunzioni graduali, a stock ogni anno. L’importante è dare il segnale. Francamente non capisco come questo governo voglia distinguersi da quello di centrodestra se non mette al centro i servizi al cittadino, mezzo essenziale per realizzare l’uguaglianza dei diritti e delle opportunità. Capiamo che Berlusconi, contrario all’uguaglianza tra figli di operai e di professionisti, abbia fatto politiche di smantellamento, ma dall’attuale esecutivo ci aspettiamo scelte diverse, che almeno riducano le disuguaglianze. Si parla solo di cuneo fiscale, ipotizzando di lasciare le briciole ai lavoratori, ma a campagna elettorale finita pare che non si voglia più toccare la riforma dell’Irpef: non eravamo tutti contrari al secondo modulo di Tremonti, che ha tolto 6 miliardi ai più poveri per regalarli ai ricchi? Per non parlare del fiscal drag, che aspettiamo dal 2001. Ecco, non possono pagare sempre gli stessi.
Presentate questa «piattaforma dei diritti», il prossimo 8 luglio.
Sì, proponiamo di abrogare tutte le leggi inique varate dal passato governo, a partire dalla legge 30, dalla Bossi-Fini, dalla riforma Moratti. Per riscrivere nuove leggi, sia chiaro. Per il pubblico, ad esempio, i cococò non sono stati portati dalla legge 30, esistevano anche prima: e francamente non è più tollerabile vedere collaboratori sottopagati e senza diritti lavorare fianco a fianco con i dipendenti, facendo esattamente le stesse cose, sottoposti agli stessi ritmi, orari e gerarchie. Partiamo dalle proposte di legge Cgil: riformiamo il Codice civile, sopprimendo la figura del parasubordinato e distinguendo chiaramente tra lavoratore economicamente dipendente e autonomo. Il lavoro flessibile deve essere un’eccezione, e avere salari e contributi più alti di quello a tempo indeterminato. Il tema della precarietà potrebbe esplodere presto anche in Italia, come è avvenuto in Francia. Nel pubblico ci sono già oggi lavoratori a rischio, basti pensare ai 40 mila cococò dei Comuni che non potranno essere rinnovati per gli effetti della finanziaria Tremonti.
La mobilitazione sociale è necessaria?
Credo di sì, perché per ora i segnali non sono buoni. Noi ci aspettiamo che la sinistra, tutta insieme, dia segni chiari di cambiamento. Non a caso esponenti dei partiti di governo firmano il nostro appello, e spero che la cosiddetta «sinistra radicale» sia coerente. Ma dagli stessi Ds mi aspetto che non stiano zitti: non credo affatto che siano tutti d’accordo con le linee economiche tracciate nel primo mese di governo, per quanto spesso solo dalle pagine dei giornali. Noi non deleghiamo tutto alla politica, ai partiti: se ci ascoltano, bene. Altrimenti dobbiamo farci sentire: cominciamo l’8 luglio e poi in autunno. Non staremo zitti.