Primarie: surrogato di proporzionale o riserva del movimentismo?

Le elezioni “primarie” proposte dallo schieramento di centrosinistra, allo scopo di suffragare la leadership di Romano Prodi attraverso l’espressione di un vasto consenso popolare pensando di rimediare all’assenza di un riferimento partitico in grado di esprimere, appunto, una guida effettiva della coalizione, si stanno affollando di personaggi, motivazioni, variabili, tali da mettere in luce, ancora una volta, non solo le difficoltà che incontrano i soggetti interessati alle primarie nello sviluppare una coerente iniziativa politica, ma dell’intero sistema politico italiano, perennemente sull’orlo della destrutturazione e del riallineamento.
Insomma: la cosiddetta “transizione italiana”, avviatasi all’inizio degli anni’90, tra caduta del muro di Berlino, trattato di Maastricht e Tangentopoli, appare ben lungi dall’essere terminata.
E’ di oggi la notizia, per tornare all’oggetto delle “primarie”, della candidatura del genovese Don Gallo da parte di un gruppo di cosiddetti “Disobbedienti”, mentre alte si levano le lamentale dei “girotondini” che non trovano minimo spazio per il loro appello ad una candidatura della “società civile” (appello, badate bene, sottoscritto anche dallo stesso Don Gallo, addirittura tra i primi firmatari), mentre i leader dei “cespugli” fuori da DS e Margherita, affilano le armi in viste delle rispettive candidature, cercando tutti gli spunti polemici possibili per contendersi i voti e strapparne al maggior candidato.
Verrebbe da dire, parafrasando il “Grande Timoniere”: la situazione sotto il cielo è confusa, ma non eccellente.
Nel centrodestra, di converso, sale la percezione del fallimento non solo elettorale e, di conseguenza, cresce la voglia di “grande centro”, con tentativi di smarcamento dalle parti più oltranziste e avvitate sul “conflitto d’interesse”.
Tutto questo lavorio avviene all’insegna dell’utilizzo più pedestre dell’”autonomia del politico”, mentre crescono i problemi economici e sociali del Paese e non vengono quasi nemmeno più citati i grandi temi internazionali: dalla pace, al terrorismo, all’unificazione europea.
Torniamo, però, all’affollamento che si riscontra attorno al tavolo delle primarie nel centrosinistra: davvero, ad una analisi minimamente approfondita, si trovano validissime ragioni per considerarle frutto di una scelta sbagliata, derivante però da un “adagiamento” su di una concezione della politica che, da sinistra, deve essere respinta e combattuta:
1) da un lato, infatti, c’è chi pensa di utilizzare le “primarie” come una sorta di “conta preventiva”, quasi un surrogato di proporzionale, per poter poi correre liberamente alla spartizione dei collegi sicuri;
2) dall’altro canto, si pensa di utilizzare la vetrina così incautamente offerta, per proporre istanze movimentiste (del tipo “Il PCI al governo, le armi al popolo”) allo scopo di “disturbare il manovratore”, senza porsi il problema della rappresentanza politica complessiva e delegando il tutto ad una idea , insieme astratta e marginale, della “governabilità”.
I grandi assenti, all’interno di questa complessa “bagarre”, sono i contenuti programmatici: della resa, da parte dei dirigenti DS, verso la definitiva “finanziarizzazione” dell’economia, sono colti – da alcuni – soltanto deboli segnali legati alla “questione morale”, mentre non si vede come, su questo terreno, si verifichi una vera e propria “commistione” di istanze legate agli interessi di un ristretto settore del capitalismo italiano (verso il quale si compie una operazione di presunto “realismo”), rinunciando ad un confronto, almeno posto a livello, europeo, sulle urgenti esigenze di innovazione , trasformazione, adeguamento del nostro sistema produttivo.
Politica ed economia restringono, nel loro intreccio, il campo degli interessi da promuovere,e, addirittura, a sinistra resta scoperto il campo della socialdemocrazia classica: intervento pubblico in economia, welfare universalistico, rafforzamento delle istituzioni attraverso l’espressione del concetto di rappresentanza.
Attorno a questi nodi, ormai del tutto dimenticati, il sistema politico italiano rischia di implodere, per la seconda volta, nel giro di un quindicennio, con rischi gravi per le condizioni materiali di vita dei settori sociali più deboli, già sottoposti ad un pesante bombardamento nelle condizioni di lavoro, nella precarietà del sostegno alle situazioni più deboli, alla difficoltà di risposta ad un miglioramento di qualità nella vita sociale, culturale, della comunicazione di massa.
Si tende a risolvere tutto nell’esaustività dell’alternanza; nel considerare la governabilità il fine ultimo dell’agire politico.
Così non è e non deve essere: la sconfitta del centrodestra corrisponderà, alla fine, ad una omologazione del centrosinistra all’interno del quadro neoliberista.
Si tratta di una facile previsione: ciò che appare non considerato, fortemente sottovalutato, è il pericolo di una non rappresentanza, su questo terreno, di vasti settori della società italiana che, alla fine, si troveranno sbalzati fuori definitivamente da qualsiasi prospettiva di considerare praticabile il meccanismo della rappresentanza politica.
Nasce da qui l’idea di una “sinistra non governativa”, capace di affrontare i temi che si è cercato di esporre schematicamente in questa occasione, capace di non farsi coinvolgere nel gioco delle primarie, rifiutando personalizzazione e spettacolarizzazione della politica e di mettere in evidenza i contenuti di fondo di una alternativa, difficile e forse lontana, ma fondata sul concreto di visibili istanze programmatiche e su di una idea di politica dai meccanismi articolati, ma misurata– ancora, come è necessario – sulla centralità dei consessi elettivi e su di una capacità di rappresentanza provvista di un effettivo radicamento sociale.

Savona, li 21 Agosto 2005