A proposito di una campagna di stampa contro il Vietnam
È quanto meno bizzarro che di un Paese come il Viet Nam, non si parli quasi mai in Italia, e, quando lo si fa, si soggiace facilmente alla tentazione di riproporne un’immagine stereotipata, desueta o ancor peggio stigmatizzandone, senza nulla saperne, l’«apparato repressivo»…
Dalla quasi totale indifferenza dei mezzi di informazione emerge un consolidato disinteresse nei confronti di quanto il Viet Nam oggi elabora e costruisce, nell’occultamento – vuoi per distrazione o, peggio, per mala conoscenza – delle dinamiche della ricostruzione di un intero paese e delle manifestazioni della vita materiale, culturale, scientifica ed artistica di un intero popolo. Ci si limita tutt’al più, alla riproposizione di vecchie immagini stereotipate, quella, ad esempio, di elefantiaco apparato politico-militare – immagine angusta e parziale, con cui il Viet Nam è salito all’attenzione del mondo, per risultare, poi, come imprigionato e compresso in quella simbologia, cristallizzato nella sua dimensione di guerra ad oltranza e penuria -; oppure quella di un promettente «drago economico» del Sud-est asiatico, nuovo «eldorado dell’economia» per investitori occidentali, a cui se c’è qualcosa da perdonare, tutto si perdona – o si ignora – per convenienza, per denaro.
Il Viet Nam e il Sud-est asiatico nel suo complesso, costituiscono aree politico-culturali trascurate nell’ambito della moderna asiatistica, così come nelle cronache giornalistiche. Eppure, la conoscenza di questo angolo dell’Asia, del suo presente, della sua cultura e del suo passato storico, ci consentirebbe di ottenere strumenti utili per comprendere la complessità del mondo in cui viviamo. Il tritatutto dell’imperante omologazione culturale dei mezzi di comunicazione, tuttavia, deve produrre notizia e scalpore, più che una corretta informazione.
Indagare a fondo, per conoscere, quelle realtà, appare oggi come una necessità imprescindibile per meglio equilibrare il bagaglio politico e culturale dei nostri tempi. Non dobbiamo dimenticare infatti che la metà della popolazione della terra vive nell’Asia del Sud-est e gli scambi tra la Cina e gli Stati Uniti stanno divenendo uno degli elementi più importanti dell’equilibrio mondiale. La sola Asia del Sud-est è abitata da mezzo miliardo di persone, ma questa regione non evoca in noi occidentali che immagini di spiagge piene di palme, sconvolte recentemente dal terrorismo… e da Tsunami.
Nel cuore del Sud-est asiatico, il Viet Nam è in pieno sviluppo economico, prosegue un’esperienza sociale ed economica di grande interesse e, alla luce dei più recenti effetti del doi moi, la politica di rinnovamento intrapresa dal governo vietnamita nel 1986, allo scopo di dare avvio, per mezzo di una grande riforma economica, alla transizione dall’economia centralizzata all’economia di mercato, registra oggi grandi progressi. Negli Anni Novanta ha raggiunto un tasso medio di crescita annua superiore all’8% e, secondo le più recenti stime, dal 1986 la povertà si è ridotta del 35%, fatto che gli ha fruttato il riconoscimento ed il plauso di organismi sopranazionali. Non sono tutte rose e fiori ed è certo, numerosi problemi permangono ancora irrisolti: lo sviluppo economico, di fatto, ha avuto per effetto l’aumento della ricchezza degli abitanti di alcune regioni, ponendo altresì in evidenza la povertà ed il sottosviluppo di altre aree (Nord-Ovest, Altipiani centrali). L’intervento dello Stato si rivela complesso e difficile; una mancata, o inadeguata, risposta alle necessità di alcune comunità presenti sul territorio, può comportare un aumento delle tensioni sociali. Ma di questo i leaders vietnamiti sono consapevoli e Stato e Partito tentano oggi di assolvere il complesso compito di gestire le dinamiche di «nuova cultura», confrontandosi con una difficile sfida. La situazione è tanto dinamica ed effervescente quanto magmatica in un Paese che, dal 1986, ha aperto le sue porte ad un turismo, oggi in crescita vertiginosa, ed agli investimenti stranieri.
Cultura e società
In questo contesto di mutamento, è bene sottolineare che la produzione artistica ed intellettuale è considerata in Viet Nam in una dimensione quasi sacrale: perfino al tempo dei bombardamenti sul Nord, nei rifugi, nelle scuole smantellate e poi ricostruite nelle foreste, nei tunnels di Cu-Chi, nel Sud del paese, in sperduti villaggi, i Vietnamiti continuavano una intensa attività didattica, di studio dibattito e divulgazione – cui faceva da sfondo il rombo della contraerea. E, durante la ricostruzione post-bellica, senza carta, senza materiali di cancelleria, senza risorse economiche da destinare alla cultura, il Viet Nam pubblicava copiosamente libri: a fronte della perdurante disattenzione dell’editoria italiana nei confronti della cultura e della letteratura vietnamita – fra le più ricche ed interessanti del Sud-est asiatico – (segnaliamo che l’ interesse dei nostrani editori per la letteratura contemporanea vietnamita è fatto recente e sporadico e ci si limita per lo più a traduzioni da lingue occidentali e non dirette) – i principali romanzi italiani sono tradotti in vietnamita; esistono traduzioni parziali perfino de La Divina commedia – opera alla quale un italianista di Hà Noi, il Professor Nguyên Van Hoàn, sta tutt’ora lavorando per trarne una versione direttamente tradotta dalla nostra lingua. «Occuparsi di letteratura, dicono i Vietnamiti, è cosa tanto importante quanto fare la guerra». E nella capitale, i Vietnamiti, alla letteratura hanno dedicato un tempio.
