Uno stop che potrebbe far bene alla ragionevolezza, anche se – dalle prime reazioni – c’è da dubitarne. Il governo avrebbe deciso di ritirare l’emendamento alla finanziaria che prescriveva termini temporali improrogabili (tre mesi dall’entrata in vigore della manovra; entro marzo, quindi) per la discesa dell’Eni al 20% nell’azionariato di Snam Rete Gas. Ciò non dipende però da un ripensamento della strategia «privatizzatrice», ma da un semplice contrasto all’interno del governo. Peraltro ammesso senza problemi dai diretti interessati, fra l’altro entrambi sottosegretari al ministero dello sviluppo economico.
Per Paolo Giaretta (Dl), «su Snam RG noi intendiamo andare avanti lo stesso. Se verrà messo un termine, ben venga, ma tecnicamente è un problema secondario, noi procederemo comunque». L’argomento è quello di «favorire la concorrenza» e far scendere il prezzo del gas per l’utente finale (imprese e cittadini); l’ obiettivo immediato è «rendere terza la rete, come è stato fatto con Terna nel settore elettrico».
Per Alfonso Gianni (Prc), invece, la discesa dell’Eni fino a una quota di Snam RG che non sia più di controllo può anche avvenire, ma «siamo molto preoccupati che la dismissione avvenga senza un’adeguata capacità di visione strategica, esponendoci al pericolo che la rete possa finire in mani straniere e, in particolare, ai russi». Ma non c’è una contrarietà di principio.
La rete di tubature che porta il gas nelle industrie e nelle nostre case è quello che viene chiamato un «monopolio naturale», così come l’acqua, la rete ferroviaria, le autostrade o la telefonia fissa (non quella «mobile», evidentemente). Nessuno – né lo stato, né tantomeno un «privato» costruirà mai una seconda rete per «fare concorrenza» al monopolista. Se la si vuole mantere terza – ossia di proprietà di un soggetto diverso da quelli che materialmente riversano il gas nelle tubature, per evitare conflitti di interesse in stile Telecom – sarebbe bene che la rete restasse pubblica (ossia controllata dall’Eni, a sua volta controllato dal Tesoro; magari anche semplificando questa barocca catena di controllo).
Tanto più che nel mercato reale del gas, non in quello dell’ideologia liberista, i fornitori di gas all’Italia sono in pratica due: Russia e Algeria, che fra l’altro si sono da poco accordati fra loro, tramite le società Gazprom e Sonatrach. Che«concorrenza» si potrà mai fare sulla rete se le società che vi riverseranno il gas non saranno altro che intermediari (privati, certo) di una risorsa acquistata da soli due fornitori statali (e allo stesso prezzo)?
Tanto più che Gazprom ha appena siglato un accordo in cui si prevede l’ingresso della società russa come fornitore finale diretto sul mercato interno italiano. L’ipotesi che, in tempi più o meno rapidi, possa assumere il controllo proprietario della rete – oltre che quello delle forniture, già praticato – non è affatto peregrina.
L’impressione è che la classe politica italiana sia convinta di vivere in una fase della globalizzazione che è già alle nostre spalle. Il naufragio del Doha Round certifica il prevalere – non si sa se momentaneo – di logiche «nazionaliste» o «regionaliste» (America latina, Europa, ecc). Una situazione in cui la «privatizzazione» degli asset strategici – come certamente è l’energia e la sua distribuzione – viene ovunque quantomeno congelata. Basterebbe leggere la stampa internazionale per trovare le risposte ai «diktat» provenienti da Bruxelles.