Prove d’accordo tra Hamas e Fatah

In una Gaza segnata dalla prima incursione militare israeliana dal ritiro di un anno fa, volta ad arrestare militanti dell’Intifada, ieri sera i delegati delle formazioni palestinesi si sono riuniti per un nuova sessione di colloqui sulla definizione di una «piattaforma politica nazionale». Erano attesi al tavolo delle trattative anche il presidente Abu Mazen e il premier Ismail Haniyeh (Hamas) che, per motivi rimasti oscuri, venerdì sera hanno scambiato solo qualche battuta mentre tutti si aspettavano un faccia a faccia decisivo.
«La volontà di raggiungere un’intesa che metta fine alla tensione interna non manca, le differenze politiche ed ideologiche sono secondarie rispetto all’obiettivo primario della fine dell’occupazione militare (israeliana)», ci ha detto ieri Khalil Al-Hayyah, uno dei delegati di Hamas. Non tutto però è così limpido. L’incertezza regna ancora intorno all’esito del negoziato e ad indiscrezioni che vorrebbero imminente un accordo tra il movimento islamico e il partito di Abu Mazen, Al-Fatah, ne seguono altre di senso contrario. Ieri l’agenzia di stampa palestinese Maan ha riferito che le parti hanno superato le ultime differenze e che l’intesa sarà annunciata al più presto da Abu Mazen e da Haniyeh. Hamas, sostiene l’agenzia, ha accettato che venga assegnata all’Organizzazione per la liberazione della Palestina (Olp), dove non è ancora rappresentata, il compito di negoziare con Israele e di siglare un eventuale accordo con lo Stato ebraico, che tuttavia verrà sottoposto alla approvazione, con un referendum, di tutti i palestinesi, compresi i milioni di profughi che vivono nei Paesi arabi circostanti.
L’intesa descritta da Maan tuttavia non trova conferma tra i rappresentanti delle varie organizzazioni impegnate nei colloqui (una dozzina tra partiti e movimenti, oltre ad Hamas e al Fatah del presidente Abu Mazen). Il problema dei poteri in «politica estera» dell’Olp non sarebbe risolto. Gli islamisti sanno che lasciando all’Olp la gestione totale dei rapporti con lo Stato ebraico non potrebbero far valere le loro condizioni.
Anche se da dietro le quinte vogliono diritto di parola e anche qualcosa di più. In ogni caso l’accordo di cui si parla in queste ore porterà alla revoca del referendum convocato da Abu Mazen, per il prossimo 26 luglio, sul documento dei prigionieri politici in Israele (elaborato in particolare dal detenuto palestinese più noto, Marwan Barghuti) che tra i suoi 18 punti afferma il riconoscimento implicito dello Stato ebraico. È stata risolta invece la controversia sulla lotta armata palestinese. Le parti avrebbero deciso che essa si «concentrerà» ma non si svolgerà esclusivamente nei territori palestinesi sotto occupazione militare. Una formula vaga che lascia aperta, in via teorica, la possibilità di attacchi all’interno del territorio israeliano. Hamas allo stesso tempo non pare intenzionato a rompere la tregua unilaterale con lo Stato ebraico che osserva da più di un anno.
Agli interrogativi che non hanno ancora una risposta, si aggiungono le indiscrezioni sullo scontro in atto in Al-Fatah, tra i dirigenti del partito in Cisgiordania e quelli di Gaza. I primi accusano i secondi, in particolare l’ex ministro Mohammed Dahlan e il segretario Samir Masharawi, di aver ceduto alle pressioni di Hamas e di aver deviato troppo dalla linea del documento, allo scopo di garantirsi un ministero nell’esecutivo unità nazionale che dovrebbe nascere una volta raggiunta l’intesa tra tutte le fazioni. Accuse che si scontrano con la ferma intenzione di Hamas di rinunciare al governo solo in cambio della formazione di un gabinetto composto di tecnici e non da personalità politiche.
Intanto ieri sera il portavoce di Hamas Sami Abu Zuhri ha negato che i due militanti arrestati ieri mattina a Rafah dalle truppe israeliane facciano parte del movimento islamico anche se sono figli di un attivista locale di Hamas. Testimoni hanno raccontato che le forze di occupazione hanno fatto irruzione in una casa 700 metri a est di Rafah e sono andati via dopo un’ora con i due presunti militanti islamici. Il mese scorso vi era stato uno sconfinamento di soldati israeliani a nord di Gaza city che avevano ucciso due palestinesi.