Nonostante tutto ciò, l’occasione della consegna del premio Grinzane-Cavour alla scrittrice vietnamita Duong Thu Huong, invece di fornire lo stimolo per avvicinarsi con curiosità ad un paese dalla civiltà quadrimillenaria, un paese oggi prospero e tranquillo – diviene pretesto per lanciare violente accuse: «Duong Thu Huong prigioniera» (La gazzetta del Mezzogiorno 10 /6/2005), «Viet Nam nega il visto per la scrittrice» (Avvenire 14/6/2005), «Viet Nam e Cuba, vecchi idoli degli smemorati» (La Stampa 12/6/2005). Solo un titolo si è riferito al caso in termini più confortanti, «L’inizio del disgelo» (La Stampa 14/6/2005).
Ecco una nuovo caso di confronto fra culture in cui proporsi, senza troppo interrogarsi ed informarsi, come generosi paladini della democrazia, dimentichi del dibattito sui «valori e sul profilo asiatici», della «via nazionale» e della legge del «vantaggio del ritardo» (L’Asia avanza, l’Europa arretra), per affermare, non una nuova solidarietà ma, piuttosto, nuove rivalità economiche e nuove supremazie diplomatiche: non uno dei nostrani paladini delle libertà sembra essersi dapprima premurato di prendere contatto con le autorità vietnamite, per chiedere spiegazioni e chiarimenti tanto che, in un comunicato, l’Ambasciata vietnamita, che ha sede a Roma, fa sapere: «È spiacevole che in tutto questo processo di selezione del Premio Grinzane-Cavour, uffici ed enti competenti vietnamiti non siano mai stati consultati». E sottolinea che «dialoghi miranti a trovare la comune soluzione dei problemi siano preferibili ad accuse infondate divulgate sui mezzi di informazione nazionali, un gesto pregiudiziale e profondamente ingiusto nei confronti di un paese e di un popolo che ha combattuto per la dignità e la libertà». Il popolo vietnamita, conclude il comunicato, è stato in passato vittima di calunnie da parte di aggressori stranieri e questo non deve più accadere.
Nessun «gulag» da mettere sotto i denti
La scrittrice Duong Thu Huong, originaria della provincia di Thái Bình, è un’ex-eroina di guerra. In pieno conflitto, scelse deliberatamente di vivere e partecipare alla lotta politica nella zona del 18° parallelo, la più bombardata di tutto il paese, in cui rimase fino alla fine della guerra. Dal 1985, attraverso la sua penna graffiante, in numerose pièces satiriche, brevi saggi, racconti e romanzi – fra cui Bên kia bo ao vong (Al di là delle illusioni), pubblicato in Viet Nam in quello stesso anno, ha denunciato il degrado morale delle classi medie del paese. Duong Thu Huong fu la portabandiera del processo di rinnovamento culturale e intraprese numerose battaglie in favore della libertà d’espressione. Scrittrice, donna, cittadina e comunista, come lei stessa si definisce, Duong Thu Huong non rappresenta – come sostiene il suo traduttore francese, lo scrittore Phan Huy Duong – “alcun gulag da mettere sotto i denti: non v’è dissidenza nelle sue parole, solo dolore, il dolore sordo della lacerazione che anni di duro conflitto e di faticosa ricostruzione hanno imposto”. I romanzi di Duong Thu Huong sono secchi, perentori, duri ma la critica e l’asprezza di giudizio si limitano in prevalenza a denunciare le distorsioni che, nel corso degli anni, gli stessi Congressi del partito – ed alcuni segretari illuminati – hanno più volte messo in luce.
Come già hanno fatto tante altre donne del Sud del mondo, Huong prende la penna per un incontenibile desiderio di espressione, per delineare il volto perduto di un popolo e di un paese che troppo a lungo, e per esigenze imprescindibili, ha dovuto rimandare ad un futuro incerto e lontano la realizzazione di sogni e desideri. E scrive, ad anni di distanza dal difficile dopoguerra, in una società sulla via della pacificazione, mossa dalla passione, nella ricerca di nuovi valori umani – “un lusso necessario per il Viet Nam contemporaneo” – per citare le parole di un “grande vecchio”, il celebre e compianto Nguyên Khac Viên… Non è sterile né distruttiva la sua scrittura e anche se, come qualcuno ha detto, “una donna che scrive vale il suo peso in dinamite”, non è una deflagrazione nefasta che può derivare dalle sue parole, ma piuttosto un fertile dibattito, quel dibattito che lo stesso Nguyên Van Linh, rivolgendosi agli scrittori, aveva voluto incentivare durante il VI Congresso del partito, un dibattito che, dopo aver interessato l’economia, sta progressivamente, e pur a fasi alterne, di avanzamento e stasi, estendendosi alla cultura…
Duong Thu Huong, a dispetto delle voci di Cassandra che annunciavano la sua assenza dovuta a motivi politici, è giunta a Torino e ritirerà il suo premio. E questo è un fatto incontestabile.
*Docente universitaria,
Presidente del Centro studi vietnamiti di Torino