Pristina-Bengasi e ritorno. Requiem per la Unione Europea

*segretario, Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia – onlus

I meccanismi della comunicazione di massa che accompagnano la nuova guerra di aggressione cui partecipa il nostro paese – quella contro la Libia – ricalcano pedissequamente quelli già attivati nel corso di altre aggressioni degli ultimi anni – Iraq, Jugoslavia, Afghanistan. Nel caso libico dobbiamo però, in aggiunta, prendere atto che certi settori democratici, quelli del frequente richiamo alla “difesa della Costituzione”, si comportano come se non avessero imparato assolutamente *niente* dalle guerre precedenti. Ci è capitato ad esempio di essere avvicinati da un cronista di una emittente del circuito di Radio Popolare, il quale ci ha allungato il microfono chiedendo: “Allora in che altro modo si doveva intervenire?” (intendendo al posto della guerra di aggressione, per “spezzare le reni” al dittatore di turno). Abbiamo replicato che la domanda era posta male ed era rivelatrice di come venti anni di guerre imperialiste costruite sulla disinformazione strategica non abbiano insegnato niente nemmeno ai giornalisti “di sinistra”. 

Il caso di Rossana Rossanda è da questo punto di vista il più emblematico ed il più scandaloso, anche perché era stato raccontato che Rossanda aveva fatto ammenda per avere sostenuto i bombardamenti della NATO contro la Repubblica Serba di Bosnia nel 1995. Pure il “circuito” di Michele Santoro dimostra di avere subito una pesante involuzione per quanto riguarda questi temi. Su AnnoZero del 5 maggio 2011, il leader della opposizione Bersani ha rivendicato la giustezza dei bombardamenti presenti e passati, con esplicito riferimento ai bombardamenti sulla Jugoslavia comandati dal suo compagno di partito D’Alema nel 1999, senza alcun contraddittorio.

A spiegare non solo questa degenerazione della “opinione pubblica” di sinistra in Italia, ma il più generale declino delle attività del movimento contro la guerra (1), si potrebbero portare alcune motivazioni specifiche. Un dato di fatto è la strumentalizzazione delle questioni libiche per finalità di politica interna, che dura da quasi tre anni. Ad avviso di chi scrive, se c’è una sola cosa buona che ha fatto il governo Berlusconi ebbene questa è stata la chiusura del contenzioso di epoca coloniale con la Libia in modo onorevole per quest’ultima, attraverso il Trattato di Amicizia (2); eppure, gli accordi – poi traditi – tra Roma e Tripoli sono stati fatti oggetto di veementi contestazioni da settori ben più preoccupati per la sorte dei migranti nei centri di accoglienza in Libia, che non per la sorte degli stessi nei CIE, nelle carceri, nelle periferie, nei cantieri o nei campi di pomodori in Italia. Quelle veementi contestazioni hanno sempre eluso tanto l’analisi del contesto internazionale, che vedeva la Libia alla guida di un movimento di emancipazione politica ed economica dell’Africa (Unione Panafricana: non è che per caso la aggressione militare c’entra qualcosa con questo?) quanto la memoria dei crimini pregressi dell’Italia su quei territori.

Una seria analisi delle cause della aggressione alla Libia dovrebbe certo considerare il quadro geopolitico più complessivo e ci porterebbe molto lontano, ben più lontano dei confini del nostro imperialismo straccione. Chiudiamo invece qui questa doverosa premessa, per passare al tema principale che ci siamo prefissati, e cioè alla questione del Kosovo.

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Lo abbiamo detto e scritto in più occasioni, e dobbiamo tornare a ripeterlo: paradigmatico degli “interventi umanitari” post-Ottantanove è proprio il caso jugoslavo. E, nell’ambito della complessa vicenda jugoslava, per ferocia e sprezzo di ogni legalità vanno rammentati quei bombardamenti del 1999, finalizzati a imporre un “regime change” a Belgrado, a spaccare la Federazione jugoslava (allora composta da Serbia e Montenegro) cancellando ogni residuo riferimento alla “Jugoslavia” dalle mappe geografiche e da ogni altro consesso formale (persino da internet, hanno voluto abolire il dominio “.yu”), e miranti a strappare alla Serbia la regione cui essa più teneva per ragioni storico-culturali ed economico-strategiche: il Kosovo. 

