Il leader in pectore chiede elezioni anticipate, con l’appoggio di Fassino. Promette di «cancellare la precarietà nella legge Biagi» e sfida Bertinotti: «la vera battaglia è tra noi due. Chi vince decide»
«Le elezioni anticipate servirebbero talmente tanto che penso non ci saranno». Ostenta sicurezza Romano Prodi nell’affrontare l’avvio della campagna elettorale, per le primarie e non. E lancia una linea su cui in serata lo seguirà anche il segretario dei Ds Piero Fassino: quello delle elezioni anticipate, subito, entro la fine di ottobre. Mossa che, se fosse praticabile permetterebbe di usare la campagna per le primarie anche per il voto vero e proprio. Invitato al meeting di Cernobbio, il leader in pectore dell’Unione spazia con i suoi commenti dalla politica- politicante alle scelte di strategia economica. Con tanto di apertura a sinistra sulla Legge 30 e sulla sua «parziale abrogazione», tema forte della campagna per le primarie di Bertinotti: «Nella legge 30 c’è un aspetto di continuità nella linea che avevamo voluto noi di aiuto alla sperimentazione del lavoro da parte dei giovani, quella parte va lasciata, tutte le altre regole che introducono sostanzialmente una precarietà totale vanno tolte perché questa precarietà è fonte di un nuovo abbrutimento del lavoro». Come farà a salvare lo spirito della legge 30 estirpando le norme principali Prodi non lo spiega, ma la presa di posizione farà testo comunque.
Tanto più che il guanto della sfida è lanciato proprio contro Fausto Bertinotti. In modo, va da se, di bruciare tutti gli altri che di certo toglieranno voti soprattutto al leader bolognese: «Il fatto che i candidati si moltiplichino è un bene, il bello delle primarie è che uno si alzi e dica “io me la sento” ma la gara è con Bertinotti e chi vince elaborerà il programma, tenendo conto delle istanze di tutti ma senza mediazioni». Insomma «la primaria è fatta apposta per stabilire chi dovrà fare il programma nelle sue linee generali e a metà dicembre avremo una assemblea che l’approva o non l’approva, se l’approva viene tradotto in termini tecnici e portato alle elezioni di aprile, maggio o giugno dell’anno prossimo». Qualche altro punto di un eventuale programma Prodi ce l’ha già. Ad esempio la cancellazione delle «leggi ad personam»: «Se mi chiedete se cancellerò tutto vi rispondo di no, salvo le leggi ad personam fortemente inique per la democrazia, il resto va esaminato». Più cauto il giudizio sui conti pubblici lasciati dalla destra. Il buco nero potrebbe esserci, ma prima di sbilanciarsi in giudizi l’ex presidente dell’Iri dice di voler vedere con chiarezza assoluta i conti reali con cui si chiude la legislatura «anche perché l’ultimo anno è sempre il più pericoloso in termini di conti pubblici e poi sono finiti i condoni. L’unico ancora possibile, forse, è quello sulla patente a punti».
Bertinotti, pure lui a Cernobbio, non fa attendere le proprie risposte. Non a Prodi anche se la sua posizione su quanto e come bisognerà mediare sul programma dopo le primarie è nota a tutti. Ma a Veltroni e alla sua idea, espressa sulle pagine de la Repubblica, di mettere Bill Clinton a capo di una nuova Internazionale dei democratici e dei socialisti di cui dovrebbero far parte tutte le «sinistre» mondiali, da Blair all’Unione italiana. «La nuova internazionale su cui bisognerebbe che investano tutti quelli che hanno a cuore la pace è quella dei movimenti no global», risponde il segretario di Rifondazione comunista. «L’unica cosa che esiste a livello mondiale è l’internazionale dei movimenti che è quella nata a Seattle, si è sviluppata a Porto Alegre e poi a Genova ed ha costruito un grande cammino per una nuova generazione politica». L’unità dei «riformisti» lo convince poco: «E’ un termine che non è riuscito neanche a costruire il collante tra chi si diceva e si dice riformista in Italia, parlo della Margherita e dei Ds, figuriamoci se può costituire un collante nel mondo».
Dall’altra parte della penisola, a Telese, Clemente Mastella si prepara a sciogliere le riserve: oggi dovrà dire se si candiderà alle primarie oppure no anche se la decisione appare piuttosto scontata. Nell’attesa ha aperto le porte a Ivan Scalfarotto il candiato indipendente rifiutato dalla festa dell’Unità che gli ha vietato di raccogliere le firme all’interno dei suoi spazi. «Non mi piace questa idea non democratica – ha detto Mastella – che stiamo vedendo in questi giorni. Scalfarotto mi è distante, ma quando leggo che i Ds chiudono le porte delle loro feste e non gli fanno raccogliere le firme allora dico che non è una cosa democratica».