«Prodi entri in campo e ci guidi contro la Finanziaria»

ROMA – Si prepara al vertice di domani con una certa dose di preoccupazione, «perché o la grande alleanza democratica nasce adesso o rischia di stropicciarsi, di proporsi come uno stato di necessità, non come un progetto». E Fausto Bertinotti teme «l’ incrinatura» che si è prodotta dall’ estate all’ inizio dell’ autunno con l’ opinione pubblica: «Allora si era creata una forte aspettativa, ma non si è saputo raccogliere le spinte di lotta che venivano dal Paese. Al vertice dovremo presentarci sapendo che si corre un grave rischio: quello di essere investiti – come nella fase girotondina – da una mozione di sfiducia che parte proprio dal popolo delle opposizioni». Ed è indicativo che i timori del segretario di Rifondazione si concentrino sul primo incontro con Romano Prodi e i leader del centro-sinistra. «La riuscita del vertice si misurerà con l’ orologio: andrà bene se riusciremo a discutere per ore su come si fa la battaglia alla Finanziaria di Berlusconi, dedicando un quarto d’ ora alle primarie. Altrimenti…». Bertinotti spiega perché la coalizione «deve nascere ora»:

«L’ approssimarsi della manovra economica sta evidenziando la crisi che ha investito il blocco sociale del Polo. Dall’ altra parte, pezzi del mondo che guardano alle opposizioni offrono il loro contributo per costruire un impianto programmatico alternativo. Penso all’ Arci, alla Cgil. Sono loro a mettere in agenda l’ abolizione della legge Bossi-Fini, della riforma Moratti e della legge 30. La Cgil chiede addirittura che nel mercato del lavoro il contratto a tempo indeterminato torni a essere regola, riducendo la flessibilità ad eccezione. Non si tratta di una spinta indifferenziata all’ unità delle opposizioni, ma a un progetto programmatico radicale».

Al momento i nodi programmatici sono stati accantonati per evitare divisioni. «Non nego sia davvero difficile trovare un’ intesa. Ecco perché chiedo a Prodi di entrare nell’ attività politica guidando nel Paese l’ opposizione alla Finanziaria di Berlusconi. Così si fanno le prove generali e nel frattempo si costruisce un programma comune. Finora invece c’ è stato un deficit politico della coalizione, che è ancora la somma dei partiti delle opposizioni. Dunque è incapace di azione. Il fatto è che – mentre intorno a noi accadeva di tutto – è prevalsa una discussione sugli assetti, invece di confrontarci per decidere “che fare”. E’ un errore, e mi auguro che al vertice i partiti e il leader della coalizione correggano la rotta. Prodi deve prendere in mano la guida dell’ opposizione oggi per essere efficace nella definizione del programma domani». La sua insistenza è dettata dal timore di perdere per strada pezzi del suo elettorato? «Questo è l’ epifenomeno di un tema più generale: non è che se non facciamo una piattaforma programmatica avanzata, io non riuscirò a convincere i riottosi di Rifondazione. Noi tutti non convinceremo le parti più dinamiche della società. Il Prc non è quindi il problema, ma la spia del problema che ha la coalizione. Ecco perché serve l’ unità. E investire sull’ unità significa investire sulla radicalità». A fronte della «radicalità» di alcune sue idee, come la patrimoniale e la creazione di un ministero per la Programmazione, Francesco Rutelli le propone un nuovo patto, che non dev’ essere però un remake dell’ «assistenzialismo anni Settanta». «Lo schema di proposta avanzato da Rutelli non mi convince, perché contiene l’ illusione che i meccanismi di accumulazione restino inalterati e che si possano temperare con delle misure di protezione. Ma, ripeto, nel frattempo pensiamo a un’ azione comune contro il governo Berlusconi. Oggi».

Nel piano di «azione comune» inserisce anche la mozione parlamentare per il ritiro delle truppe dall’ Iraq? Perché Piero Fassino le chiede di attendere il voto americano e quello iracheno. E’ disposto a spostare tutto a gennaio? «Sarebbe un errore gravissimo e dunque faremo il possibile per far iscrivere subito all’ ordine del giorno della Camera la discussione e il voto sul ritiro delle truppe. Anche perché nessuno dei passaggi indicati sarà influente sulla dinamica del conflitto. La verità è che il tentativo di procrastinare i tempi cela i problemi irrisolti nella coalizione».

Lei parla di problemi politici, Massimo D’ Alema teorizza invece che «è in atto una campagna contro Prodi». «Non vedo una campagna, piuttosto la freddezza di alcuni ambienti dell’ establishment di centro-sinistra. Questi ambienti sono preoccupati che l’ alleanza sia sbilanciata a sinistra. Ecco perché si innescano meccanismi di tensione, che non sono diretti contro Prodi, servono semmai a incalzarlo, perché accetti in qualche modo un discorso quale quello della nuova Confindustria». Le primarie potrebbero fargli superare le difficoltà? «Credo non sia necessario farle, perché non esistono alternative a Prodi. Tuttavia, se la questione verrà posta, siccome sono uomo d’ onore, mi candiderò. E’ una questione di deontologia democratica: non si può fare una competizione che non preveda almeno due competitori». Una sua candidatura però farebbe fibrillare l’ alleanza. I Ds, per esempio… «Ma nooo. Fossi in loro, le vivrei come un evento fisiologico. Siccome prima della competizione, ci dovrebbe essere una dichiarazione d’ intenti comune, in base alla quale chi vincerà coordinerà il tavolo per il programma, mi chiedo perché le primarie dovrebbero essere drammatiche. Piuttosto facciamole presto. Prima delle Regionali». Se le Regionali andassero male, verrebbe posta in discussione la leadership di Prodi? «Dovessi rispondere diplomaticamente direi che le elezioni non andranno male di sicuro. Come caso di scuola, penso comunque non verrebbe messa in discussione la candidatura di Prodi, a meno di non capire che ciò aprirebbe grandi problemi nel centro-sinistra. Perciò ritengo che Prodi sarà il candidato». E il «candidato» vorrebbe presentarsi alle Politiche con il simbolo dell’ Ulivo, che – dice – «è inutile cambiare, siccome piace alla gente». «No. L’ Ulivo è stato il simbolo con cui il centro-sinistra si è presentato alle passate elezioni. Alle prossime, la “Grande alleanza democratica” non avrà come marchio l’ Ulivo, ma dovrà dotarsi di un nuovo simbolo da definire insieme».