Mentre scriviamo cade il dodicesimo anniversario dalla conclusione di quei bombardamenti (7 giugno 1999), e siamo prossimi al ventesimo anniversario dall’inizio della crisi jugoslava più generale (25 giugno 1991: secessioni di Slovenia e Croazia).

Il Kosovo dal giugno 1999 – con l’occupazione totale del territorio da parte degli eserciti stranieri – e ancora oggi, nonostante la dichiarazione di “indipendenza” (3), è a tutti gli effetti un protettorato coloniale. Il suo “status” è controverso al punto che la sua “indipendenza” finora è stata riconosciuta solamente da 75 dei 192 Stati che compongono le Nazioni Unite. “Arbitrio al posto del diritto internazionale” è l’eloquente titolo di una analisi del Centro di informazioni sulla militarizzazione (IMI), con sede a Tubinga, dedicata allo scandalo dei riconoscimenti internazionali e della omertà garantita dalla Corte di Giustizia dell’ONU (Wagner 2011). 

La forzata ridefinizione dei confini interni balcanici è stata conseguita anche attraverso l’instaurazione di un regime di apartheid e terrore all’interno del Kosovo, che ha comportato la fuga di centinaia di migliaia di abitanti di etnia non-albanese o albanesi progressisti e anti-secessionisti (4), la distruzione o l’espropriazione dei loro beni oltreché di tutte le strutture, le infrastrutture e persino dei luoghi di culto e di quello straordinario patrimonio artistico che rimandava ad identità storico-culturali diverse da quella islamica. (5)

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Tra i paesi che non hanno riconosciuto il Kosovo come Stato indipendente ce ne sono alcuni aderenti alla UE: Spagna, Grecia, Romania, Slovacchia e Cipro si sono… avvalse della facoltà concessa dal balordo ministro degli Esteri francese Bernard Kouchner : tra i paesi della UE « ognuno è libero di fare la scelta che vuole circa il riconoscimento dello Stato del Kosovo » (sic). Alla faccia di una politica estera comune europea! 

La non ricomponibile differenziazione tra i paesi europei a proposito del Kosovo ha svelato dunque agli osservatori più attenti già in quella occasione (2008) il sostanziale fallimento dei progetti di unificazione politica europea. Tale fallimento appare oggi conclamato: persino Romano Prodi, l’europeista per antonomasia, che ancora nel febbraio scorso lamentava l’impossibilità di concordare regole comuni e condivise in sede UE a causa della tendenza franco-tedesca a prevaricare imponendo di fatto un modello di “Europa germanica” (6), in una importante intervista a Bianca Berlinguer agli inizi della crisi libica ha intonato un esplicito requiem funebre: « Io, guardi, non ci penso neanche più, nella politica estera, ad azioni comuni dell’Europa! » (7). 
Nessuno potrebbe dargli torto, visto che l’azione unilaterale di parte francese contro la Libia ha spaccato persino quell’asse franco-tedesco di cui sopra. 

Quello che però forse sfugge, non solo a Prodi, è che le basi di quella politica estera comune europea che è oggi completamente naufragata erano state poste a Maastricht il 17 dicembre 1991 sacrificando cinicamente l’unità jugoslava e con essa la pace e l’amicizia fra popoli che abitano nel cuore del continente. In quella sede infatti, compiacendo il cancelliere tedesco Helmut Kohl, si decise di sancire lo squartamento della Jugoslavia come prezzo da pagare proprio per l’unificazione europea (8). E’ un dato di fatto che oggi sono sfumate sia l’unità jugoslava, sia l’unità europea. Sono passati venti anni: anche in questo caso, siamo prossimi ad un anniversario molto importante.

