I cadaveri amputati che la settimana scorsa oscillavano dalle travature
di un ponte metallico a Falluja hanno riproposto in tutta la sua orrida
oscenità il problema dei mercenari nella guerra moderna (vedi Oipaz del
21 gennaio 2003). Quei corpi appartenevano infatti a quattro dipendenti
della Blackwater Usa, una delle maggiori «compagnie militari private»
(Pmc) operanti in Iraq. Nessuno sa quanto sia il fatturato mondiale
complessivo delle Pmc, ma già prima dell’invasione dell’Iraq si stimava
che si aggirasse intorno ai 100 miliardi di euro. Non si tratta di un
mero ritorno al passato, ai capitani di ventura; non rivediamo semplici
versioni moderne di Giovanni dalle Bande Nere. I mercenari sono quelli
di sempre, ma sono assolutamente inediti sia il reclutamento, sia la
struttura in cui sono inquadrati. A operare sono infatti vere e proprie
corporations, identiche per dimensioni e funzionamento alle grandi
corporations tradizionali, solo che invece di operare nella sanità o nel
cibo in scatola, queste imprese operano nel mercato della guerra (sul
tema, la Cornell University Press ha pubblicato nel 2003 il libro
Corporate Warriors di Peter W. Singer). Tanto è vero che spesso queste
ditte sono filiali di multinazionali: così Mpri (Military Professional
Resources Increment) è stata comprata dall’industria militare L-3
Communication quotata a Wall Street, mentre Vinnel è una filiale del
gruppo Trw; Logicon è un dipartimento del gruppo di armamento Northrop
Grunman: a Logicon appartenevano tre civili americani tenuti in ostaggio
per più di un anno in Colombia, dove furono catturati mentre erano in
missione per cercare laboratori di cocaina.
La privatizzazione della guerra riguarda anche l’infrastruttura e la
logistica, compiti che una volta erano prerogativa dei genieri e oggi
invece sono appaltati. Così, Kellogg Brown & Root (Kbr) – società del
gruppo Halliburton (di cui il vicepresidente Dick Cheney è stato
amministratore delegato e presidente fino alla sua candidatura nel 2000)
– ottenne nel 1999 un contratto quinquennale da 2,2 miliardi di dollari
nei Balcani: Kbr s’impegnava a fornire tra l’altro i servizi logistici,
i cessi portatili per il corpo di spedizione Usa, il rinforzamento delle
strade perché sopportino il passaggio dei mezzi pesanti, la costruzione
del quartiere generale della base americana di Camp Abel Sentry (in
Kossovo, un po’ a sud della frontiera serba), la lavanderia per le
divise sporche dei soldati britannici, il catering per 130.000 rifugiati
kossovari. Nel 2002 la Kellogg Brow and Root ha accettato di pagare una
multa di 2 milioni di dollari per aver «cucinato i conti» al governo
americano. Questa ditta opera anche a Cuba (leggi Guantanamo) e in Asia
centrale (Afghanistan ed ex repubbliche sovietiche). Altre mansioni una
volta assolte dall’esercito sono ora gestite dalla Bechtel (presieduta
dall’ex segretario di stato George Schultz).
Ma naturalmente l’aspetto che colpisce di più nelle Pmc è la
privatizzazione del combattimento, cioè i mercenari. In questo campo, le
ditte dalla tradizione più consolidata sono: sono l’ormai scomparsa
sudafricana Executive Outcomes (Eo), la britannica Sandline
International, la statunitense DynCorp e la belga International Defence
and Security (Idas), mentre l’inglese Defence Systems Limited (Dsl) e
l’americana Mpri non assumono mercenari impegnati in combattimento, ma
forniscono addestramento militare, raccolta d’informazioni, servizi di
comunicazioni militari, armi, e protezione ai clienti. Negli Stati
uniti, oltre a Blackwater, Vinel, Logicon, Mpri e Dyncorp, le Pmc più
importanti sono Saic e Ici of Oregon. La sola Dyn Corp fattura due
miliardi di dollari l’anno (l’anno scorso ha ottenuto l’appalto per la
protezione fisica del presidente dell’Afghanistan. Hamid Karzai).
Ma è a Baghdad che la privatizzazione della guerra avanza irrefrenabile:
sul terreno operano ormai 15.000 mercenari stranieri, appartenenti a
ditte americane, ma anche inglesi. L’emblema della privatizzazione sta
nel fatto che la stessa sicurezza personale del proconsole americano,
Paul Bremer III è assicurata dalla Blackwater: fra un po’ anche i
generali saranno protetti da mercenari. Già ora il palazzo di Bassora
dove ha sede il comando meridionale della coalizione è vigilato da
mercenari delle isole Fiji dipendenti della Global Risk Strategy, una
ditta inglese di sicurezza con sede a Londra.
E l’Iraq sta favorendo la nascita e il rigoglio di nuove Pmc, come ha
raccontato l’Economist della scorsa settimana: fino all’invasione
dell’Afgahistan, Global Risks Strategies era costituita da due sole
persone, mentre ora dispone di oltre 1.000 guardie in Iraq ha l’incarico
di pattugliare le barricate della Coalition Provisional Authority E
l’anno scorso aveva vinto un appalto da 27 milioni di dollari per
distribuire la nuova valuta irachena. Un’altra ditta, Control Risks,
provvede scorte armate e ha 500 uomini che fanno da guardie del corpo ai
funzionari civili inglesi. «Gli organici di prima linea delle compagnie
militari private (Pmc) – mercenari in vecchie parole – sono ora la terza
forza militare in ordine di grandezza, dopo gli Usa e la Gran Bretagna.
