«La circolare sui call center di Damiano è un’applicazione della legge Biagi». Lo dice l’ex ministro del lavoro Roberto Maroni, sulle colonne del Sole 24 ore, in questi giorni impegnato in un’aspra campagna di stampa contro il lavoro degli ispettori in Atesia: il più grande call center d’Italiasarà costretto ad assumere a tempo indeterminato 3200 lavoratori e a pagare i contributi pregressi ad altri 11 mila impiegati dal 2001. Precari assunti con varie tipologie di lavoro “autonomo” (partite Iva, cococò e cocoprò), ma in realtà “subordinati” a tutti gli effetti, inquadrati in una rigida gerarchia, sottoposti ad orari prestabiliti: “alienati”, come dice una sentenza della Corte Costituzionale, tanto dall’organizzazione della produzione quanto dal prodotto del lavoro. Nell’intervista l’esponente della Lega elogia il nuovo ministro: «Se le modifiche alla legge sono quelle di cui ha parlato Damiano (abolizione dello staff leasing e del job on call ndr) allora di fatto è una conferma. In questo contesto saremmo ben lieti di collaborare, per evitare gli stravolgimenti più ampi che vorrebbe parte del centro sinistra», conclude Maroni. La Grosse Koalition sembra dunque pronta, anche per quanto riguarda le politiche del lavoro. Con un’obiettivo molto chiaro ed ampiamente condiviso tra i riformisti del centro sinistra: lasciare intatta la legge 30 nei suoi risvolti più precarizzanti.
«Superare la legge 30», dice sibillino il librone giallo del programma dell’Unione. Per Damiano l’interpretazione più corretta della frase è chiara: non si toccano i contratti parasubordinati (i famosi cocoprò) nè il lavoro a somministrazione. E anche dinanzi alla netta smentita che proviene dagli ispettori in Atesia, tiene salde le sue posizioni: le regole sono quelle della circolare del 14 luglio: l’inbound è lavoro subordinato, l’outbound è, al contrario «genuinamente autonomo». La lotta alla precarietà, per il ministro, si fa col credito d’imposta per le imprese che assumono a tempo indeterminato e con un modestissimo (dal 18% al 21-22%) aumento dei contributi previdenziali a carico del lavoro parasubordinato, che è probabilmente andrà a ricadere sui compensi, dato che nessuna contrattazione nazionale può stabilirli. Resta aperto, invece, il nodo degli ammortizzatori sociali, la cosidetta “flex-security”, riforma del welfare state pensata per il mondo del lavoro precario. Su questo, infatti, pesa il nodo dei conti pubblici: forme di sostegno al reddito si fanno solo se c’è una copertura in Finanziaria. E per l’autunno, i fautori del rigore alla Padoa Schioppa, prevedono fragole e sangue.
Intanto si rompre anche il fronte sindacale, con Nidil e sinistra Cgil all’attacco della legge 30, e Cisl, Uil e parte della Cgil (Nicoletta Rocchi, segretaria confederale, Emilio Miceli, segretario dell’Slc) pronti ad aprire nuove trattative con le imprese, nel solco già tracciato da Damiano. La Cgil, che sulla vicenda Atesia in passato aveva preso clamorosi abbagli firmando contratti al ribasso addirittura peggiorativi rispetto alla legge 30, manca ancora di una linea precisa, di una parola chiara sulla riforma del mercato del lavoro. Eppure proprio la polemica suscitata dal caso Atesia potrebbe essere, per il più gande sindacato italiano, un’ottima occasione per ripetere le parole che Epifani disse all’ultimo congresso: la legge 30 dev’essere abrogata.