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Lo status coloniale del Kosovo è soprattutto evidente dal punto di vista economico. Dopo i bombardamenti del 1999, nella regione serba sotto occupazione da parte delle truppe internazionali si è aperta la grande partita della alienazione del patrimonio pubblico (o in incipiente privatizzazione) incluse le importantissime ricchezze del sottosuolo.

Già nel 2000 F. Marenco scriveva: « Alle truppe francesi è stato affidato il settore settentrionale, specializzato nella metallurgia non-ferrosa; la zona centrale della provincia, nella quale sono ubicate numerose centrali elettriche ed installazioni petrolifere, è invece stata affidata agli inglesi. (…) I Tedeschi, i quali hanno occupato il distretto meridionale in compagnia di Russi e Canadesi, hanno invece potuto prendere possesso della Balkanbelt, industria della gomma con una tradizione di collaborazione con la Deutsche Kontinental e fortemente indebitata nei confronti dei tedeschi. Quanto agli Italiani, essi hanno prontamente piantato la loro bandiera nel distretto occidentale di Pe?, al confine con l’Albania, prendendo sede nei locali della Zastava-Iveco, ditta che produce parti di camion e che è stata al centro di un progetto pluriennale di cooperazione internazionale » con la Fiat (9). « Le accuse che sono state fatte ai nuovi colonizzatori sono molteplici. Si parla per esempio della chiusura forzata di alcuni stabilimenti industriali, passati direttamente sotto il controllo dei militari, nell’ambito della competizione fra Francia e Inghilterra per il controllo della società mineraria Trep?a (piombo, zinco, cadmio, oro e argento): uno dei principali volani dell’economia jugoslava, considerato dal New York Times “il più prezioso bene immobile dei Balcani”. Nel novembre 1999, in un impianto produttivo della Trep?a di Kosovska Mitrovica il generale francese Ponset si è autosostituito al direttore, cacciandone via gli operai serbi, sostituendoli con albanesi (…) Nell’agosto del 2000, con il pretesto di preservare l’inquinamento atmosferico il capo della missione dell’Onu Kouchner, francese, ha ordinato ai soldati dell’Alleanza di evacuare l’industria della Trep?a. (…) Nel distretto di Pristina, invece, il 14 luglio 1999 le truppe inglesi hanno fatto irruzione nella miniera “Kisnica”, sempre facente capo alla Trep?a, sostituendone il direttore con uno di loro scelta e rimandando a casa 400 dipendenti » (Marenco 2000). 

Come in Serbia e in gran parte dei territori jugoslavi smembrati nonché degli altri paesi ex-socialisti “in transizione”, anche in Kosovo è stata creata una agenzia, la KTA (10), che ha lavorato in strettissima collaborazione con le autorità coloniali (UNMIK). Ma ancora oggi, dopo la fine delle attività della KTA, la situazione è instabile e la “liberalizzazione” dell’economia è fallimentare. Secondo la stampa locale (11) « nove anni di privatizzazioni orchestrate dall’UNMIK » e dalla KTA hanno prodotto solamente « una popolazione impoverita, servizi pubblici che colano a picco e infrastrutture inoperanti ». I giornali sintetizzano così il severissimo rapporto dell’Istituto Norvegese per le Relazioni Internazionali (14/9/2010), che ricorda come 70mila persone abbiano perso il lavoro a causa della chiusura forzata delle più grandi aziende statali e autogestite. Il momento clou di questa devastazione è stato proprio negli anni di reggenza di Bernard Kouchner, particolarmente zelante nell’ordinare il sequestro dei beni collettivi jugoslavi – e quindi anche la paralisi delle aziende – in vista della loro privatizzazione. Gli “internazionali” (soprattutto gli USA) hanno persistito « a voler praticare una privatizzazione rapida e totale » e la ossessiva « liberazione dal fardello dello Stato dichiarando che questo era il solo modo per garantire la sopravvivenza a lungo termine di un Kosovo indipendente ». 

