Previdenza integrativa: inefficace e iniqua. Costa troppo ed è rischiosa

E’ in dirittura d’arrivo il decreto legislativo che introdurrà il passaggio del Tfr ai fondi pensione via silenzio-assenso. I lavoratori dipendenti avranno sei mesi di tempo per esplicitare il loro no; altrimenti il Tfr che matureranno da gennaio verrà automaticamente versato alla previdenza privata. Coloro che diranno no potranno comunque ripensarci in un secondo momento, mentre la rinuncia al Tfr sarà irreversibile. Nelle bozze anticipate emergono parecchi punti discutibili: dalla tassazione di favore per le pensioni private, laddove sulle pensioni pubbliche si paga la normale imposta sul reddito, all’equiparazione di fondi negoziali, fondi aperti e polizze assicurative, pur a fronte di perduranti differenze nei costi, nella trasparenza, nelle garanzie offerte agli aderenti. Ma è soprattutto la scelta di fondo a favore della previdenza integrativa che deve essere rimessa in discussione. Perché ad un problema vero, l’inadeguatezza delle pensioni future, si dà una risposta, la previdenza privata, del tutto inadeguata. Al popolo che chiede pane si propongono (a sue spese) al più salatissime brioches. Partiamo dal problema vero. Le pensioni pubbliche risulteranno, per i lavoratori più giovani, di molto inferiori alle attuali. Ci sarà innanzitutto un peggioramento netto e improvviso attorno al 2020, quando inizieranno a ritirarsi coloro che avevano meno di 18 anni di contributi nel 1995: i nuovi pensionati vedranno la propria pensione calcolata per la maggior parte con la nuova formula contributiva, molto meno favorevole, col risultato di pensioni più basse del 20-30% per i dipendenti, del 40-50% per gli autonomi. La situazione si aggraverà negli anni successivi, mano a mano che la nuova formula contributiva verrà estesa a tutta la carriera lavorativa: nel 2040 la pensione pubblica assicurerà ad un dipendente con 35-40 anni di carriera appena il 50-60% del salario al momento del pensionamento, ad un autonomo il 30-40%.
Nei fatti la situazione risulterà probabilmente ancora peggiore. Da un lato le pensioni sono ormai indicizzate ai soli prezzi, non anche ai salari,
dunque il pensionato sperimenta dopo il ritiro un progressivo impoverimento rispetto al resto della popolazione. Dall’altro, anche andando in pensione più tardi, risulterà sempre più difficile maturare 35-40 anni di contribuzione: aumenta infatti l’età media di ingresso nel mercato del lavoro, mentre la «flessibilità» attuale implica lunghi periodi di lavoro a contribuzione ridotta (cococo, cocopro, ecc…), quando non addirittura di inattività.
Insomma, è probabile che dal 2020 il livello troppo basso delle pensioni
diventerà un’emergenza nazionale. Vedremo moltiplicarsi i «vecchi» che non ce la fanno ad assicurarsi i beni primari. Se l’adeguatezza delle pensioni future è problema vero, la soluzione previdenziale integrativa proposta è però inefficace, iniqua, rischiosa e costosa.
Inefficace perché non è in grado di assicurare prestazioni adeguate proprio a coloro che più ne avranno bisogno, ovvero i lavoratori precari e a basso reddito, che non possono permettersi di pagare i relativi contributi o, se provano a farlo, sono costretti a smettere dopo qualche anno, con conseguenti penali che erodono buona parte del capitale accumulato.
Inefficace perché coloro che potranno permettersela (i settori più benestanti del lavoro autonomo) non faranno altro che destinare alla
previdenza integrativa risparmi che già detengono sotto altre forme, al
solo scopo di sfruttare i vantaggi fiscali. Inefficace: i dipendenti che
rinunceranno al Tfr si troveranno, estremizzando, con una pensione
integrativa in più ma senza casa di proprietà.
Iniqua, la previdenza privata: chi può permettersela e sfruttarne i vantaggi fiscali sono solo i ricchi e i settori più tutelati del lavoro dipendente. Il sistema fiscale e previdenziale diventa regressivo: i ricchi
pagano meno tasse e hanno pensioni più alte (tassate molto favorevolmente); i poveri non riescono a beneficiare degli sgravi fiscali quando lavorano e per giunta, quando non lavorano più, ricevono pensioni più basse ed interamente tassate.
Rischiosa, la previdenza privata, perché gli andamenti ballerini dei mercati finanziari rendono le pensioni integrative un terno al lotto. Un
rischio che ricade interamente sul lavoratore: è lui che ci guadagna o
rimette, assicurazioni, banche e fondi pensione hanno rischio zero. Così
una pensione integrativa potrà essere alta o bassa a seconda dell’andamento dei mercati borsistici, dei tassi di interesse, del tasso di inflazione nei prossimi venti o trent’anni. Di fatto, l’esperienza recente, così come quella di tutto il `900, mostra miriadi di casi nei quali i lavoratori hanno perso praticamente tutto, a causa di guerre, inflazione, crolli dei mercati azionari, crisi economica.
Costosa, la previdenza privata, perché costa, e molto, far gestire le
risorse dei fondi pensione da banche e assicurazioni, le uniche a guadagnarci in ogni caso. Costosa perché non potrà offrire rendimenti
sostanzialmente più elevati della previdenza pubblica. Sarebbe più
conveniente riformare il sistema pubblico per continuare a garantire
prestazioni dignitose, come in Francia, integrando le entrate contributive
con risorse aggiuntive quali la carbon tax o un fondo di riserva.
Ancora, costosa perché la previdenza privata richiede ingenti risorse
pubbliche. 150 milioni sono già stanziati per la previdenza dei dipendenti
pubblici. 200 milioni per il 2006 e 530 milioni l’anno dal 2007 sono stati destinati a compensare le aziende della mancata gestione del Tfr. Infine,
le minori entrate fiscali. Già oggi lo Stato rinuncia a tassare i circa 5 miliardi di contributi alla previdenza integrativa: solo in minima parte verranno compensati da maggiori future entrate fiscali; se col silenzio assenso i contributi alla previdenza integrativa diventassero 15 o 20 miliardi la spesa fiscale triplicherebbe.
Si tratta di un onere che potrà essere fra i 2 e i 4 miliardi di euro l’anno. E’ proprio questo il momento per giocare risorse così ingenti sulla ruota dei fondi pensione? Con un deficit ai livelli attuali, con la necessità di rilanciare l’economia realizzando quegli interventi (trasporti pubblici, casa, ricerca, asili…) per troppo tempo rimandati, non sarebbe opportuno puntare su ben altro?