Recentemente in occasione della campagna elettorale per le europee presentammo il nostro programma: un lavoro eccellente frutto di elaborazione collettiva di approfondimenti teorici, di riflessioni scaturite da lotte e pratiche sociali. Era e resta un valido strumento, la nostra cassetta degli attrezzi per affrontare la fase. Parla in modo netto di strategie per un’alternativa di società. Il contesto europeo naturalmente tiene lo sfondo per la declinazione di politiche antiliberiste sul terreno economico, sociale, politico.
Si tratta di aspetti programmatici puntuali, dalla nuova concezione del bene comune per indicare l’acqua, la terra, l’aria non riducibili a merci da commercializzare sul mercato bensì da salvaguardare per il futuro, alla prospettazione di un mondo multipolare fuori dal dominio imperiale statunitense, all’indicazione di un mondo di pace costruito attraverso percorsi di altra economia e altro consumo rispetto a quelli propri della globalizzazione capitalistica.
Ma per far avanzare la nostra proposta complessiva abbiamo mai ritenuto sufficiente far leva solo sul programma? Intendiamoci, la definizione di uno spettro ampio e quanto più argomentato è necessario e ci consente di accrescere di autorevolezza propositiva nella costruzione di interlocuzioni sociali e politiche. Ma esso resta inerte se non poggia su una soggettività consapevole e in movimento. E oggi è proprio la persistenza e l’estensione in tutto il mondo di un vasto movimento antiliberista e pacifista che consente di dare credibilità e rendere incidente la proposta di un’alternativa. La straordinaria vittoria di Chavez proprio di queste ore parla il linguaggio di un inveramento di una politica autonoma dalle “leggi” degli organismi ademocratici sovranazionali, parla di un popolo che sceglie e conferma la necessità di una svolta. Il movimento di questi anni si è fatto nelle diversità che presenta in ogni paese e a livello globale, costituente di un nuovo ordine sociale. I nuovi soggetti che attraversano le contraddizioni della globalizzazione vogliono cambiare il mondo, anzi lo stanno già mutando. Dall’India all’America Latina passando anche per la nostra Europa. La politica viene investita dall’onda lunga della contestazione e dalle nuove esperienze di autogoverno cementate da conflitti di territorio. Come non mai oggi la politica e la pratica sociale sono destinate a intrecciarsi e a produrre cambiamenti fecondi di nuovi relazioni.
Il dibattito che si sta alimentando anche al nostro interno rispetto all’ipotesi di un’alternativa di governo e ai percorsi per renderla possibile, può accrescersi di interesse solo se riesce a situarsi in questa novità epocale, oltre e fuori i vecchi schemi politicisti delle alleanze tra forze politiche. C’è un gusto anche intellettuale a trovare, a convincere, a smuovere. Nel movimento abbiamo imparato a convivere con posizioni culturali diverse dalle nostre, abbiamo imparato a percorrere la stessa strada pur partendo da posizioni lontane.
Perciò oggi l’ipotesi delle primarie sul programma avanzata dal segretario nell’ormai famosa intervista mi appare una mossa di valore spiazzante del gioco altrimenti a rischio di schiacciamento, e nel contempo di forza in sé capace di introdurre pratiche partecipative ancora mai date in contesti che preparano gli accordi. Oltre lo schema di relazione tra le forze politiche, il diverso metodo prospettato chiama direttamente all’espressione e al pronunciamento le persone che in questi anni associate in reti, in comitati, in organizzazioni orizzontali hanno dichiarato la loro avversione alla guerra, alle privatizzazioni, alle devastazioni ambientali, alle logiche dissipative del profitto e dell’impresa.
Può esserci una consultazione generale, un’assemblea, un forum un incontro; non so indicare le forme dove i movimenti, le assemblee locali, i nuovi municipi, forze politiche si incontrano per indicare le strade per battere le destre e nel contempo definire l’orientamento generale e i primi punti di alternativa programmatica. Non è questo potenzialmente molto più interessante e fecondo di quanto non sia la riproposizione un po’ scontata delle trattative a scatola chiusa? Non è maggiormente intrigante e dinamico andare al confronto largo sulla scorta di quanto si è andato a determinare già nelle diverse realtà territoriali mosse e scomposte dalle lotte di intere comunità locali piuttosto che affidarsi alla riproposizione rigida di punti irrinunciabili?
La globalizzazione è in crisi. In crisi da noi il sistema berlusconiano che miscelava populismo e liberismo. E’ in crisi la potenza benefica ed espansiva della crescita capitalistica. C’è la guerra permanente e preventiva la repressione e l’esclusione sociale. Ma nel mondo ovunque cresce e si alimenta una replica democratica.
Nel nostro paese, abbiamo detto, che possiamo pensare di dare i giorni al governo Berlusconi, indicare le elezioni anticipate e quindi un’alternativa di governo con le responsabilità che ne conseguono. E’ un obiettivo esplicitato il nostro. Non un accordo già realizzato con il centrosinistra. Certo è che il tempo si fa stringente. Le leggi antipopolari approvate lungo la legislatura sono pesanti così come l’accanimento contro i migranti. Ogni giorno in più per Berlusconi è un passo contro le garanzie costituzionali e la convivenza democratica. Basti pensare solo allo strangolamento operato verso gli enti locali con il decreto estivo e con la prossima finanziaria. La capacità della coalizione di governo di stare ancora insieme può essere rilanciata, certo, ma molti sono i problemi intestini a cominciare da quelli interni alla Lega. Ma le opposizioni devono convincersene. Un giorno torna allettante una prospettiva neocentrista e l’altro più conveniente attendere la fine naturale della legislatura mentre i salari sono a rischio così come la scuola pubblica e i servizi sociali. La nostra proposta prospetta una direzione di marcia e indica nella forza viva del movimento il nucleo che la anima.
Patrizia Sentinelli