Tutti gli osservatori lamentano anche numerose irregolarità nelle procedure con cui i privati saccheggiano le risorse del Kosovo: e non c’è da sorprendersene, poichè è cosa nota (12) che la classe dirigente assurta al potere nella provincia non è solamente quella del terrorismo di matrice razzista dell’UCK, ma è anche quella mafiosa dei traffici di droga, armi ed esseri umani. Oltre alle malversazioni, comunque, bisogna considerare le condizioni della società kosovara, oggettivamente incompatibili con una vita economica “regolare”, di qualunque segno essa sia. Il territorio è sotto massiccio controllo militare e sempre a rischio di esplosioni di violenza, e già questo scoraggerebbe qualsiasi investitore serio; inoltre, l’assetto proprietario dei beni immobili e delle aziende è suscettibile di contestazioni e revisioni, soprattutto da parte di quei soggetti pubblici e privati serbi che sono stati espropriati in maniera illegale e violenta negli ultimi dieci anni. Nel rapporto norvegese si evidenzia come gli espropri siano stati condotti senza concludere alcun regolare iter di messa in liquidazione (che comporterebbe un pagamento ai precedenti proprietari), di solito dichiarando solo “fallimento” manu militari. Dobbiamo poi ricordare che la distruzione della documentazione catastale e anagrafica a partire da giugno 1999 è stata una delle brutali consuetudini nel corso delle manifestazioni secessioniste-irredentiste, assieme al saccheggio e all’incendio di moltissimi edifici e strutture pubbliche e private. 

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Il 2 giugno scorso, il presidente serbo Tadic non ha partecipato alla parata che cadeva nel 150.mo dell’Unità d’Italia perchè alla cerimonia era stata invitata, ed era presente, anche la cosiddetta presidentessa della cosiddetta Repubblica del Kosovo, Atifet Jahjaga.

La elezione della Jahjaga è l’esito di un percorso rocambolesco che illustra bene i conflitti politici interni alla leadership nazionalista-panalbanese e la crisi istituzionale apertasi lo scorso anno nell’entità kosovara, a seguito di svariati arresti tra cui quello del “governatore” della “banca centrale” Hashim Rexhepi (per corruzione) e le dimissioni del “presidente” Fatmir Sejdiu (per asserita incompatibilità con responsabilità di partito).

Le “elezioni politiche”, conclusesi il 22 febbraio 2011 dopo alcune ripetizioni, sono state segnate da pesanti irregolarità. Il “parlamento” così insediato ha dapprima eletto a nuovo “presidente” – solo al terzo tentativo e con un margine risicato – il magnate Behgjet Pacolli dell’AKR (Alleanza per un Nuovo Kosovo), dopodiché ha votato la fiducia ad un “governo” nuovamente guidato dal criminale di guerra Hashim Thaci, del PDK (Partito Democratico del Kosovo, di maggioranza relativa), con l’appoggio dell’AKR e di svariati partitini – quelli falsamente rappresentativi delle “minoranze etniche” e quello di Uke Rugova, il figlio del “padre della patria” Ibrahim, storico promotore della politica del separatismo etnico. (13)

Se ci riferiamo ad Hashim Thaci come ad un criminale di guerra è, tra le altre cose, per il suo coinvolgimento nello scandalo dei “desaparecidos” serbi e della cosiddetta “casa gialla”. La “casa gialla” è un edificio nella località di Burrell, in Albania a poca distanza dal Kosovo, dove vennero deportati centinaia di prigionieri che, in una sala operatoria fatiscente, subirono l’espianto di organi, utilizzati per finanziare l’UCK. Il crimine, che vede Thaci tra i principali responsabili nella “catena di comando”, è stato tenuto insabbiato finché Carla Del Ponte era procuratrice al “tribunale ad hoc” dell’Aia, dopodiché è stata lei stessa a volerlo denunciare, forse per risciacquarsi la coscienza,  parlandone nel suo libro «La caccia» (Del Ponte 2008). Di qui è partita una investigazione condotta da Dick Marty per conto del Consiglio d’Europa (CoE), sfociata in uno scottante Rapporto pubblicato nel dicembre 2010 e in una Risoluzione dello stesso CoE (gennaio 2011) che ha richiesto un approfondimento nelle sedi competenti. Attualmente ogni azione è impantanata in sede ONU perché gli Stati Uniti e i loro alleati si oppongono a che l’indagine sia proseguita da un organismo imparziale della stessa ONU. (14) 

