Precari e scomunicati

Il presidente Napolitano «ha sferzato» il Parlamento – così recitano le agenzie di stampa – invitando la rappresentanza politica a occuparsi dei giovani precari: «E’ un problema serio e va affrontato», ha dichiarato il capo dello stato. Si era appena imbattuto in un gruppo di studenti che protestava contro i tagli alla scuola e la dichiarazione antiprecaria deve essergli sembrata alquanto opportuna. Magari sarebbe stato meglio pensarci prima, visto che la precarietà del lavoro – e mica solo quella dei giovani – non è opera dello spirito santo ma, da almeno dieci anni, il risultato di leggi e accordi sociali a ispirazione bipartisan che hanno appoggiato e istituzionalizzato le richieste delle imprese, in sintonia con le vibranti teorie che affermano essere il libero mercato autentico stato di natura.
Però meglio tardi che mai e allora diamo il benvenuto all’esternazione dell’alto Colle che, con educazione presidenziale, denuncia la sordità della classe politica tutta ai cahiers de doléance che non da ieri denunciano la devastante portata della precarietà. Bene.
Succede poi che, per una singolare coincidenza temporale, le dichiarazioni di Napolitano siano state fatte proprio nel giorno in cui la Cgil ha intimato alle proprie strutture di non partecipare alla manifestazione contro la precarietà indetta per il prossimo 4 novembre: una giornata per dare voce alle tante e tanti soggetti del lavoro frantumato e chiedere al mondo politico un’inversione di rotta. Che la Cgil si pronunci contro una simile manifestazione (preparata anche da importanti strutture sindacali come la Fiom e la Funzione pubblica o da associazioni come l’Arci) risulta inspiegabile a qualunque persona dotata di buon senso. Senonché a far da pretesto per la «scomunica» è intervenuto un episodio secondario che dovrebbe meritare l’onore delle cronache solo per la sua stupidità: una pubblicità dei Cobas – tra gli organizzatori del 4 novembre – che mette all’indice il ministro Damiano, indicandolo come «amico dei padroni».
Dissentire da questa definizione è più che legittimo ed è stato ampiamente fatto. Ma che ciò diventi l’occasione per cercare di far saltare quella manifestazione e – più in prospettiva – per preparare una resa dei conti dentro la più grande organizzazione sindacale italiana, questo è francamente allucinante. Se basta una manchette pubblicitaria a corrodere una scadenza su un tema così importante, c’è da essere ben tristi. E c’è da chiedersi in quanti, tra gli stessi organizzatori, non aspettassero un’occasione qualsiasi per sfilarsi dalla manifestazione del 4 novembre e quanto, in casa Cgil, abbia prevalso una logica che subordina il merito e la piattaforma di quella giornata alle opportunità politiche. Più in generale l’episodio lancia una luce un po’ sinistra sulla reale volontà di cambiare le politiche del lavoro iperliberiste di questi ultimi anni, sulla democrazia del sindacato e sul suo grado di autonomia. Perfino sull’intelligenza comune. Ma noi speriamo ancora che, fuori dagli apparati, alla fine prevalga il merito e che il 4 novrembre in piazza ci sia tantissima gente. Nonostante le scomuniche.