Praga, un ponte per la pace

Il valore politico ed emblematico del controvertice anti-Nato e della manifestazione che lo ha seguito, svoltisi a Praga su iniziativa del Partito comunista di Boemia e Moravia (presenti Gennaro Migliore e chi scrive, in rappresentanza del Prc), sta in un punto fondamentale, che va tenuto ben presente nella nostra riflessione e in quella del variegato movimento europeo contro la guerra.
L’iniziativa di Praga, che certo non ha visto le manifestazioni oceaniche di Genova, di Londra, di Firenze, era la prima – dopo il terremoto del 1989 e il crollo dei regimi dell’Est – che vedeva riuniti insieme una trentina di partiti ed organizzazioni comuniste e socialiste di sinistra di tutta l’Europa (dal Portogallo agli Urali, passando per i Balcani) e non della sola Europa occidentale. L’Unione europea non è “l’Europa”; e nella parte orientale di questa, che comprende anche le regioni europee dell’ex-Unione Sovietica, vive la metà di quei 700 milioni di persone che popolano l’intero continente. E non può darsi progetto compiuto di un movimento europeo contro la guerra e per “un’altra Europa” (alternativa a quella neo-liberista ed imperialistica di Maastricht, quella dell’integrazione atlantica e del riarmo dell’Unione in chiave competitiva con gli Stati Uniti) senza i paesi ed i popoli dell’altra metà del continente. Tanto più che, mentre nei paesi dell’Europa occidentale i partiti comunisti e di sinistra alternativa contro il liberismo e contro la guerra rappresentano, in termini elettorali, circa 10 milioni di persone (pari al 6-7%), nell’Europa dell’Est essi rappresentano oltre 60 milioni di persone, pari ad oltre il 30%, con percentuali che oscillano fra il 30 ed il 60% nelle regioni europee dell’ex URSS (Russia, Bielorussia, Ucraina, Moldavia …). E in alcuni casi esprimono addirittura maggioranze parlamentari e governi nazionali (Moldavia, Bielorussia), apertamente schierati contro la Nato e contro il liberismo. E tutte queste forze erano rappresentate nel controvertice di Praga.

Si consideri inoltre che a tale iniziativa ha aderito la Federazione mondiale della gioventù democratica, presente alla conferenza con il suo segretario generale, il comunista indiano Harchand Singh, che ha preso la parola anche alla manifestazione di piazza del giorno dopo. Tale Federazione riunisce 170 organizzazioni di oltre 100 paesi di ogni continente (comuniste, socialiste di sinistra, antimperialiste, espressione di movimenti di liberazione) cui aderiscono complessivamente circa 40 milioni di giovani. Senza contare gli oltre 100 milioni di aderenti alle organizzazioni giovanili cinesi, che partecipano attivamente, ma con lo status – per ora – di “osservatori”, alle iniziative della Federazione.

Si può dunque ben dire che la “piccola” manifestazione di Praga aveva un grado di rappresentatività politica di oltre 100 milioni di donne, di uomini, di giovani in carne e ossa; anche se il livello attuale di mobilitazione attiva contro la guerra è assai differenziato da paese a paese e la “piccola” Rifondazione Comunista, con il suo modesto 5% elettorale, è da tutti riconosciuta come la principale animatrice delle straordinarie mobilitazioni di Genova e di Firenze.

Per quanto riguarda l’Europa (perché questo è il contesto in cui operiamo prioritariamente) il meeting di Praga ha rappresentato un ponte verso l’insieme dei popoli del continente, che non va lasciato cadere; cui anzi va data stabilità, continuità e connessioni con i punti più alti della mobilitazione popolare contro la guerra. Lavoriamo, senza veti né pregiudiziali ideologiche di alcun tipo, tenendo conto delle particolarità di ogni paese e della sua storia, perché le parole d’ordine dello sciopero europeo contro la guerra e delle mobilitazioni contestuali del 15 febbraio 2003 nelle principali capitali europee, sappiano attraversare i confini di ogni paese del Vecchio continente. Vi sono oggi le condizioni in Europa, senza più muri tra Est ed Ovest, per la costruzione di un grande movimento popolare di “partigiani della pace”, con forme flessibili ma efficaci di coordinamento, collocato su posizioni socialmente avanzate e aperto alle convergenze con chiunque sia comunque disponibile a dire “no” alla guerra.