Torniamo alla geografia politica kosovaro-albanese. L’ “opposizione parlamentare” è lì rappresentata dai partiti LDK, AAK (dell’altro criminale Ramush Haradinaj, anch’egli ex “premier” da anni protagonista di un balletto tra dentro e fuori le carceri dell’Aia) e dal movimento super-nazionalista Vetevendosje. 
E’ molto significativo che la polemica politica in Kosovo si incentri talvolta su chi è più o meno legato agli interessi stranieri: mentre il quotidiano Koha Ditore ha pubblicato una serie di foto in cui, sulla base degli sms scambiati tra Pacolli e l’ambasciatore Christopher Dell, si evincerebbe il ruolo decisivo degli Stati Uniti nella elezione dello stesso Pacolli, altri rimproverano piuttosto a questa figura di essere legato alla mafia russa. (15) Pacolli si è dovuto infine dimettere a causa dei brogli denunciati dalla “Corte costituzionale”: a questo punto ha lui stesso denunciato che la nuova “presidente” Jahjaga – dapprima una illustre sconosciuta, impiegata in polizia come traduttrice per gli americani – era stata direttamente indicata dall’ambasciatore USA. (16) Ogni aspetto della vicenda kosovara ci riporta, insomma, alle pesanti e sfacciate ingerenze dell’imperialismo. 

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Gli accostamenti che si possono fare tra la aggressione alla Libia e la aggressione alla Jugoslavia sono molti e clamorosi; in particolare, la strumentalizzazione della “fronda” etno-tribale della Cirenaica è simile, per molti aspetti, alla alleanza che i paesi NATO hanno stretto con l’estremismo pan-albanese in Kosovo.
La questione è stata affrontata da Diana Johnstone (16) che ha messo in evidenza il ripetersi dello stesso tipo di crimini contro la pace: « martellante campagna di menzogne mediatiche, demonizzazione del leader, ricorso al Tribunale Penale Internazionale, strumentalizzazione dei profughi, rifiuto dei negoziati » … Nel caso libico abbiamo visto di nuovo “fosse comuni” inesistenti, “ribelli” filo-occidentali razzisti e criminali, bombe “umanitarie” a fermare un “genocidio” inventato, oltre alle ciniche operazioni “coperte” dei servizi segreti occidentali ed al vigliacco opportunismo della classe politica italiana.
A Pristina, lungo la strada che adesso porta il nome di Bill Clinton, da due anni svetta una enorme statua dello stesso Bill Clinton. 
A Roma, lungo la via Nomentana, sul cancello dell’ambasciata libica presidiata da militari in assetto di guerra sventola di nuovo, come mezzo secolo fa, la bandiera della monarchia di re Idris.

I nuovi bombardamenti che sono oggi in corso contro la Libia, contro quello Stato e contro quel popolo, cadono nel centenario della colonizzazione italiana di quel paese (1911). Come nel caso jugoslavo, anche per la Libia gli anniversari scandiscono il tempo delle azioni e delle inazioni, delle bugie e delle rimozioni, delle responsabilità individuali e collettive, come rintocchi di campane. C’è chi ai rintocchi delle campane si abitua a tal punto da non sentirle più, e chi invece non riesce a non farci caso e quando rintocca una campana si ferma a pensare. Noi che non riusciamo a non sentire le campane quando suonano, crediamo ormai di essere in pochi e quasi ci vergogniamo di dire agli altri: le sentite anche voi, quelle campane? – perché sappiamo che è come richiamare tutti alle proprie responsabilità. E’ così che, via via, ci isoliamo, diventiamo solipsistici, ci ritroviamo come dissidenti in questa società che non è più regolata secondo i valori ed i principi vergati sulla Carta Costituzionale, che non ha più memoria delle tragedie e dei crimini per scongiurare il cui ripetersi quella Carta era stata scritta. Dissidenti in una società totalitaria, nella quale guerre di conquista coloniale possono essere scatenate a forza di menzogne, anche contro l’opinione della maggioranza della popolazione.

