Chi fa la politica economica dei vari paesi avanzati? La domanda gira da tempo, ma in certi giorni – ieri per esempio – la risposta è chiara: gli organismi sovranazionali di statuto «economico». Naturalmente, dipende anche da quale peso globale hanno i governi così brutalmente «sollecitati» e, in prospettiva, espropriati delle proprie funzioni. L’Italia, non ne ha molto, e nulla sembra contare il fatto che abbia stabilito già da anni il «primato mondiale nelle privatizzazioni». Del resto, sono finite in un disastro non commentabile. In un solo giorno, la Banca centrale europea (Bce) e il Fondo monetario internazionale (Fmi) sono intervenuti per ordinare ai governi nazionali le proprie ricette. Uguali, ci mancherebbe.
Nello stesso giorno ben due «poteri» nazionali – la Banca d’Italia e il ministro dell’economia, Tommaso Padoa Schioppa – hanno a loro modo rincarato la dose delle «raccomandazioni». Certo, il governatore di Bankitalia è membro della Bce; il ministro lo è stato… Qualche dubbio sulla capacità di distinguersi dai propri colleghi è lecito.
Il succo delle raccomandazioni è semplice. Le cose vanno meglio, la crescita – anche italiana – è superiore alle attese, l’inflazione rallenta, le esportazioni tirano e quelle verso l’Asia (Cina in primis) superano ormai quelle verso gli Stati uniti, il paese potrebbe centrare gli obiettivi di rientro del deficit entro i parametri di Maastricht… ma proprio per questo, bisogna «stringere» la corda e pensare soltanto al risanamento dei conti pubblici. La via maestra – per Fmi e Bce – è la «riforma delle pensioni», perché «la popolazione invecchia». Andrebbe bene anche una «riforma fiscale» – per abbassare le tasse, ma non al lavoro dipendente – ma qui Padoa Schioppa frena, perché per farlo «bisogna avere risultati certi, che per ora non abbiamo». Le entrate fiscali sono cresciute oltre ogni attesa e limite ma – come auspica la Bce – «si dovrebbe cogliere l’opportunità per conseguire finanze pubbliche sane entro l’orizzonte dei programmi di stabilità; al più tardi entro il 2010». Questa impostazione azzera permanentemente ogni possibilità di redistribuzione del reddito, di perequazione; la diffusione del benessere (e della coesione sociale) è demandata al «mercato». Se questo non ce la fa, beh, si vede che non si può fare. Certo, paesi come la Francia o la Germania «resistono» a questa pressione suicida – per i governi, ma soprattutto per i governati – con ben altra lungimiranza e testardaggine. In Italia no. Abbiamo bisogno di apparire – magari non di essere – i primi della classe, dopo decenni passati tra i banchi laggiù in fondo. Il risultato di tanto integralismo ragionieristico può esser letto nello scollamento drammatico tra paese e governo; anzi, tra base sociale del centrosinistra e governo. Vi sembra uno scenario troppo complesso per poter dare risposte univoche? va bene, Prendiamo allora i lavoratori del ministero dell’economia, quelli alle dipendenze del «ragionier» Padoa Schioppa. Non andranno al prossimo «tavolo» di trattativa perché tutte le questioni che dovevano esser lì discusse (premi di risultato per le vittorie sull’evasione fiscale, ecc) sono già state decise d’autorità dal ministro stesso. Al massimo, si sarebbe dovuto discutere delle modalità di attuazione. Un vero genio della comunicazione sociale.