Prodi molla i Dico «Doverosa libertà di coscienza»

«Il governo è come la torre di Pisa, pende ma non cade». A fine giornata e fiducia acquisita Clemente Mastella esulta. Il governo supera con il doppio margine richiesto dal Quirinale (maggioranza politica degli eletti e maggioranza assoluta con i senatori a vita) la prova del senato. Ma il prezzo, per le sinistre, è salato. La svolta del Professore sui diritti civili non potrebbe essere più solare: poche parole sui Dico, un intero capitolo dedicato alle «politiche per la famiglia» e agli asili nido. «Sui Dico – dice il Professore nella sua replica – voglio essere molto chiaro, il governo ha presentato il ddl in parlamento e con questo ha esaurito il suo compito. Mi attendo un dibattito sereno, approfondito, rispettoso di tutti, per cercare soluzioni condivise. Un tema così delicato del resto va affrontato senza preclusioni e con un doveroso margine alla libertà di coscienza».
L’irritualità di un presidente del consiglio, non un segretario di partito o un capogruppo, che lascia libera la sua maggioranza ha ben pochi precedenti formali anche nei coloriti governi italiani. Nella sostanza si può spiegare solo come una rassicurazione non rivolta ai «centristi» o ai cattolici di entrambi i poli ma come una risposta spedita direttamente Oltretevere, una rassicurazione inequivoca sull’atteggiamento del premier e del suo governo.
I musi lunghi dentro e fuori l’aula di palazzo Madama parlano più di mille dichiarazioni. La consapevolezza che la crisi non è finita è palpabile. I nodi della maggioranza infatti erano e restano intatti.
Non è stato il ’98, come qualcuno temeva o auspicava ma una crisi «nuova» quella consumatasi in senato. Sebbene molti protagonisti siano gli stessi Prodi è rimasto in piedi. E anche se con meno «sex appeal» vuole la guida della maggioranza e delle inevitabili «trattative» con l’opposizione. La vera chiave unificante della due giorni di passione unionista è infatti la ricerca di «soluzioni condivise», ipotesi che il solo Follini prepara ma non garantisce.
In aula il presidente del consiglio si è rivolto a tutto campo in più occasioni, e non a caso anche sulla legge elettorale: «E’ un problema condiviso da tutto il parlamento, c’è una larga convergenza sul bisogno di garantire quella governabilità che l’Italia non ha avuto e sul diritto dei cittadini a scegliere». Per questo, conclude, «si può pensare che al più presto vi sia un atteggiamento condiviso per il cammino del progetto di riforma».Già di primo mattino il Professore ha sgombrato il campo da equivoci: niente «bicamerali» all’orizzonte e nemmeno un «luogo» preciso dove discutere. Ma il messaggio implicito per orecchie accorte è che non bastano, come ripetono gli stati maggiori di Ds e Margherita, le due commissioni affari costituzionali. Presiedute da Enzo Bianco al senato (Dl) e Luciano Violante alla camera (Ds), sono entrambi «luoghi» in cui Prodi non potrebbe esercitare se non di rimessa la sua influenza. Comprensibile che voglia spostare «altrove» una trattativa complicata ma decisiva per tutto l’assetto politico.
Nel centrodestra, infatti, circola da giorni l’ipotesi di una sorta di «non belligeranza» che porti alle urne nella primavera del 2008. Con un orizzonte temporale così stretto, le riforme da mettere in cantiere sarebbero giocoforza limitate e si tradurrebbero in una riforma del «porcellum» di Calderoli solo per il premio di maggioranza del senato, portandolo a una ripartizione dei seggi nazionale e non più regionale così da garantire un premio più ampio alla coalizione vincitrice in tutto il paese. «Ciampi la bocciò perché la riteneva incostituzionale ma Napolitano potrebbe pensarla diversamente», suggeriscono ora dal centrodestra. «Nel suo intervento Prodi ha sbattuto la porta in faccia ai referendari parlando di coalizioni e non di partiti e ai giochini Ds-Udc bocciando il modello tedesco: ciò vuol dire che la riforma elettorale è più vicina», commenta soddisfatto il leghista Roberto Calderoli. E’ difficile, però, varare una nuova legge elettorale contro il primo partito di opposizione. E Forza Italia, per ora, non ha ancora deciso che fare. Questa legge, che indica un premier e una coalizione prima del voto, è in fondo quella che più conviene ai «duellanti» Prodi-Berlusconi così in bilico nelle proprie coalizioni.
Su un punto solo, infine, il premier non cerca soluzioni condivise: la politica estera. Il voto sull’Afghanistan si avvicina e allo stato è pressoché certo (Turigliatto dixit) che l’agognata «autosufficienza» della maggioranza non ci sarà. Il cerchio attorno alle sinistre continua a stringersi e Rifondazione stavolta si sfila: «Credo che riusciremo a garantire l’autosufficienza anche in politica estera – avvisa Franco Giordano in serata – e non parlo di maggioranza politica o numerica ma della maggioranza che esprime l’aula del senato». Niente discriminanti sui senatori a vita. I sì supereranno i no: la politica estera, del resto, è il terreno di maggior «condivisione» tra i poli.