Fonti e Bibliografia:

Adem Bejzak e Kristin Jenkins, Un nomadismo forzato …di guerra in guerra… Racconti rom dal Kosovo all’Italia, Archeoares 2011 (Bejzak 2011)

Andrea Catone, FIAT Serbia. Un caso classico di imperialismo, su L’Ernesto n.3-4/2010 (Catone 2010)

Giuseppe Ciulla e Vittorio Romano, Lupi nella nebbia, Jaca Book 2010 (Ciulla 2010)

Carla Del Ponte e Chuck Sudetic. La caccia. Io e i criminali di guerra, Feltrinelli 2008 (Del Ponte 2008

Alessandro Di Meo, L’urlo del Kosovo, ExOrma 2010

Jürgen Elsässer, Menzogne di guerra, La Città del Sole 2002

Antonio Evangelista, La torre di crani. Kosovo 2000-2004, Editori Riuniti 2007 (Evangelista 2007)

Hannes Hofbauer, Experiment Kosovo. Die Rückkehr des Kolonialismus, Promedia Verlag 2008

Diana Johnstone, Fools’ Crusade: Yugoslavia, NATO, and Western Delusions, Monthly Review Press 2003

Franco Marenco, I falchi e gli usurai, su L’Ernesto n.5/2000 (Marenco 2000)

Andrea Martocchia, La rimozione della Jugoslavia, su L’Ernesto nn.3-4/2003 –
http://www.cnj.it/documentazione/rimozione.htm

Sandro Provvisionato, UCK: l’armata dell’ombra, Gamberetti 2000 (Provvisionato 2000)

Uberto Tommasi, Mariella Cataldo, Kosovo Buco nero d’Europa, Achab 2004 (Tommasi 2004)

Jean Toschi Marazzani Visconti, Il corridoio, La Città del Sole 2005

Jürgen Wagner, Willkür statt Völkerrecht, IMI-Studie Nr. 09/2011 (21.4.2011) – http://www.imi-online.de/2011.php?id=2293 (Wagner 2011)

Luana Zanella (a cura di), L’altra guerra del Kosovo. Il patrimonio della cristianità serbo-ortodossa da salvare, Casadeilibri 2006 (Zanella 2006)

Note:

(1) Non si confondano però le attività del movimento contro la guerra, né tantomeno la sua – oggi quasi inesistente – rappresentanza pubblica, con i sentimenti prevalenti nella popolazione, che nonostante la continua propaganda guerrafondaia si è mantenuta in ampia maggioranza contraria alla guerra di aggressione contro la Libia, come mostrato dai sondaggi di opinione (cfr. ad es. “Quando l’antiberlusconismo fa male a certa sinistra” di F. Francescaglia, che menziona i significativi numeri di un sondaggio di Mannheimer – http://www.lernesto.it/index.aspx?m=77&f=2&IDArticolo=20803 ).

(2) Trattato di amicizia, partenariato e cooperazione tra la Repubblica Italiana e la Grande Giamahiria Araba Libica Popolare Socialista, firmato a Bengasi il 30 agosto 2008 – http://it.wikisource.org/wiki/Trattato_Di_Amicizia,_Partenariato_E_Cooperazione_Tra_La_Repubblica_Italiana_E_La_Grande_Giamahiria_Araba_Libica_Popolare_Socialista .

(3) Sul crimine commesso con il riconoscimento della statualità della entità secessionista-razzista del Kosovo, fortemente voluto da Massimo D’Alema, si veda il Comunicato Stampa di CNJ-onlus del febbraio 2008 “Italia e Balcani: una perfetta continuità con le politiche del Fascismo”  – http://www.cnj.it/POLITICA/cnj2008.htm – ed anche l’inascoltato appello di senatori e senatrici del dicembre 2007 “L’Italia non legittimi azioni unilaterali in Kosovo” – http://www.cnj.it/documentazione/KOSMET/apelsenato.htm .