Secondo David Claridge, direttore centrale di Janusia, una ditta
londinese di sicurezza, l’Iraq ha moltiplicato gli introiti delle Pmc
inglesi da 320 milioni di dollari di prima della guerra a oltre 1,6
miliardi di dollari, facendo così della sicurezza la più redditizia
esportazione inglese in Iraq».
Secondo l’Economist, nel gergo del settore i mercenari delle Pmc si
suddividono in tre categorie, in iracheni, in «paesi terzi» (per esempio
fijini o gurkha nepalesi) e «internationali» (di solito bianchi del
primo mondo): gli iracheni ricevono 150 dollari al mese, i dipendenti
dei «paesi terzi» 10-20 volte tanto e gli «internazionali» 100 volte
tanto. Control Risks ha soprattutto dipendenti occidentali, mentre la
rivale ArmorGroup ha ai suoi ordini 700 gurkha con cui protegge i
funzionari di Bechtel e di Kbr . Invece la ditta inglese Erinys, che ha
vinto un appalto da 100 milioni di dollari per assicurare la protezione
degli oleodotti, gestisce una forza di 14.000 iracheni. All’inizio il
costo della vigilanza privata in Iraq era stimato intorno al 7-10% dei
18,6 miliardi di dollari stanziati dagli Usa per la ricostruzione
irachena, ma ora, secondo Blackwater, rappresenta il 25% del totale.
La seconda caratteristica innovativa delle nuove corporations della
guerra rispetto alle arcaiche compagnie di ventura è che i loro ranghi
direttivi presentano una densità assolutamente abnorme di ufficiali in
pensione. Blackwater è stata fondata nel 1988 da ex Navy Seals (le
truppe speciali della marina americana, anche se a noi il loro nome non
appare particolarmente bellicoso: seals vuol dire «foche»). Erinys è
stata fondata da Alistair Morrison, ex ufficiale in pensione dei
commandos inglesi di elite Sas (la cui reputazione è uno dei fattori che
hanno contribuito al successo delle Pmc britanniche).
Il caso più eclatante è quello della Mpri (fondata nel 1988): ha come
presidente il generale Carl E. Vuono, già capo di stato maggiore che
diresse la guerra del Golfo e l’invasione di Panama, come capo della
divisione internazionale, il generale Crosbie E. Saint, ex comandante
delle forze Usa in Europa, come portavoce il generale Harry E. Soyster,
già direttore della Defence Intelligence Agency (Dia), e come
supervisore in Macedonia il generale Ron Griffith, già vicecapo di stato
maggiore. Dalla sua sede di Alexandra (suburbio chic di Washington D.
C.), Mpri dirige 900 dipendenti, ma dispone di 10.000 ex militari,
comprese forze d’élite, pronti a partire su chiamata. I generali che
hanno fondato Mpri ci hanno fatto un sacco di soldi (che si aggiungono
alle loro pensioni) perché, pur continuando a dirigerla, loro e altri 35
azionisti hanno venduto per 40 milioni di dollari la Mpri a L-3
Communication.
E naturalmente quando questi ex Delta Force, ex Seals, ex Sas devono
assumere, ricorrono di preferenza ai propri commilitoni attratti dalle
altissime paghe. Secondo il New York Times, un BerrettoVerde o un Seal
con 20 anni di anzianità guadagna ora 50.000 dollari come paga base (cui
però vanno aggiunge varie indennità), e può andare in pensione con
23.000 dollari l’anno. Le ditte di sicurezza gli offrono dai 100 ai
200.000 dollari l’anno (che si aggiungono alla pensione militare che
comprende la copertura sanitaria). Oltre tutto, i contatti tra Pmc e
militari sono strutturali. Per esempio, il complesso della Blackwater in
North Carolina, comprende poligoni di tiro per armi ad alta potenza,
edifici per simulare la liberazione di ostaggi e, scrive il New York
Times, «è così moderna e ben equipaggiata che i Navy Seals stanziati
nella Little Creek Naval Amphibious Base di Norfolk (Virginia) la usano
abitualmente; come anche fanno le unità di polizia di tutta la nazione
che vengono da Blackwater per un addestramento specializzato».
Da qui l’emorragia e la richiesta di pensionamento anticipato. Sui 300
membri del Sas, 40 hanno chiesto la pensione anticipata l’anno scorso.
Lo stesso sta avvenendo tra le truppe speciali Usa. Tanto che i
dirigenti militari sono preoccupati perché lo stato finisce per pagare
due volte le Pmc, una volta con i soldi dei contratti, ma un’altra volta
con il denaro speso per addestrare le truppe d’élite. È stato calcolato
che formare un berretto verde richiede 18 mesi di addestramento (e
l’apprendimento di una lingua straniera) per un costo di 257.000
dollari. Il comando delle operazioni speciali Usa ha oggi un organico di
49.000 persone (tra combattenti, piloti, e addetti militari e civili
alla logistica, alle comunicazioni e all’infrastruttura), e la fuga dei
veterani avviene proprio quando la dottrina Rumsfeld (esercito più
leggero ma più professionale e più specializzato) prevede di aumentare
gli effettivi delle Operazioni Speciali di 3.900 unità.
Fino a ora la crescita delle Pmc e la privatizzazione della guerra non
hanno suscitato molte proteste. Anche perché i morti delle compagnie
private non vengono conteggiati come perdite militari, e quindi non
colpiscono l’opinione pubblica. Ma proprio il loro statuto privato, in
operazioni di guerra, le rende legalmente irresponsabili. Per ora non
sono infatti regolate da nessuna legge né sottoposte a nessun controllo.
Finiscono perciò per non differire molto dai bounty killers del Far
West, e anche questa loro immunità contribuisce alla guerra civile
quotidiana in Iraq.