L’esito del referendum è inequivocabile, è un risultato mai raggiunto… I sì esprimono la condivisione sui contenuti dell’accordo, ma anche la fiducia nel sindacato, volontà di dare ad esso forze e autorità, fiducia nelle possibilità di cambiamento, riconoscimento di aver fatto quanto possibile. Ha vinto un’idea alta di responsabilità, autonomia e unità, solidarietà, coraggio di rischiare, un’idea alta di confederalità». Il segretario Cgil Guglielmo Epifani ha rivendicato il sì al protocollo, tanto più che «la trascrizione finale del testo corrisponde e in alcuni casi» ne «chiarisce meglio i contenuti, consentendo anche di superare alcune delle riserve espresse al momento dell’accordo». Il direttivo della Cgil, aperto dalla relazione del segretario, si concluderà oggi con una risoluzione che, date le premesse, ben difficilmente sarà unitaria. Premesse pesanti per i reprobi del no al protocollo, aria da processo politico. Sotto processo, per ordine: 1) la Fiom, che «ha compiuto una scelta mai fatta prima esprimendosi per il no e con questa formalizzazione il referendum è diventato di fatto anche una contrapposizione fra una categoria e le confederazioni»; 2) Lavoro e società, l’area programmatica che ha compiuto l’errore di partecipare «alla manifestazione del 29 settembre», promossa da decine di Rsu contro il protocollo del 23 luglio, e siccome Lavoro e società «partecipa alla maggioranza congressuale… è una questione di cui dobbiamo discutere senza finzioni e ambiguità»; 3) chi ha lanciato «le accuse di brogli. Innestare questa polemica è stata una scelta studiata e costruita tanto dentro che fuori dalla Cgil», un «tentativo di delegittimare il voto… è una responsabilità grave, che resta tutta a carico di chi, per sostenere interessi di parte, non ha voluto pensare al bene dei lavoratori e dei pensionati». Leggasi Giorgio Cremaschi.
Il gruppo dirigente dei meccanici è nel mirino, mentre per Nicolosi (coordinatore di Lavoro e società) e Cremaschi {Rete 28 aprile) qualcuno parla addirittura di provvedimenti disciplinari. La Fiom – con le sue colpe – sarà oggetto di dibattito politico in tutte le categorie e nei regionali Cgil per due mesi e si concluderà in un nuovo direttivo nazionale. «La particolare sensibilità della Fiom rappresenta una ricchezza per la Cgil – ha detto Epifani – ma guai se si allenta lo spirito della confederalità e se non si affronta subito questo nodo le questioni si aggraveranno». Mentre il segretario Gianni Rinaldini interverrà oggi, Francesca Re David ha già preso la parola dichiarando folle l’idea di far discutere l’organizzazione per due mesi per decidere se la Fiom ha fatto bene o male a votare no, mentre sono in piedi difficili trattative e scioperi per il rinnovo del contratto. Il referendum, ha detto, è uno strumento di democrazia e partecipazione di cui i meccanici hanno una certa pratica: ma per salvarlo bisogna definire le regole. E che regole sono quelle per cui si può votare solo sì?
Un confronto duro, dove sono volate parole grosse: c’è chi che cerca possibili nessi tra il no all’accordo e l’apertura di spazi alle «stelle a cinque punte»; o chi sostiene che nelle aziende meccaniche deve entrare la Cgil che adesso non c’è, come se la Fiom fosse il quarto sindacato. Anche Nicolosi e Cremaschi, che interverranno oggi, denunciano i toni degli attacchi. E la maggioranza congressuale, che comprende Lavoro e soicietà, potrebbe saltare. Alcuni interventi, come quelli dei segretari delle Camere del lavoro di Bologna e Torino, hanno invece evitato trionfalismi nell’analisi del voto, «tanto i sì i che i no appartengono alla Cgil».
Epifani riconosce la presenza di un dissenso tra i lavoratori: «Non sfugge il malessere che esprimono alcune grandi aziende metalmeccaniche, in particolare Fiat ma il disagio è dietro anche molti sì. Ma se è necessario interrogarsi sulle ragioni del no, tutti (a cominciare da chi è stato contrario) devono interrogarsi sui tantissimi sì».
Cosa motiva tanta durezza nei confronti del dissenso? La risposta è nelle parole di Epifani: «Ci dobbiamo augurare che il governo non cada, che sia messo in condizioni di proseguire il lavoro, che non prevalgano ipotesi di segno moderato o operazioni di cambi di maggioranza nel segno del trasformismo o addirittura della compravendita dei voti di parlamentari». E ancora, il protocollo non si deve cambiare, neppure migliorare perché «dati i rapporti nella maggioranza, saranno difficili soluzioni ulteriormente migliorative: abbiamo raggiunto le migliori soluzioni possibili». Nel direttivo, ascoltate, queste parole, c’è chi lancia un appello all’autonomia.