Prodi: «Dico no a un colpo di teatro come quello di Zapatero in Spagna»

Con il ministro della Difesa Martino che plaude alla «svolta» di Fassino per il rientro delle truppe italiane dall’Iraq concordato con la Willing Coalition, l’ombra dell’inciucio torna ad allungarsi sull’Unione. Nulla di concordato, in realtà, tengono non a caso a far sapere dalla Quercia. Ma l’iniziativa con la quale il segretario diesse definisce un profilo di governo per il maggior partito della coalizione, non a caso su un tema quale la politica internazionale, è stata ieri allargata dallo stesso leader dell’Unione. Prodi ieri ha scelto di parlare direttamente all’interlocutore americano, concedendo un intervista al settimanale Newsweek, al quale fa sapere che, se vincerà le elezioni, «decideremo un’agenda per il ritiro delle nostre truppe», ma di certo «non farò colpi di teatro alla Zapatero». Un’inziativa dunque non unilaterale, come fu nel caso spagnolo, ma concordata con Inghilterra e, soprattutto, Stati Uniti. Il tutto, «la prossima primavera», dopo appunto le politiche italiane. Anche se, aggiunge Prodi, «forse al momento delle elezioni non ci saranno più truppe italiane in Iraq». Un chiaro riferimento al fatto che il governo di centrodestra sta già valutando per proprio conto il ritiro. Posizioni aperte a quello che il presidente iracheno Talabani dirà oggi nell’incontro che avrà con i leader del centrosinistra. «Il 2006 potrebbe essere l’anno della transizione post-guerra», dice Fassino anticipando quello che si sa essere da oltre un anno il desiderio del nuovo governo di Baghdad, che a tutti, a cominciare dagli americani e dal ministro Martino, ha chiesto il progressivo rientro delle truppe, non appena se ne verificheranno le condizioni: il passaggio delle elezioni parlamentari del prossimo 15 dicembre, se esse non subiranno uno slittamento, sarà determinante. E tuttavia ieri Fassino è sceso in dettaglio: «Il rientro delle forze dall’Iraq non significa un rientro immediato, in ventiquattr’ore». Effettivamente anche il rientro annunciato da Zapatero, avvenne poi com’è logico a scadenza graduata. Tuttavia, nonostante la sostanza, se la «svolta» di Fassino mette in fibrillazione l’Unione, e ancor più quella di Prodi, anche se con l’«attenuante» di avere come interlocutore prioritario proprio gli americani. Non a caso a Newsweek Prodi, ricordando di essere «sempre stato convinto che la guerra in Iraq avrebbe danneggiato i nostri interessi e quelli del mondo intero», sottolinea di aver avuto da premier italiano e poi da presidente della Commissione europea «una significativa esperienza di cooperazione con due amministrazioni americane, con le quali ho lavorato fianco a fianco trovandoci in disaccordo su una questione sola:l’Iraq». Indiscrezioni di fonte governativa italiana, circolate dopo l’incontro Bush-Berlusconi, attribuivano infatti al presidente americano un giudizio di vantaggio politico per Berlusconi nel battere il competitor alle prossime politiche, proprio perché si trattava di Prodi. E dunque, accreditarsi come interlocutori affidabili, è doppiamente necessario. Rifondazione sale immediatamente sugli scudi, «noi stiamo a quello che Prodi ci ha detto in piazza, non è possibile alcun arretramento da quella posizione», dice Franco Giordano di Rifondazione. Ovvero «ritiro subito dall’Iraq». La tensione è destinata a salire nei prossimi giorni. E anche per questo dal quartier generale di Prodi si getta acqua sul fuoco: «Una posizione non nuova, quella del Professore». Di certo però non esplicitata ieri nel primo pomeriggio, durante il rituale vertice del lunedì sull’Unione, al quale mancavano sia Bertinotti che Rutelli. Al di là delle posizioni di bandiera il come e il quando del ritiro non potrà che avvenire che attraverso un calendario concordato, quantomeno, con quello che l’anno prossimo sarà il legittimo governo di Baghdad. «In modo tale che il rientro dei soldati dall’Iraq possa avvenire in modo ordinato, consentendo alla democrazia irachena di continuare a procedere», come dice Fassino.