Presidenti sotto tiro

Jacques Chirac, perseguito dai giudici e bersagliato dai media, non è certo l’unico presidente sotto tiro nel mondo. Un po’ ovunque, sia pure in forme diverse, sono in corso procedimenti a carico di presidenti anche democraticamente eletti, a volte tuttora in carica: indagati, accusati, braccati senza alcun riguardo per la loro funzione, che fino a poco tempo fa era considerata quasi sacra, tanto da renderli praticamente intoccabili. Ma ormai non è più così. E chi sostiene che «ora l’Ancien Régime è finito davvero» non ha tutti i torti, poiché in qualche modo la «maestà» della funzione presidenziale viene ad essere letteralmente decapitata sotto i nostri occhi.
Non sfuggono al tiro neppure i «padroni del mondo». I presidenti riunitisi dal 20 al 22 luglio a Genova in occasione del vertice dei sette paesi più ricchi del pianeta (G8, con l’aggiunta della Russia) si sono trovati confrontati con le manifestazioni di una collera ampiamente diffusa (si leggano, alle pagine 4 e 5, gli articoli di Susan George e di Riccardo Petrella). Benché non sia rivolta direttamente contro di loro, la protesta investe il fenomeno senza volto della globalizzazione, incarnato da questi leader, che hanno offerto la detestabile immagine di un club di ricchi arroganti, arroccati a bordo di una lussuosa imbarcazione da crociera o dietro bastioni militarizzati, isolati dalla rabbia popolare, protetti da una polizia in assetto di guerra che non ha esitato a uccidere un giovane contestatore di 23 anni, Carlo Giuliani…
Assediati da almeno 200mila manifestanti, i presidenti del G8, visibilmente impreparati, si sono limitati a difendersi continuando a ripetere un unico argomento: «Siamo stati eletti democraticamente!». Come se questo fatto avesse ancora una qualsiasi virtù magica. Per i cittadini, questo è davvero il minimo. Un minimo che non autorizza affatto i presidenti a disattendere le loro promesse elettorali e a tradire l’interesse generale; e neppure a privatizzare e liberalizzare a spron battuto pur di soddisfare, a qualunque costo, le richieste delle imprese che hanno finanziato le rispettive campagne elettorali.
Di fatto, almeno due presidenti su sette – George Bush e Silvio Berlusconi – rappresentano gli ambienti affaristici assai più che i propri concittadini.
I procedimenti in atto contro responsabili politici riguardano innanzitutto i capi di stato o di governo accusati di crimini di guerra o di delitti contro l’umanità. Come il generale Pinochet, ex dittatore del Cile, arrestato a Londra nel 1998 su denuncia del giudice spagnolo Baltasar Garzón, e rispedito nel marzo 2000 nel suo paese, dove è stato nuovamente incriminato dal giudice Guzmán; ma il 9 luglio scorso quest’ultimo procedimento è stato sospeso con il pretesto di un «degrado della salute mentale dell’ex dittatore».
Il caso Pinochet ha costituito una svolta determinante nella lotta contro l’impunità su scala internazionale. Da quel momento in poi, vari ex leader sono stati chiamati a rispondere dei loro atti ai giudici. Come il generale algerino Nezzar, accusato di crimini di guerra da un giudice parigino; o l’ex segretario di stato americano Henry Kissinger, convocato a Parigi da un giudice istruttore per la sua presunta partecipazione, nel 1973, al colpo di stato contro Salvador Allende in Cile. O il primo ministro israeliano Ariel Sharon, che non può più mettere piede in territorio belga, dove sono state emesse a suo carico varie denunce per complicità nei massacri del 1982 di Sabra e Chatila, alla periferia di Beirut.
In Senegal, dove si era rifugiato, il 3 febbraio 2000 l’ex presidente del Ciad, Hissène Habré, è stato incriminato per «complicità in pratiche di tortura»; ora è agli arresti domiciliari. Più recentemente, il 10 luglio scorso, il generale argentino Jorge Videla, autore del colpo di stato del 1976, è stato denunciato e posto in detenzione preventiva per la sua presunta partecipazione al Piano Condor, un patto di morte stabilito negli anni 70 tra le dittature militari dell’America latina per far «scomparire» sistematicamente i loro oppositori. E c’è stata infine, il 29 giugno scorso, la controversa consegna (1) dell’ex presidente jugoslavo Slobodan Milosevic al Tribunale penale internazionale per l’ex Jugoslavia (Tpij) dell’Aja, con l’imputazione di «crimini contro l’umanità».
Ma a dover rispondere oggi alla giustizia non sono solo gli autori di atti sanguinari; vari procedimenti penali sono in corso anche nei confronti di presidenti democraticamente eletti, per motivi legati in particolare alla corruzione. A questo riguardo, un’esigenza di moralità si sta manifestando su scala internazionale. Nel giugno scorso ad esempio, l’ex presidente argentino Carlos Menem è stato arrestato e assegnato agli arresti domiciliari con l’accusa di traffico illegale di armi, con commissioni occulte per varie decine di milioni di dollari…
Quanto ad Alberto Fujumori, ex presidente del Perù, pure democraticamente eletto, dal novembre 2000 è rifugiato in Giappone per sfuggire alla giustizia del suo paese che lo accusa di corruzione e massacri. Il suo ex braccio destro Vladimiro Montesinos, già uomo forte del regime, è stato pure arrestato e incarcerato nel giugno scorso. Nelle Filippine, il 20 gennaio 2001, in seguito a uno scandalo per atti di corruzione, il presidente Joseph Estrada è stato esautorato sotto la pressione della piazza, e quindi incriminato per aver saccheggiato 80 milioni di dollari sottratti alle risorse economiche del paese; il suo arresto è avvenuto il 25 aprile scorso. In Indonesia, il 23 luglio il presidente Wahid è stato costretto a dimettersi, sempre per atti di corruzione.
E si potrebbe continuare con gli esempi… Peraltro, la contestazione di dirigenti politici non è un fenomeno limitato agli stati democratici e sviluppati del Nord, ma si sta ormai estendendo a numerosi paesi del Sud. Come se alla globalizzazione finanziaria facesse riscontro un’esigenza globale di moralità. E tutto questo avviene a una velocità quasi pari a quella che ha visto il movimento anti-globalizzazione passare, in meno di due anni, da Seattle a Genova, dalla protesta folkloristica alla rivolta di una generazione, dalla contestazione puntuale alla guerra sociale planetaria.

note:

(1) Si legga Catherine Samary, «Les incohérences du Tribunal Pénal International» www.monde-diplomatique.fr/cahier/kosovo/samary0701.