Tappare le falle di una diga che fa acqua da tutte le parti è impresa improba anche per un Professore come Romano Prodi. La maggioranza
ieri ha fatto acqua non al senato (come è quasi ovvio) ma alla camera, dove Udeur e radicali hanno votato contro il governo su un emendamento marginale al decreto legge sulla sicurezza stradale. Un modo indolore per segnalare al presidente del consiglio e gli altri naviganti che gli «incidenti» ormai possono venire da tutte le parti.
Dopo la quasi rottura di mercoledì il presidente del consiglio è impegnato in una trattativa condotta a tutto campo su ben tre tavoli – istituzionale (Quirinale e camere), politico (maggioranza) e tecnico (via XX settembre). Con ogni probabilità il negoziato febbrile non si scioglierà nemmeno nel consiglio dei ministri che inizierà oggi pomeriggio. Viste le premesse sarà di sicuro una seduta fiume, che si concentrerà però solo sulla manovra «light» da 10 miliardi. Perché, a quanto si apprende, il collegato sul welfare (pensioni e lavoro) verrebbe discusso a palazzo Chigi solo dal 15 ottobre. Una politica dei «due tempi» che potrebbe addolcire animi quanto mai tesi.
Sulla tassazione delle rendite infatti Prodi tiene duro: non sarà in finanziaria perché «non ci sono le condizioni internazionali per farlo». Al massimo c’è la disponibilità a presentare un apposito ddl entro il 2008.
Nelle difficoltà, a volte, si vedono le cose più impensate. Nella lunga notte di mercoledì a palazzo Chigi, infatti, in soccorso alla sinistra sono arrivati, un po’ a sorpresa, tutti i leader del partito democratico presenti al vertice: Fassino, ma anche Rutelli e Franceschini. «Sono molto fiducioso. Sarà una buona finanziaria, molto leggera dopo tanti anni
in cui gli italiani si vedevano arrivare stangate», ha detto ieri sorridente il vicepremier della Margherita. E a chi gli chiedeva delle richieste arrivate dalla sinistra ha replicato infastidito: «Basta. Vi ho detto tutto. Pensate un po’, pure la verità». Parole sdrammatizzanti sono venute anche dal segretario Ds. In coda al vertice di mercoledì sarebbe stato proprio l’intervento dei leader del Pd (definito da alcuni partecipanti come «molto deciso») a far desistere un premier fin lì tetragono a qualsiasi ipotesi di mediazione. Un pressing che ha obbligato il Professore a provare a ricucire con la sua maggioranza.
La crisi di governo è più che possibile quasi probabile. E di certo non è da escludere prima della finanziaria. Ma il Pd non ha alcun interesse a cadere in una trappola parlamentare prima delle sue primarie.
Colto in mezzo al guado il nascituro partito è il primo che rischierebbe di affogare. Così non stupisce che lo schema «moderati-radicali» scricchioli un po’. I più delusi dalla contabilità di Padoa Schioppa sono stati infatti i ministri Mussi e Fioroni, quasi furiosi per i tagli alla scuola e all’università. Prodi ieri si è impegnato personalmente a reperire più risorse. «Se la voto sapremo se la svolta è stata positiva», avverte Beppe Fioroni.
Di buon mattino, in senato, tutti i leader della sinistra (Diliberto incluso, a differenza di ieri) si sono di nuovo riuniti per tenere il punto sulle proprie richieste. «Ci aspettiamo che Prodi accolga e discuta le nostre proposte prima del consiglio dei ministri per arrivare a un lavoro collegiale e a una condivisione» hanno detto sia Fabio Mussi (Sd) che Franco Giordano (Prc). In una telefonata al leader di Rifondazione Prodi avrebbe confermato segni di disponibilità ma senza scoprire più di tanto le sue carte. Soddisfare le richieste deEa sinistra costerebbe all’incirca un miliardo di euro. Soldi non impossibili da reperire anche senza le rendite finanziarie.
In un quadro simile il passaggio che si presenta davanti al premier pare estremamente stretto. «Non è accettabile – ha messo in guardia il capogruppo deU’Udeur alla camera Mauro Fabris – che qualche ministro si astenga o esca in consiglio dei ministri: se venerdì non dovesse esserci unanimità dovremmo invitare Prodi a prendere atto che non c’è la maggioranza». Potrebbero essere parole profetiche. Soprattutto se, come pare, Lamberto Dini uscirà allo scoperto, magari già oggi, per dettare le sue condizioni a tutta la maggioranza. Tutti i «boatos», non a caso, lo danno già per passato alla corte di Berlusconi