1. In tempi di globalizzazione il processo contro Slobodan Milosevic può sembrare un evento del tutto naturale. La giustizia penale ha cessato di essere un affare “privato” dei singoli Stati nazionali e si è internazionalizzata. Sembra naturale e giusto che un capo di Stato, ritenuto il massimo responsabile delle tragedie balcaniche dell’ultimo decennio, risponda dei suoi crimini di fronte ad un tribunale internazionale, com’è il Tribunale dell’Aja. Si tratta di un Tribunale istituito dalle Nazioni Unite e che presenta dunque tutti i crismi formali della legalità internazionale. I suoi giudici, grazie al loro prestigio e alla loro austera imparzialità, rappresentano i valori di una giustizia universale. Si può pensare, insomma, che il Tribunale dell’Aja giudichi e condanni in nome e per conto dell’umanità intera.
Può sembrare naturale e giusto, ma si tratta comunque di un evento senza precedenti. Non era mai capitato, nella storia dell’umanità, che un capo di Stato venisse incriminato, imprigionato e processato da una corte internazionale. E, si badi bene, tutto ciò non per le sue responsabilità politiche in quanto capo di Stato, ma per crimini che è accusato di aver personalmente commesso nel corso della guerra. Se si volesse proprio trovare un precedente, occorrerebbe risalire all’incriminazione, alla fine della prima guerra mondiale, del Kaiser Guglielmo II di Hohenzollern, accusato dai vincitori di “oltraggio supremo alla morale internazionale e alla santità dei trattati”. Ma, come è noto, il processo a Guglielmo II non fu mai celebrato perché l’Olanda, dove il Kaiser si era rifugiato, non concesse l’estradizione. E la Germania non riconobbe la legalità del tribunale internazionale che le potenze dell’Intesa intendevano istituire.
Nel caso di Milosevic è invece accaduto – e anche questo è un evento senza precedenti – che un ex-capo di Stato sia stato direttamente consegnato dalle autorità politiche del suo paese a un tribunale “straniero”.
2. Può sembrare naturale e giusto, ma Slobodan Milosevic si rifiuta di ammetterlo. Contesta clamorosamente la legalità internazionale del Tribunale che lo tiene recluso e che lo sta processando. E per questo, con spavalda coerenza, ne respinge le procedure, al punto di non voler nominare dei propri avvocati di fiducia e di ricusare il difensore d’ufficio. Non solo: Milosevic accusa le attuali autorità del suo paese di averlo illegalmente “venduto” a un Tribunale che, sotto le apparenze della giustizia internazionale, in realtà è al servizio della Nato e in particolare degli Stati Uniti.
Il Tribunale dell’Aja, sostiene Milosevic, è un’assise giudiziaria modellata secondo le convenienze strategiche delle potenze occidentali e che manca quindi di qualsiasi imparzialità e autonomia politica. La verità, grida Milosevic in una tragica, allucinata solitudine, è dalla sua parte e prevarrà sulle menzogne delle potenze che lo hanno militarmente sconfitto e che ora intendono umiliarlo e degradarlo anche sul piano morale. Essere sconfitti in guerra è normale, ma essere processati dal nemico è una sconfitta totale e irreparabile, che non può essere subita se non accettando di essere banditi dall’umanità, disumanizzati. E’ questa l’estrema trincea sulla quale combatte l’ex Presidente della Repubblica Federale Jugoslava.
3. La verità è dalla parte di Milosevic? Sarebbe sicuramente azzardato sostenerlo, almeno nel senso che sul leader serbo gravano pesanti responsabilità politiche, che egli non ha mai inteso riconoscere. Il suo nazionalismo estremo è stata una delle concause – certo non la sola, e forse neppure la più rilevante – che hanno portato prima alla guerra di Bosnia (e alle atrocità dell’epurazione etnica) e poi alla guerra del Kosovo. E molto probabilmente anche le accuse di corruzione che i magistrati jugoslavi avevano formulato contro di lui non erano infondate. Il suo regime era solo apparentemente democratico: nella sostanza si reggeva su una struttura di potere corrotta e dispotica. Per queste ragioni egli meritava sia l’allontanamento dalla vita politica jugoslava, sia, probabilmente, una severa condanna penale.
Ma, detto questo, le brucianti accuse che Milosevic rivolge contro il Tribunale dell’Aja sono totalmente infondate? Sono le farneticazioni di un ex-comunista e nazionalista balcanico, che non riesce a prendere atto dei nuovi equilibri politici del mondo? Sono espressione volgare e arrogante, come è stato sostenuto da una larga parte della stampa europea, della mentalità dispotica di un uomo abituato a comandare e a eliminare fisicamente i suoi avversari? Sono un delirio di onnipotenza?