(4) Della pulizia etnica compiuta in Kosovo a partire dal giugno 1999 dai secessionisti pan-albanesi sotto la supervisione delle truppe straniere di occupazione è soprattutto trascurato un aspetto: e cioè quello della presenza in Italia di numerose vittime, appartenenti a molte diverse “etnie” kosovare e generalmente rifugiati, in misere condizioni, nei cosiddetti “campi rom”. Su questa questione tanto sconvolgente quanto ignorata si vedano ad esempio l’Appello del giugno 2007 al Consiglio di Sicurezza dell’ONU, al Parlamento Europeo e al Governo italiano (http://www.cnj.it/INIZIATIVE/appello07kosovo_firenze.htm) nonché il recentissimo importante volume di testimonianze di uno di questi rifugiati, Adem Bejzak (Bejzak 2011): entrambi i documenti gettano soprattutto luce sulle vicende dei kosovari rifugiati in Toscana.

(5) Sul tema rimandiamo a Zanella 2006.

(6) « L’Europa e il direttorio zoppo. Se Germania e Francia decidono tutto e l’Italia tace », su Il Messaggero del 6 febbraio 2011.

(7) Su TG3 Linea Notte del 22/2/2011 – http://www.rai.tv/dl/RaiTV/programmi/media/ContentItem-fc90c582-3539-4b49-86b1-df4b01cd9edd.html .

(8) Il documento UE numero 1342, seconda parte, del 6/11/1992 indicherà che a Maastricht l’unità europea era stata raggiunta proprio a scapito della Jugoslavia, con una cinica trattativa della quale ha raccontato anche Gianni De Michelis su Limes n.3/1996.

(9) Sul caso Zastava, più in generale, raccomandiamo la lettura dell’articolo di Andrea Catone “FIAT Serbia. Un caso classico di imperialismo”, apparso su L’ERNESTO n.3/2010 e online: http://www.lernesto.it/index.aspx?m=77&f=2&IDArticolo=20054 .

(10) http://kta-kosovo.org/html/ .

(11) Koha Ditore, 15 settembre 2010.

(12) Su questo tema rimandiamo a: Provvisionato 2000, Tommasi 2004, Evangelista 2007, Ciulla 2010.

(13) Da segnalare il penoso tentativo di riabilitazione della figura di Ibrahim Rugova da parte di ambienti “pacifisti di sua maestà”, a Rovereto lo scorso 26 maggio 2011. Bizzarro caso di intellettuale-poeta di cui nessuno ha mai letto una poesia e di pacifista-ghandiano che dichiarò testualmente: « Noi kosovari dobbiamo ringraziare Dio per l’intervento della NATO » (ANSA 13/02/2003) e « La NATO è il nostro esercito privato… deve rimanere in Kosovo in eterno » (Der Spiegel 11/12/2000), Rugova alla sua morte nel gennaio 2006 è stato sepolto a Pristina nel “cimitero dei martiri”, riservato solo agli eroi della guerriglia (ANSA 23/01/2006).

(14) Sul rapporto Marty (“Inhuman treatment of people and illicit trafficking in human organs in Kosovo”, 15/12/2010) e sugli sviluppi dello scandalo sui crimini di guerra commessi dalla leadership secessionista kosovara rimandiamo a tutta la documentazione richiamata dalla pagina http://www.cnj.it/documentazione/KOSMET/organi.htm , in corso di aggiornamento.

(15) Oltre al fatto che Pacolli, ex-marito di Anna Oxa, è attualmente sposato ad una russa, va ricordato che il suo nome fu di spicco nell’inchiesta Mabetex avviata e poi insabbiata da Carla Del Ponte. Essa riguardava malversazioni economiche in cui erano implicati anche membri della famiglia Eltsin.

(16) “Kosovo: New president handpicked by Americans, predecessor says”, ADN Kronos International – April 11, 2011

(17) “Un altro intervento della NATO? Rifanno il colpo del Kosovo?”, su www.globalresearch.ca del 16/03/2011 – http://www.lernesto.it/index.aspx?m=77&f=2&IDArticolo=20721