Preferiamo essere “scelte” per le nostre capacità non ridotte ad un numero

Siamo compagne che nel corso del dibattito congressuale hanno espresso la loro contrarietà alla modifica dell’art. 43 del precedente statuto in quanto ha introdotto una quota secca di partecipazione femminile, in tutti gli organismi dirigenti, non inferiore al 40 per cento. E ci siamo schierate contro non certo perché insensibili alla problematica della differenza di genere e non solo e non tanto per una astratta contrarietà al principio delle quote, sul quale tanto e troppo si dibatte. Quanto perché volevamo segnalare che tale questione, particolarmente nel nostro partito, è più seria e più complessa di come ci viene presentata e perché consideravamo limitante che simile problematica venisse affrontata, a colpi di quote, solo in relazione alla formazione dei gruppi dirigenti. Ci sembrava un modo strumentale e poco serio per un partito in cui la presenza femminile non oltrepassa il 17 per cento e che quindi ha domande più dirimenti da porsi.
Siamo compagne che preferivano restasse il concetto della “tendenziale parità” e che, preoccupate della difficoltà reale a reperire un numero sufficiente di compagne disponibili ed adeguate a far parte del Cpn e di altri organismi dirigenti, suggerivano di mantenere, se proprio si voleva indicare una quota, la locuzione “di norma”, perché il principio non fosse troppo rigido. Ma soprattutto – e crediamo di interpretare il pensiero di tante – siamo compagne che preferiscono scegliere ed essere scelte per la qualità e le capacità che esprimiamo nel pensiero e nell’agire politico. Non amiamo le cooptazioni, l’essere ancora una volta ridotte ad un numero seppure in un gruppo dirigente. Conosciamo la frustrazione di essere utilizzate non per la nostra intelligenza e per il nostro valore, ma per altri fini e siamo preoccupate che in questo modo, lungi dall’essere valorizzate, veniamo al contrario “bruciate”.

Rivendichiamo inoltre il nostro diritto a scegliere le compagne ed i compagni anche in relazione alla loro sensibilità in ordine alla problematica di genere, non perché dobbiamo far quadrare i conti e le percentuali.

Siamo anche compagne che, di fronte all’aggressività altrui ed all’accusa pesante di “subalternità al genere maschile”, che respingiamo con forza, ma che le sostenitrici della norma ci hanno rivolto troppo disinvoltamente, abbiamo risposto sempre con toni pacati, ragionando e mai aggredendo. Anche se non abbiamo condiviso né la scelta ghettizzante dei forum delle donne, che hanno escluso la maggioranza delle donne stesse, anziché avvicinarle, come i numeri provano più di tante parole, né la scelta di tutto il partito di rinunciare ad una più matura elaborazione della tematica della differenza di genere, quale parte di un pensiero più complessivo di un partito che affonda le radici nel movimento operaio e si dichiara comunista.

Ma di fronte a quanto è successo domenica al congresso di Rimini ci sentiamo non solo di rivendicare con forza la giustezza della nostra posizione, ma anche di polemizzare con quante e con quanti hanno voluto introdurre a tutti i costi un articolo dello statuto per poi non rispettarlo. E’ stato un errore volere a tutti i costi quella norma, è stato un atto grave non rispettarla.

Poiché è noto a tutti che nel nostro congresso si sono confrontate prevalentemente tre posizioni che hanno concorso alla formazione dei membri del Cpn è bene rendere trasparente che: la tesi 1 senza emendamenti ha espresso il 36,58 per cento delle donne; la tesi 1 con gli emendamenti il 40 per cento delle donne; la tesi 2 il 29,41 per cento.

In altri termini, solo quante e quanti hanno più contrastato la norma statutaria, l’hanno poi, nei fatti, rispettata.

Ci piacerebbe perciò ascoltare un’autocritica, non le parole impacciate di una compagna come Elettra Deiana che, anziché scandalizzarsi e denunciare quanto accaduto, ha preferito evidenziare che comunque è stato compiuto un passo avanti. Parole che hanno gettato sconcerto e disappunto in tutta la platea congressuale. Né ci convince l’intervento che la stessa compagna Deiana si è precipitata a scrivere su “Liberazione”, forse per cercare di calmare le acque, intervento che però ha tutto il sapore di una burocratica difesa d’ufficio del gruppo dirigente, sempre e comunque. E che al contrario ha provocato ulteriore sconcerto.

In questo modo, care compagne e cari compagni, è stato raggiunto il ridicolo e, soprattutto, alcune ed alcuni hanno dato un pessimo esempio. Gli articoli dello statuto non si concepiscono per bandiera o per principio o per battaglia ideologica o politica (soprattutto quando affrontano la composizione dei gruppi dirigenti), ma per stabilire regole adeguate al partito che, necessariamente, devono essere rispettate da tutti, maschi e femmine, sostenitori delle tesi di maggioranza o di quelle di minoranza, emendatori e non. Altrimenti vige l’arbitrio e si legittimano comportamenti irrispettosi ed autoritari, sempre sopra la testa delle donne.