Povertà in movimento cresce e sale al nord

Nel 2004 più di 7 milioni di persone in Italia sono scese sotto la soglia di povertà relativa. Si tratta di quasi tre milioni di famiglie che non riuscivano, in quell’anno, a raggiungere la soglia media di spesa nazionale. In percentuali: il 13,2% degli italiani è catalogato dalle statistiche come “povero”. Sono le notizie contenute nel nuovo Rapporto della Commissione di indagine sulla esclusione sociale che conferma alcune delle tendenze note in termini di povertà relativa in Italia e di diseguaglianze, ma offre anche nuove informazioni sulla situazione sociale complessiva del nostro paese.
La povertà relativa (calcolata in riferimento a una spesa media mensile per consumi) non è un fenomeno in estinzione perché nonostante alcuni miglioramenti riscontrati negli ultimi anni in alcune fasce della popolazione (tra gli anziani pensionati, per esempio) emergono sempre di più nuovi punti di sofferenza e di disagio sociale. I nuovi poveri assumono poi caratteristiche fino a qualche anno fa impensabili: in netto aumento, per esempio, tra i giovani che lavorano.

Il Rapporto della Commissione – che verrà presentato ufficialmente il prossimo mese – si riferisce agli ultimi dati statistici disponibili, ovvero a quelli del 2004, e alla valutazione dell’efficacia delle politiche di contrasto alla povertà messe in atto fino all’anno scorso. Le stime ufficiali sulla povertà in Italia sono elaborate ogni anno dall’Istat che si basa sull’analisi dei consumi delle famiglie. Nel 2004 alla tradizionale rilevazione si è aggiunta anche la prima indagine dell’Unione europea (Silc) condotta contemporaneamente nei 25 stati membri dell’Unione e che viene sviluppata a partire sia dai consumi che dai redditi delle famiglie. Nel Rapporto della commissione le stime si riferiscono però ancora solo al metodo dell’analisi dei consumi delle famiglie, considerando quindi la soglia della povertà pari a 919,98 euro al mese per una famiglia di due elementi. L’oscillazione della soglia è tra 521,70 euro al mese per una famiglia con un solo componente e 2.086,80 euro per una famiglia di sette persone.

In base a questi parametri i poveri relativi – che sono appunto il 13,2% della popolazione italiana complessiva – non diminuiscono quindi rispetto agli anni passati e anzi sembra che la loro condizione (seppure molto mobile) stia peggiorando. L’indicatore usato in questo senso è quello della “intensità della povertà”. Nel biennio 2003-2004 l’intensità della povertà relativa è aumentata a livello nazionale, per effetto soprattutto di un sensibile aggravamento della situazione del Mezzogiorno. L’incidenza della povertà, come aveva già spiegato il rapporto dell’Istat, aumenta al crescere del numero dei minori a carico con valori superiori alla media già a partire da due minori (16,9%) e una punta del 26,1% per le famiglie con tre o più minori. Le famiglie numerose (specie quelle del Sud) sono dunque più a rischio delle famiglie con anziani e perfino degli anziani che vivono da soli. Rispetto al 2003, la diffusione della povertà nel 2004 appare a livello nazionale significativamente in crescita tra le famiglie più numerose.

Tutti gli indicatori e le variazioni che sono state registrane nel corso del biennio 2003-2004 indicano che è rimasta immutata l’incidenza delle famiglie a rischio di povertà che continuano a rappresentare il 7,9% dela popolazione. Cresce invece la percentuale sia delle famiglie appena povere, che di quelle sicuramente povere. Si tratta di un dato molto importante per due motivi: prima di tutto perché lo stato reale della povertà in Italia (visto che ancora non viene calcolata la povertà assoluta) si ottiene solo sommando tutte le categorie interessate, ovvero le famiglie sicuramente povere, quelle a rischio di povertà e quelle già quasi povere. Il secondo motivo che desta preoccupazione riguarda i raffronti con gli anni precedenti. Tra il 2001 e il 2003 erano infatti diminuite le persone appena povere e quelle sicuramente povere. Nel biennio 2003-2004 questi due sottoinsiemi della povertà sono invece peggiorati.

Nel Rapporto della commissione si calcola anche lo scarto tra famiglie povere e famiglie non povere. Non si tratta ovviamente di un raffronto tra poveri e ricchi, cosa che darebbe il vero indicatore della diseguaglianza, ma di un raffronto tra una famiglia povera e una “normale”. Ebbene dai calcoli della Commissione risulta che le famiglie povere (quasi tre milioni di nuclei) hanno avuto un gap, o un deficit di spesa di 252 euro al mese, superiore di circa 22 euro da quello che era stato registrato nel 2003. Anche questo è un altro segnale di peggioramento, che ovviamente è diversificato secondo le regioni. Si calcola anche che se lo Stato dovesse intervenire per colmare questi gap ci vorrebbe una spesa tra i 6 e gli 8 miliardi di euro l’anno, vale a dire mezzo punto di Pil.

*Redattore Sociale