Fu antisemita o no Primato di Bottai? E ancora: quali le eventuali responsabilità di tanta parte della migliore cultura italiana di fine anni Trenta, molta della quale confluita nel Pci, per aver scritto sulla rivista e partecipato al «progetto» del gerarca assertore di un fascismo «diverso» e, secondo consolidata tradizione, «eretico» e alternativo a quello di Mussolini?
La duplice questione è riesplosa a seguito del volume di Mirella Serri, I redenti (Corbaccio) del quale già parlammo su queste pagine. E dopo uno scontro al calor bianco tra Duccio Trombadori e l’autrice del libro, prima sul Giornale (Trombadori versus Serri) e poi sul Foglio nei giorni scorsi, con veemente attacco del primo – negatore in breccia di ogni antisemitismo e antigiudaismo nella rivista – e replica simmetrica della seconda. Conclamante all’opposto la tara antisemita originaria di Primato, con ricadute di responsabilità su chi vi collaborò.
Come stiano le cose lo abbiamo già scritto. Ma anche al fine di dipanare equivoci, e fare ulteriore chiarezza, ci ritorniamo. Dunque Primato. Che cosa fu la creatura voluta dal Ministro per l’Educazione popolare e che ebbe corso tra il 1939 e il 1943? Fu certo la punta di diamante di un disegno culturale strategico: chiamare la cultura italiana a schierarsi globalmente. Nel conflitto bellico imminente, e di lì a poco destinato a coinvolgere l’Italia. Chiamarla accanto alla Germania, ma in posizione originale e competitiva. Al fine di non doverne subire l’egemonia a guerra vinta, e allo scopo anzi di proiettare una specifica egemonia italiana (un primato) nei grandi spazi territoriali in palio tra continenti e nazioni in lotta. Insomma, era questa l’idea, si voleva preparare il paese a una «missione imperiale». Modernizzante. Gerarchica tra i popoli e «civilizzatrice», nell’area europeo- mediterranea e al riparo dal predominio tedesco. Sul punto la migliore storiografia, ad esempio quella del defeliciano eterodosso Emilio Gentile, ha fugato ogni dubbio. Il «bottaismo», ma inteso come l’ideologia di Bottai e dei suoi strettissimi sodali, era una specifica proposta totalitaria. Rivolta a rendere «coerente» il fascismo con se stesso. In senso anti-tradizionalista, antimonarchico, lavoristico e social-corporativo. Benché Bottai stesso conoscesse poi l’arte della mediazione e del gradualismo realistico.
In tale quadro antisemitismo e antigiudaismo giocarono il loro ruolo nella rivista. Seppure in una chiave «italica», «mediterranea» e «assimilatrice». Non esclusivamente biologica: contro il biologismo nazista. Ma già nel Manifesto sulla razza del 1938 (propagandato da Bottai nelle scuole) il razzismo era «italico» e non solo biologistico. Esso fu inalberato negli editoriali firmati e non da Bottai (condirettore era Giorgio Vecchietti). Fu presente nelle inchieste che su Primato ospitarono i contributi delle riviste dei Guf (Il Bò, Architrave, Roma fascista). E infine di esso vi furono tracce (più in chiave antigiudaica, antislava e anti-africana) negli scritti di vari collaboratori non solo ortodossi ma anche in seguito di sinistra (da Carlo Morandi a Della Volpe).
E tuttavia un dato è certo. Nessuno del gruppo «aureo», quello poi conquistato e valorizzato da Togliatti – Trombadori, Muscetta, Alicata, Sapegno, Salinari, Guttuso, etc. – fu mai toccato o sedotto da quel razzismo. Inoltre, sebbene tracce di quel razzismo italico vi furono nel fascicolo, e proprio a seguito dell’intento programmatico di Bottai, nondimeno l’antisemitismo non divenne in realtà l’asse vincente del progetto. Progetto in definitiva rimasto in bilico tra tante cose: bottaismo doc, frondismo, fascismo di sinistra, eclettismo, ermetismo, disimpegno, «entrismo» di chi già cospirava con l’autorizzazione del Pc.d’I (come indicava Togliatti fin dal 1935: vedi Breve corso sugli avversari). Era quello un gioco di strumentalizzazioni reciproche. Con Bottai che voleva usare i suoi «cavallucci marxisti» e gli altri in «viaggio» ambivalente dentro e oltre il regime. Quel viaggio, breve o lungo che fosse, fu accelerato dalla disfatta e fu proficuo per la Resistenza e la Nuova Italia. Il resto ci pare moralismo e sensazionalismo sul già noto (per lo più). Primato fu il modo per una generazione di esprimersi e Togliatti lo capì a meraviglia. Quanto all’antisemitismo riguarda i miti colpevoli e malriposti di Bottai. Coinvolge il mimetismo e le colpe fasciste nella Shoah. Non la generazione togliattiana. Anche se è giusto e doveroso parlare di tutto.