4. Milosevic ha torto, sul piano giuridico, quando sotiene l’illegalità internazionale del Tribunale dell’Aja perché, a suo parere, quel Tribunale avrebbe dovuto essere istituito dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite e non dal Consiglio di Sicurezza. Milosevic sbaglia perché l’Assemblea Generale non ha certamente il potere di dar vita a Tribunali penali internazionali, non disponendo, come è noto, di alcun potere deliberativo. Da questo punto di vista Milosevic è un pessimo difensore di se stesso. Ciò non toglie che l’illegalità internazionale del Tribunale dell’Aja sia stata sostenuta – e sia sostenibile – con rigorosi argomenti giuridici, come ha autorevolemte fatto, ad esempio, Gaetano Arangio Ruiz.
Soltanto in base ad una contestatissima teoria dei “poteri impliciti” del Consiglio di Sicurezza si è tentato di suffragare l’atto di arbitrio che il Consiglio di Sicurezza, fortemente stimolato dagli Stati Uniti, ha commesso. Nessuna norma del diritto internazionale generale, né, tanto meno, la Carta delle Nazioni Unite autorizzava il Consiglio di Sicurezza a creare ex nihilo un organismo giudiziario: un organismo che non è altro che un Tribunale speciale, con poteri retroattivi e con una giurisdizione non chiaramente definita. Si è trattato di una palese violazione di qualsiasi principio del rule of law internazionale e della stessa dottrina dei diritti dell’uomo. Dunque, Milosevic non ha torto nel sostenere che la legalità internazionale del Tribunale dell’Aja non è affatto sicura.
5. Milosevic sostiene che il Tribunale dell’Aja è alle dipendenze della Nato e in particolare degli Stati Uniti, che non offre perciò alcuna garanzia di imparzialità, che non è, propriamente, neppure una istituzione giudiziaria. Sembra difficile dargli torto. E’ sufficiente tener conto che gli Stati Uniti sono in pratica gli esclusivi finanziatori del Tribunale – miliardi di erogazioni in denaro, in materiale elettronico, nella fornitura di servizi e di personale specializzato – in palese violazione dell’art. 32 dello Statuto del Tribunale, che mette le sue spese a carico del bilancio ordinario delle Nazioni Unite. E basta considerare che la Procura del Tribunale – rappresentata prima dalla canadese Louise Arbour e poi dalla svizzera Carla del Ponte – ha stabilito, in violazione dell’art. 16 dello Statuto, rapporti di sistematica collaborazione con le autorità politiche e militari della Nato. E questo è accaduto sia prima che dopo la “guerra umanitaria” della Nato contro la Repubblica Jugoslava. In pratica la Nato opera come forza di polizia giudiziaria a favore della Procura del Tribunale, ricevendone segretamente gli atti di incriminazione e provvedendo ad applicarli manu militari. Anche l’incriminazione e l’estradizione di Milosevic sarebbe stata impossibile senza la collaborazione militare della Nato, oltre che di Scotland Yard e dell’Fbi.
Infine, non può essere sottaciuto che, in cambio della sua preziosa collaborazione, la Nato ha ottenuto dal Procuratore Carla del Ponte l’archiviazione delle denunce formalmente presentate a suo carico da autorevoli giuristi occidentali. E si è trattato di una archiviazione del tutto irrituale, che non solo Harold Pinter, ma persino un ex presidente del Tribunale dell’Aja come Antonio Cassese, ha severamente criticato. Questa decisione, del tutto scontata sul piano politico, rappresenta tuttavia la prova del carattere politico, appunto, e non giudiziario dell’attività svolta dal Procuratore Carla del Ponte. Questo singolare magistrato opera e si esprime apertamente come una sorta di “commissario politico” della Nato e degli Stati Uniti. Non perde occasione per riferirsi al Dipartimento di Stato come al proprio committente, al punto che, il giorno successivo all’estradizione di Milosevic, ha comunicato con orgoglio ai giornalisti di aver ricevuto le congratulazioni di Madeleine Albright, da lei affettuosamente chiamata ancora una volta, come è consuetudine fra il personale del Tribunale, the mother of the Tribunal.
6. Milosevic, nonostante le sue violente proteste, verrà condannato a una pena molto severa e passerà il resto della sua vita in carcere perché così vogliono “i vincitori”: gli Stati Uniti e le altre potenze occidentali. Il ruolo che gli è stato assegnato è quello del capro espiatorio. Il sacrificio collettivo di una vittima, ci ha insegnato Réné Girard, ha sempre un effetto redentivo, diffonde sentimenti di sicurezza e circonda i vincitori di una aureola di trascendente innocenza. Tutto questo, naturalmente, dovrebbe avere poco a che fare con le funzioni di un ordinamento giuridico moderno, nazionale o internazionale. E non ha nulla in comune con una politica di pacificazione e di riscatto dei paesi balcanici.
Ma ciò che conta assai più, dal punto di vista dei committenti del sacrificio, sono gli esiti strategici dell’intera vicenda. La cattura, la degradazione morale e la condanna di Milosevic contribuiranno a rafforzare anche in questo caso la strategia imperiale che le potenze occidentali hanno sempre perseguito con i loro interventi politici e militari nei Balcani, dal Congresso di Berlino, nel 1878, a Rambuillet, nel 1999. Il loro obiettivo è sempre stata la frammentazione territoriale della regione balcanica e la sua subordinazione politica ed economica.