Presidio NO-CPT Bari

Un muro di cemento alto sei metri e un cancello rinforzato da una fitta rete metallica che appena lascia intravedere le sagome di alcune costruzioni basse, imbiancate di fresco. E’ tutto quello che si può vedere del più recente Centro di Permanenza Temporanea costruito in Italia, uno dei più grandi sul territorio nazionale, che dovrebbe entrare in funzione nel giro di pochi giorni.

Siamo all’estrema periferia di Bari; da un lato si ergono, isolati, i palazzoni in serie del Centro Edilizia Popolare, la banlieu del capoluogo pugliese, dall’altro lato si stende la campagna. Davanti al cancello blindato, due camionette e una volante della polizia, poco più in là la roulotte degli attivisti della “Rete No-Cpt”. Stanno facendo più o meno la stessa cosa, poliziotti e manifestanti: ingannano il tempo e aspettano. L’arrivo degli immigrati destinati al Centro di nuova costruzione è rimandato di giorno in giorno fra le polemiche in Prefettura e al Comune di Bari e il disinteresse al di fuori del territorio.

L’inchiesta di Fabrizio Gatti per L’Espresso ha riportato il tema della gestione dell’immigrazione nell’agenda mediatica e politica, eppure l’apertura del Cpt di Bari, parallela a quella del Cpt di Gradisca d’Isonzo (Go), non riesce a varcare la soglia dell’interesse nazionale.

Il fronte anti-Cpt pugliese, tuttavia, vede schierati dalla propria parte il Presidente della Regione Nichi Vendola, il primo a sollevare il problema in ambito istituzionale, e il Sindaco di Bari, Michele Emiliano, che ha avanzato un’inedita proposta di “disobbedienza amministrativa” chiedendo agli enti che gestiscono acqua, luce e gas, di non erogare il servizio alle strutture del Centro di Permanenza. Poco male sarebbe per chi gestirà il centro, non offrire i servizi indispensabili ai propri “ospiti” e il Cpt aprirebbe lo stesso – osservano alcuni manifestanti pensando alle condizioni inumane del soggiorno, descritto dal giornalista dell’Espresso, al Cpt di Lampedusa.

La società che ha vinto l’appalto per la gestione del Cpt di Bari, infatti, è la stessa che opera nell’isola siciliana, la Confraternita della Misericordia. L’associazione cattolica è subentrata in seguito alla rinuncia della Croce Rossa, che si è sottratta all’incarico espressamente “per motivi di incompatibilità etica”.

La possibilità che all’interno del nuovo Cpt si violino i diritti umani e non si rispetti la dignità degli individui non è, tuttavia, il nodo principale attorno al quale si raccoglie la protesta degli attivisti, quanto piuttosto l’istituto stesso del Centro di Permanenza Temporanea come metodo di gestione dell’immigrazione.

Tali centri sono stati creati con la legge Turco-Napolitano (art. 12 L. 40/1998) per accogliere quegli stranieri sprovvisti di permesso di soggiorno e “sottoposti a provvedimenti di espulsione con accompagnamento coattivo alla frontiera non immediatamente eseguibile”. La dicitura integrale del nome in origine, era infatti “Cpta” dove la A di “assistenza” sottolineava il carattere umanitario che tali strutture avrebbero dovuto assumere per essere nettamente distinte dagli istituti penitenziari.

Nella pratica, come è noto, la “A” di assistenza è stata significativamente dimenticata, così come il carattere di eccezionalità impresso dal legislatore di centro-sinistra alla prassi della detenzione nei Centri di Permanenza per immigrati.

Di fatto, lo status che spetterebbe agli immigrati clandestini in attesa di rimpatrio sarebbe quello di “trattenuti” o “ospiti”, nella pratica, invece, viene loro limitata la libertà personale esattamente come si farebbe con dei criminali.

La legge Bossi-Fini ( L. 189/2002) non solo ha legittimato questa interpretazione ma ha ampliato i tempi di fermo e interdizione dall’area di Schengen. L’accompagnamento alla frontiera, che una sentenza della Corte Costituzionale ha definito limitazione alla libertà di circolazione, è stata resa prassi normale mentre per la legge Turco-Napolitano era prevista solo in casi particolari.

La differenza tra i due provvedimenti di legge è evidente fin dal linguaggio; allarmistico nel caso della Bossi-Fini che prende in considerazione il fenomeno immigrazione solo dal punto di vista del crimine, dimenticando quello dei diritti e senza prestare alcun interesse, ad esempio, allo status dei richiedenti asilo che possono rimanere rinchiusi in un Cpt anche fino a 60 giorni, anche perché i tempi per la concessione dell’asilo non sono affatto stati snelliti come inizialmente deciso.

Il testo della legge 189/2002 prevede di affiancare ai Cpt l’istituto dei Cdi (centri di identificazione) appositamente per i richiedenti asilo, ma la realtà dei fatti è piuttosto diversa. Basti pensare che il centro di Lampedusa visitato da Fabrizio Gatti, è ufficialmente un Cdi oltre che un Cpa (centro di prima accoglienza).

L’inchiesta di Fabrizio Gatti per L’Espresso ha svolto un compito (accertare casi di violazione dei diritti umani e della dignità personale) che sarebbe spettato alle commissioni d’inchiesta istituzionali (della Prefettura, del Parlamento Italiano e di quello Europeo), che invece non hanno fatto altro che lasciare che la questione passasse in secondo piano. Per compiere il suo lavoro Gatti ha dovuto camuffarsi da curdo, fornire false generalità e rischiare per questo ripercussioni penali.

Nei Cpt di Crotone, Brindisi, Milano e negli altri (quasi una ventina contando quelli di prossima apertura) sparsi sul territorio italiano non sono solo i diritti umani ad essere violati, ma anche il diritto di informare ed essere informati. Articolo 21 della Costituzione.