Il tempo stringe. Guglielmo Epifani ha sottolineato su l’Unità l’esigenza che il centro-sinistra definisca al più presto comuni posizioni politiche e programmatiche sulle grandi questioni che l’Italia ha di fronte. Curzio Maltese, su La Repubblica, nel segnalare questo ritardo dell’opposizione, è arrivato a porre l’angosciante domanda: “Riusciranno i leader del centro-sinistra a rimettere in sella ancora una volta Berlusconi?” Nel frattempo, la situazione in Iraq si fa sempre più drammatica.Se entro poche settimane il centro-sinistra non troverà il modo, e prima ancora la sede, per le grandi scelte da contrapporre alla maggioranza, a partire dalla pace, dalla legge finanziaria e dal federalismo, c’è il rischio serio di non riuscire a capitalizzare lo scontento e le difficoltà profonde del centro-destra. Il tempo a disposizione è scarso. Le elezioni politiche si avvicinano, e non si può escludere un anticipo al 2005. Che lo si voglia ammettere o no, è al primo posto dell’agenda politica la questione di come rimediare ai guasti di Berlusconi e del berlusconismo. E soprattutto di come si possa risolvere il dilemma tra declino e rilancio del paese senza attentare ai diritti di chi lavora, al futuro dei giovani, alla dignità dei pensionati, e senza presentare un conto insostenibile alle povertà vecchie e nuove.Nel dibattito agostano si è discusso di primarie e di logo della coalizione. Poco, davvero. Ma per una parte il dibattito non è puramente nominalistico, e conviene occuparsene.Che nel maggioritario delle prossime elezioni politiche sarebbe stato impensabile ripresentare il nome e il simbolo dell’Ulivo lo avevo segnalato da tempo, e avevo parlato, appunto, di una nuova coalizione democratica. Era chiaro infatti che la scelta positiva di Rifondazione comunista – che dell’Ulivo non ha mai fatto parte – di concorrere questa volta a una comune alleanza di governo, nonché quella meno positiva dei partiti del listone di usare in proprio quel nome e quel simbolo, avrebbero reso necessario per il centro-sinistra trovare appunto un nuovo nome e un nuovo simbolo. Prima lo si fa meglio è.Il quesito è un altro e riguarda sia il programma, sia il progetto politico. Quanto al programma, vi saranno elementi di innovazione e discontinuità (come a mio avviso sarebbe necessario), e quali, rispetto all’esperienza di governo del vecchio Ulivo? E quanto al progetto politico, in “una coalizione democratica” formata dalla “federazione riformista” e da alcuni partiti che si autodefiniscono di sinistra “alternativa” o “radicale”, che fine fa la sinistra di ispirazione socialista? Dobbiamo perderne persino il nome, perpetuando una anomalia tutta italiana nel quadro europeo? Anche Vannino Chiti, non so se per scherzo o sul serio, ha sollevato questo dubbio. La questione non è nominalistica e dovrà essere affrontata dal Congresso dei Ds. Si va verso una nuova alleanza tra partiti, o verso una sorta di grande partito democratico di tipo presidenzialista, come farebbe pensare l’entusiasmo (almeno apparente) per l’idea delle primarie per la scelta del leader? E che fine farebbero i Ds in tutto questo? Non mi pare un quesito irrilevante.E veniamo alla questione delle primarie. Va bene essere innovativi. Ma nelle forme proposte non le fa proprio nessuno nel mondo, e di certo non mi persuadono. Si è parlato di primarie per il programma. Ma non dimentichiamo che le primarie sono essenzialmente una procedura selettiva fondata sul voto. Non è certo il modo migliore per definire un programma di governo, che ha bisogno di mediazioni talvolta complesse, soprattutto in un contesto di coalizione. Più complessa è la questione, meno è probabile che si possa sciogliere il nodo con un voto. E poi, la parte che ponesse un punto di programma come fondamentale e soccombesse nel voto, come potrebbe rimanere in coalizione? Se invece tutti sono d’accordo, che bisogno c’è di votare? In un partito, la primaria sul programma è in realtà un congresso. E quello dei DS sta per cominciare. In una coalizione, semplicemente non si può votare a maggioranza sul programma. Bisogna raggiungere l’accordo in altro modo. Dunque, le primarie non sono lo strumento giusto per rispondere alla domanda – pur vera e fondata – di partecipazione democratica nella definizione delle grandi scelte di programma.Veniamo alle primarie sulle persone. Proviamo a misurarci con l’ipotizzata novità, giacché anche per la selezione del personale politico la necessità di processi democratici per la formazione delle grandi scelte di programma e per la selezione del personale politico certamente esiste e i partiti italiani dimostrano forti limiti nello svolgere in proprio questa che pure è una loro funzione fondamentale. Ma perché di questo davvero si tratti, e tutto non si risolva invece in una operazione verticistica, in una conferma della vecchia politica oligarchica, sono necessarie due elementari condizioni. La prima è che ci sia la più ampia base di partecipazione: tra gli iscritti ai partiti, ma anche tra gli elettori, se si riesce a dare ai problemi tecnici una soluzione soddisfacente, come ritiene – tra gli altri – Augusto Barbera. La seconda condizione è che ci sia una adeguata rosa di candidati: adeguata sul piano numerico e su quello della rappresentanza di posizioni politiche e programmatiche. Se tutti sono d’accordo che il candidato è uno solo, Romano Prodi, e tutti – salva la disponibilità di Fausto Bertinotti, che pure il nome di Prodi non discute – dichiarano la propria non candidatura, per favore lasciamo perdere. Se insomma, come dice Piero Fassino, il problema è di dare “massima forza e legittimità alla leadership di Romano Prodi”, non si parli di primarie. Si trovi la sede solenne perché tutti i partiti indichino Prodi, in modo da eliminare quei sospetti e quei fattori di inquinamento che accompagnano purtroppo da molti anni la vita dell’Ulivo, e si chiuda lì. Se invece si vuole provare a introdurre qualcosa di nuovo, che sia davvero democratico, occorre che le candidature siano più numerose, e ciò per alcuni motivi fondamentali.In primo luogo, una vera scelta presuppone una vera possibilità di scegliere, altrimenti è una finzione. Inoltre, nell’arco dei sostenitori e dei potenziali elettori del centro-sinistra molti sono – io ritengo – coloro che preferirebbero una posizione politico-ideale diversa da quella di Prodi o di Bertinotti, e si deve dare loro la possibilità di esprimere questa opzione. Se anche fossero in pochi, solo con il voto sarebbe possibile saperlo. Ma soprattutto – come dicevo prima – in una competizione (apparentemente) a due, come quella che si è venuta prefigurando nel dibattito sotto gli ombrelloni, resterebbe fuori la sinistra di ispirazione socialista, cioè la posizione politica di gran lunga prevalente nel centro-sinistra europeo. Proprio per questo, se la via delle primarie dovesse aprirsi, ritengo che i DS non potrebbero sottrarsi al compito di portare nella competizione appunto quella sinistra. E laddove questo non si facesse,per scelta tattica o (peggio) perché si ritiene che l’identità da affermare sia quella “riformista” e non della sinistra socialista, comunque una candidatura rappresentativa di una posizione socialista di stampo europeo dovrebbe esserci. E dichiaro qui la mia disponibilità.