Può sembrare un paradosso, ma la tragedia appena consumatasi a Mosca è esplosa in un periodo di intensi tentativi per uscire dalla crisi cecena. Se l’opinione pubblica occidentale, che si interessa del problema solo nei momenti di crisi acuta (l’abbattimento degli elicotteri russi in agosto, la tensione fra Russia e Georgia), tende a vedere la situazione come una barbara lotta senza quartiere, è vero esattamente il contrario: le parti in causa hanno iniziato da circa un anno una paziente opera di avvicinamento.
Da una parte, dopo l’11 settembre, gli spazi di azione e l’appoggio internazionale del “presidente” secessionista in esilio Mashadov (legato al terrorismo islamico wahhabita ed “eletto” nel gennaio 1997 in una situazione di totale arbitrio) si sono fortemente ridotti; dall’altra, la penetrazione strategica degli Usa nelle ex repubbliche sovietiche dell’Asia centrale (formalmente in chiave di appoggio logistico all’intervento afghano) ha posto la Russia di fronte alla necessità di recuperare un qualche equilibrio almeno nel Caucaso.
Già a febbraio il Consiglio di sicurezza della Federazione Russa ha preso atto dell’impossibilità di risolvere la crisi per via militare e ha avviato l’elaborazione di una Costituzione per la Cecenia (che ne è sempre stata priva) da sottoporre a referendum nel 2003 sotto osservazione internazionale. Per i rapporti fra i due soggetti statali si parlerebbe di una soluzione sul modello del legame fra Danimarca e Groenlandia.
La controparte per la stesura del progetto costituzionale è nominalmente il capo dell’amministrazione cecena ad interim, il “filorusso” Kadyrov, ma i veri interlocutori sono Mashadov e i leader della diaspora cecena. Questi ultimi, preoccupati dalle continue vendette di sangue fra ceceni che minacciano di sfociare in una guerra civile, hanno accolto con favore l’istituzione a Grozny di un consiglio di conciliazione fra le fazioni.
Il piano per un referendum costituzionale è stato presentato al Consiglio d’Europa in settembre dal portavoce di Putin per la Cecenia, Sultygov (fautore del dialogo, e la cui nomina a tale carica in luglio aveva rappresentato di per sé un segno di apertura).
Intanto, l’opera diplomatica prosegue. Lo stesso Mashadov ha recentemente ammesso l’esistenza di trattative e condannato il terrorismo islamico, mentre il ministro degli interni russo Gryznov ha dichiarato che nel 2003 la guida delle azioni antiterroristiche in Cecenia sarebbe passata dai servizi di sicurezza militari al ministero degli Interni.
L’azione terroristica che ha colpito Mosca è opera di frange estremiste, non a caso subito sconfessate dallo stesso Mashadov, e probabilmente dirette da centrali situate all’estero: è di ieri l’informativa dei servizi segreti russi su contatti dei terroristi con non ancora specificate «rappresentanze diplomatiche di paesi stranieri a Mosca». Nondimeno, sulla spinta di un’opinione pubblica esasperata, le conseguenze potrebbero essere gravissime: l’intensificazione del conflitto o la secessione tout court della repubblica caucasica. Tale soluzione precipiterebbe la Cecenia nella guerra per bande e ne farebbe, come già nel periodo della “pseudo-indipendenza” fra il 1996 e 1999, il ricettacolo extraterritoriale per tutte le attività criminali della regione, destabilizzando l’intera area della Russia musulmana. Mosca sarebbe così tagliata irrimediabilmente fuori dai flussi del petrolio caspico, sostituita in prospettiva da una massiccia presenza politica e finanziaria turca, e vedrebbe gravemente minata la propria stessa sopravvivenza.