PRODI: amico o nemico di Bush? Sicuramente subalterno agli USA

La lettera di Romano Prodi, pubblicata domenica scorsa (20/02/05) su Repubblica, ha suscitato scalpore soprattutto per quel saluto conclusivo, con cui l’ex presidente della Commissione Europea ha accolto l’arrivo in Europa di Bush: “Welcome, Mr. President”.
Molti hanno sostenuto che queste parole di Prodi rappresentano un significativo cambio di atteggiamento in politica estera. Di fronte a tale situazione, sembrava ovvia una decisa reazione da parte del segretario di Rifondazione Comunista, il partito dell’Unione che dovrebbe essere sulle posizioni più intransigenti di opposizione al governo di guerra statunitense.
Ma qual è stata la reazione di Bertinotti? Non solo non c’è stata, ma, al contrario, il nostro segretario ha completamente giustificato l’atteggiamento cordiale di Prodi, dando l’impressione che sia stato proprio lui, invece, ad aver cambiato linea nell’ambito della politica estera. In un’intervista pubblicata sul Corriere della Sera martedì 22 febbraio, infatti, Bertinotti ha commentato questa “nuova” uscita di Prodi, sostenendo che non si possono confondere le cortesie della diplomazia internazionale (definite “guanto di velluto”) con la linea che si deve adottare in politica estera.
Non contento, dopo aver sprecato nuovamente parole di elogio nei confronti del leader dell’Unione, come se dovesse continuamente offrire prove di fedeltà (“Lui viene da una cultura fortemente segnata dal dossettismo; in Italia i cattolici democratici si sono sempre caratterizzati con il dialogo interreligioso, il lavoro per un Mediterraneo di pace, il rapporto con i Paesi arabi, l’idea di un mondo estraneo alla logica delle grandi potenze. Ora si aggiunge l’influenza dei movimenti pacifisti. Ecco, Prodi esprime in maniera contenuta tutto questo nuovo popolo…” – sic!), ha anche sostenuto di aver cambiato idea su Sharon, uno dei peggiori guerrafondai e criminali di massa presenti sulla faccia della terra: “Riconosco che in Sharon è avvenuto un cambiamento (…) È bene incoraggiare, certo senza però rinunciare a mantenere un occhio critico”.
Basta l’ “occhio critico” con uno come Sharon?
Ritornando alle aperture di Prodi, nessuno ha chiesto a Bertinotti (ma a noi piacerebbe saperlo!), cosa pensi non solo di quel “welcome” riferito a Bush, ma anche del resto della lettera pubblicata su Repubblica domenica scorsa, di cui nessuno, soprattutto, a sinistra, è sembrato accorgersi: come se fossimo già rassegnati a turarci completamente il naso, pur di non mettere a repentaglio il clima di serenità ed unità all’interno dell’Unione (che si appresta ad affrontare le elezioni regionali con la totale subalternità di Rifondazione!).
Prodi, infatti, nella sua lettera, fra le altre cose, ad esempio scrive che “Nei miei cinque anni e mezzo di Bruxelles (…) l’America e’ stato un punto di riferimento ed un interlocutore costante. In tutti i campi nei quali ha potuto presentarsi unita l’Europa e’ stata per gli Stati Uniti un partner serio, cooperativo e affidabile: dalla tutela della sicurezza dei trasporti aerei e marittimi ad una collaborazione sempre più stretta nella lotta contro il terrorismo, dalla soluzione di gravi controversie commerciali fino alla cooperazione tra il sistema satellitare europeo Galileo e il Gps americano. (…)
Quando abbiamo trovato una volontà comune e su questa base la Commissione ha potuto negoziare, abbiamo rapidamente trovato un’intesa rispettosa degli interessi e della dignità delle due parti”. Se non lo fa Bertinotti, proviamo noi a fare alcune domande al leader dell’Unione: vorremmo sapere cosa pensa il signor Prodi della guerra in Kosovo e contro le popolazioni della ex – Jugoslavia? Dei 20 morti del Cermis causati dall’aereo militare americano che tranciò i cavi della funivia il 3 gennaio del 1998? Delle armi atomiche presenti sul nostro territorio nazionale e di proprietà statunitense?
Queste ed atre 100 domande si potrebbero fare a Prodi per capire come si muoverà in politica estera a capo di un probabile futuro governo di centro-sinistra, che si preannuncia appiattito non sulle posizioni di Rifondazione Comunista (come qualcuno va blaterando), ma su posizioni di fedeltà agli Stati Uniti d’America, di cui non si mettono mai in discussione gli elementi più significativi della loro arroganza imperialistica, altro che “Welcome”…
È per questo che diventa fondamentale l’appuntamento del 19 marzo prossimo, quando il popolo mondiale contro la guerra scenderà nuovamente nelle piazze per chiedere la fine dell’occupazione militare del territorio irakeno. Come comunisti, abbiamo il dovere di scendere quel giorno a Roma per sostenere ancora più nettamente la Resistenza del popolo irakeno e per chiedere senza esitazioni di sorta il ritiro immediato delle truppe militari italiane da uno stato che deve autodeterminarsi e che vuole vivere in Pace.
È per questo che ribadiamo la necessità di una mobilitazione permanente non solo contro la guerra, ma anche contro la presenza militare imperialista statunitense sul nostro territorio nazionale: il rifiuto delle basi – NATO deve essere un elemento prioritario delle nostre lotte, così come l’opposizione ad ogni tentativo di edificazione di nuove infrastrutture militari (foriere di terrore e morte) per conto degli Usa. Questa è la volontà del popolo della Pace, che dovrebbe essere completamente rispettata da una coalizione politica in cui è presente Rifondazione Comunista.