Le condizioni di vita dei circa 1.600.000 rifugiati palestinesi nei Territori occupati non sono mai state così drammatiche negli ultimi 40 anni, dall’inizio dell’occupazione israeliana nel 1967. Tre giorni fa l’Unrwa, l’Agenzia delle Nazioni Unite che assiste i profughi, ha lanciato un appello per lo stanziamento di 246 milioni di dollari per far fronte alla crisi, frutto – secondo l’agenzia – dell’occupazione israeliana, ma anche dalle sanzioni all’Anp varate dal Quartetto dopo la vittoria elettorale di Hamas. Ne abbiamo parlato al telefono con Matthias Burchard, capo ufficio dell’Unrwa a Ginevra.
Denunciate livelli di povertà tra i profughi mai registrati dal 1967. Cosa intendete di preciso?
Negli ultimi quarant’anni non si è mai raggiunta una situazione simile: l’economia, l’assistenza sanitaria, la fornitura di cibo, l’accesso al mercato del lavoro non sono mai stati tanto disastrati. Questa situazione di estrema povertà è certificata dalla Banca Mondiale e dall’Ufficio centrale di statistica palestinese. Nel 2000 i palestinesi avevano un reddito pro capite annuo di 1.600 dollari, oggi circa 650. L’occupazione militare ha portato il degrado a un livello inedito: oltre 500 ostacoli (check point, posti di blocco temporanei) hanno paralizzato l’economia di Gaza e della Cisgiordania. All’inizio dell’occupazione, nel 1967, i palestinesi potevano anche andare in spiaggia a Tel Aviv. Per descrivere la Cisgiordania non va più bene la metafora della groviera, né dei bantustan: a causa di blocchi e insediamenti oggi abbiamo un cancro. Un corpo malato estremamente frammentato, senza continuità tra le sue parti.
In che modo le sanzioni dell’Unione europea – principale donatore del Quartetto – colpiscono i rifugiati?
In maniera terribile. Va ricordato anche che l’embargo è stato decretato senza alcun mandato da parte delle Nazioni Unite. Grazie all’educazione che hanno ricevuto in passato dalla nostra agenzia, molti profughi sono riusciti a ottenere un impiego pubblico. Su 165.000 dipendenti che non ricevono da mesi lo stipendio a causa delle sanzioni, 76.500 sono rifugiati. Inoltre questi ultimi sono quelli che hanno le famiglie più numerose, il che moltiplica l’impatto negativo dell’embargo. Un gran numero di persone un tempo indipendenti oggi torna a rivolgersi all’Unrwa per i propri bisogni primari.
Per attutire l’effetto delle sanzioni l’Ue ha varato il Meccanismo internazionale temporaneo (Tim). Ritiene sia sufficiente?
Assolutamente no. È la stessa Unione Europea ad ammettere che il Tim (112 milioni di euro contro gli oltre 500 milioni pre-sanzioni, che coprono parzialmente i bisogni di 70.000 dipendenti pubblici, ndr) serve solo ad evitare che la gente muoia di fame e non a rimpiazzare il meccanismo di finanziamento pre-embargo. Fino a quando la Comunità internazionale potrà tollerare questa situazione? Non voglio entrare in questioni politiche, ma Hamas (la causa ufficiale dell’embargo, ndr) ha abbracciato il processo democratico e rispetta da due anni una tregua unilaterale.
Per il governo italiano non è il momento delle conferenze di pace, ma della «politica dei piccoli passi» del premier Prodi.
Guardiamo i tentativi passati. La politica del passo dopo passo finora non ha mai dato frutti: è stato così con Oslo, Taba, Oslo II, Hebron, Why River. Soltanto gli approcci onnicomprensivi, quelli che mettono i protagonisti attorno a un tavolo alla ricerca d’una soluzione condivisa, hanno prodotto frutti. È il caso della conferenza di Madrid del 1991, che ha portato alla pace con la Giordania e messo in moto iniziative di pace.
Come mai nelle trattative i profughi rappresentano sempre l’ultimo capitolo?
L’ultimo, ma non il meno importante. Voglio ricordare che la bussola per la risoluzione del problema dei profughi è la risoluzione 194 delle Nazioni Unite, quella che dà loro il diritto al ritorno nelle terre da cui sono stati cacciati e a compensazioni. In questo momento sono la parte più debole proprio perché nessuno sta cercando un approccio complessivo al conflitto arabo-israeliano. Solo se si metteranno assieme i pezzi del puzzle allora al suo interno s’incastrerà anche la questione dei rifugiati.