“Prigionieri della Cia”

Un ex Paese comunista dell’Europa dell’Est ospita una delle principali carceri segrete della Cia dove vengono detenuti, interrogati e (i democratici sospettano) torturati i terroristi islamici. L’ha rivelato ieri il Washington Post, precisando che la prigione clandestina dell’intelligence statunitense si trova in un’«installazione dell’era sovietica», situata in un Paese dell’ex blocco comunista il cui nome non viene svelato su precisa richiesta dell’amministrazione Bush.
La prigione europea non è però un caso isolato: «Quel carcere fa parte d’una rete segreta istituita dalla Cia quattro anni fa – rivela il quotidiano -. Una rete che, in periodi diversi, aveva compreso ben otto Stati, tra cui Thailandia, Afghanistan e alcune democrazie est europee, oltre al piccolo centro di Guantanamo, a Cuba».
La rivelazione del Washington Post ha scosso l’America ed esasperato i democratici, che ieri hanno imposto ai repubblicani una seduta a porte chiuse al Senato per discutere lontano da telecamere e testimoni esterni la situazione dell’intelligence alla vigilia della guerra poi scatenata contro l’Iraq. E anche per continuare a dibattere l?ormai famoso «Ciagate», lo scandalo che ha colpito Lewis Scooter Libby, costretto a dimettersi da capo dello staff del vicepresidente Dick Cheney dopo essere stato incriminato per una fuga di notizie su un agente della Cia. Libby apparirà oggi in tribunale per la prima udienza e secondo varie fonti dovrebbe dichiararsi innocente.
Tornando allo scandalo delle carceri segrete, mentre era noto che la Cia
ne avesse in Afghanistan e in tre Paesi arabi amici (Egitto, Giordania e
Marocco), fino a ieri si ignorava però che l’intelligence di Washnigton ne
avesse avute e ne avesse ancora nell’Est europeo. Russia e Bulgaria hanno negato di essere il Paese interessato. E ha negato di far parte della rete clandestina anche la Thailandia, che secondo il Washington Post costrinse in realtà la Cia ad andarsene un anno e mezzo fa.
La Casa Bianca non ha smentito il giornale. Invece il suo portavoce Scott McClellan ha dichiarato: «Non entriamo nei dettagli dell’attività dell’intelligence. Continuiamo la caccia ai terroristi nel rispetto dei nostri obblighi legali. Una delle prime e più importanti responsabilità del presidente è di proteggere il popolo degli Stati Uniti». Ma Bush potrebbe essere chiamato in causa: fu una sua disposizione del settembre 2001, dopo la strage delle Torri gemelle, a consentire alla Cia di ignorare le leggi e aprire all?estero i «Black Sites», o luoghi neri, come le prigioni sono definite nei documenti classificati della Casa Bianca, della Cia, e nei documenti del dipartimento della Giustizia e del Congresso. I Paesi che le ospitano dicono di seguire la Convenzione Onu contro le torture, ma i democratici ne dubitano.
Stando al Washington Post, la Cia aprì il primo carcere (detto Sand pit , buco di sabbia) presso Kabul, dopo che alcuni terroristi morirono soffocati in un container alla fine del 2001. Per il quotidiano i detenuti della Cia in tutto il mondo sarebbero trenta membri di Al Qaeda, per lo più in Afghanistan, e altri 70 restituiti ai loro Paesi d’origine, come Egitto e Giordania. I democratici non sono soli nella loro battaglia contro l’amministrazione.
Sulla scia degli scandali di Abu Ghraib e di altre carceri militari, il senatore repubblicano John McCain, che fu catturato e torturato dal nemico in Vietnam, ha varato una legge, approvata con 90 voti a 8, contro le torture. Il New York Times ha riferito che il vicepresidente Cheney sta premendo perché la Cia ne sia esentata, e possa continuare a usare «particolari tecniche» negli interrogatori. Stando al giornale però, l’amministrazione si è spaccata in due: dall’interno un suo critico ha dichiarato che «il terrorismo non si combatte con questi metodi, ma con vaste e solide alleanze».
Anche la Cia è sempre più divisa al suo interno: soltanto così si spiega,
secondo la stampa americana, come la notizia dei Black Sites sia arrivata con tanti dettagli al Washington Post. La capacità avuta finora dall’agenzia di intelligence e dalla Casa Bianca di dissuadere il Congresso, in nome della sicurezza nazionale, dal fare troppe domande o chiedere risposte pubbliche sui detenuti «terroristi» pare ormai svanita.