Potere senza limiti È la fine della Carta

La citazione è del 1898, dalla Storia costituzionale del Regno d’Italia di Gaetano Arangio Ruiz: «E’ un difetto della razza latina non trovar salvezza fuori di un uomo». Scritto a proposito del periodo di Francesco Crispi «e dopo abbiamo avuto ben di peggio». Parte da qui Lorenza Carlassare, professoressa di diritto Costituzionale a Padova, per spiegare tutta la sua contrarietà alla riforma che sarà sottoposta al referendum del 25 e 26 giugno. Allieva di Vezio Crisafulli e compagna di studi di Livio Paladin, Carlassare è una delle voci più autorevoli in materia costituzionale: sono vent’anni che è in predicato di diventare giudice della Consulta «e alla fine di questa intervista capirà perché non lo sono mai diventata; mi piace parlare chiaro e guardo il potere con molto sospetto».
Non è che voi costituzionalisti siete troppo affezionati alla lettera della Carta del ’48?
Se c’è una cosa a cui sono affezionata, come dice lei, è allo stato di diritto. Cioè ai principi del costituzionalismo. Alla cui base c’è la limitazione del potere. Se vuole è il concetto del costituzionalismo settecentesco: pouvoir arrête le pouvoir in Francia e checks and balances negli Stati uniti. Chi fa le leggi dev’essere diverso da chi le applica. In questo progetto di nuova Costituzione sono concentrati poteri fortissimi in capo al primo ministro. Gli si consente di fare una proposta di legge alla camera per averne il parere conforme, con la minaccia di scioglimento in caso contrario. In pratica assume su di sé anche il potere legislativo, con uno scavalcamento totale del parlamento. Quello di oggi è il risultato dell’enfasi che dal periodo craxiano in avanti viene messa sull’efficienza del governo. E’ chiaro che se decide uno solo l’efficienza e garantita. E da questo punto di vista anche adesso non è che siamo messi molto bene. E’ vero, negli ultimi cinque anni abbiamo avuto un governo stabile. Ma per il semplice fatto che non c’era modo di farlo dimettere. Questa blindatura del governo a me è sembrata una cosa pessima, poco democratica. Non credo che democrazia voglia dire andare a votare ogni cinque anni senza che nel frattempo i cittadini abbiano alcuno strumento per fare cambiare rotta al governo. Penso ai movimenti contro la guerra degli ultimi anni. Io non ne ricordo di così forti, eppure rispetto alle scelte del governo è come se non ci fossero stati.
Ma la Costituzione è ancora quella del ’48, tutto questo non è piuttosto l’effetto della legge elettorale maggioritaria?
Infatti la legge elettorale è stata cambiata sulla base di una premessa molto chiara. Si diceva: i bisogni sociali sono innumerevoli, le domande sono troppe e le risorse limitate. Conclusione: bisogna ridurre i canali di trasmissione. E quindi semplificare la scena politica. Lasciare qualcuno senza voce, senza troppi complimenti. E’ vero che la legge elettorale non è nella Costituzione, ma la Costituzione è tutta strutturata sul pluralismo e non prevede in nessun modo un bipartitismo che infatti in Italia è impossibile, come è dimostrato.
E la cosiddetta devolution? Non la preoccupa almeno quanto l’aumento dei poteri del primo ministro?
Le confesso che lo spavento che ho per le modifiche di cui ho parlato prima mi fa sembrare la devolution una maschera. Una finta mossa. Da un lato sembra che si attribuiscano poteri maggiori alle regioni. Ma siccome non partiamo dalla Costituzione del ’48 ma dalla riforma, sbagliata, del Titolo V del 2001 allora ci sono già poteri fortissimi trasferiti alle regioni che queste nuove norme in parte sottraggono. Certo, può preoccupare l’idea che vengano decentrati poteri esclusivi su sanità, organizzazione scolastica e polizia. Ma in altre norme è previsto che le norme generali sulla sanità e l’istruzione sono di competenza esclusiva dello stato. Mi sembra che dare due poteri esclusivi sia una contraddizione. In più manca qualsiasi miglioramento dal punto di vista del trasferimento delle risorse. Io sono favorevole a forti autonomie, dove ci sono bisogna però che ci siano i mezzi per fare fronte alle spese. La sanità grava sugli enti locali e i bisogni dei cittadini sono tanti. Fra l’altro c’è una norma transitoria in questa riforma – e devo dire che nessuno legge mai le norme transitorie – in cui un articolo rimanda l’entrata in vigore della riforma in parte al 2011 e in parte al 2018. A proposito di risorse questo articolo dice che dopo cinque anni dall’entrata in vigore il governo identificherà le risorse da trasferire. Dopo di che servirà una legge per distribuirle tra le regioni, i comuni e gli enti locali. Conclusione: le funzioni sono trasferite subito, per le risorse bisogna aspettare. Altro che federalismo fiscale.
E conclusione lei non cambierebbe proprio nulla della Costituzione in vigore…
No, una cosa da cambiare c’è: il bicameralismo così com’è adesso. In linea di principio non ho nulla contro due camere con identiche competenze, devono avere però hanno una composizione diversa. Da noi non è mai stato così. Rileggendosi gli atti della Costituente si scopre che la vera ragione del bicameralismo italiano risponde in fondo a un’idea antidemocratica: frantumare la rappresentanza per limitarne in qualche modo il potere. Si trattava di introdurre un contrappeso alle nuove forze sociali. Ragione per cui inizialmente la sinistra era favorevole al monocameralismo. Dunque questo andrebbe corretto. Un sistema che a me piace molto è quello degli Stati uniti d’America. Lì il senato federale è un vero senato federale. E’ composto da cento membri, due per ogni stato: sono pochi e molto potenti. Le commissioni federali hanno un potere di controllo molto penetrante. La caratteristica del vero senato federale è sempre quella di approvare le spese. Nella nostra devolution, in maniera un po’ nascosta, attraverso il rimando a un altro articolo, si stabilisce che il senato federale non ha voce sulla legge di bilancio. Come non interviene in materia di trattati internazionali, che invece negli Usa sono di competenza esclusiva del senato.
Però la Costituzione americana stabilisce principi generali ed è di conseguenza soggetta a meno tensioni della nostra. Che i costituenti abbiano sbagliato introducendo troppe regole?
Sono d’accordo che le Costituzioni debbano essere fatte per durare e dunque porre pochi principi chiari. Uno dei difetti dell’ultima riforma è proprio quello di aumentare il numero di disposizioni, più che una Costituzione sembra una legge ordinaria. Secondo me la Carta del ’48 ha dato prova di essere abbastanza elastica. Ha consentito uno sviluppo autonomo delle dinamiche politiche. Ha tollerato il pluripartitismo estremo, il crollo dei partiti, i governi tecnici e la funzione di emergenza del presidente della repubblica, il maggioritario e il presidente del Consiglio sostanzialmente indicato dai cittadini. Aggiungo poi che non è vero che le modifiche della seconda parte della Costituzione non interferiscono con la prima. Spostando gli equilibri tra gli organi dello stato, così come fa la riforma approvata nella scorsa legislatura, si cambia la forma di stato. Quindi si toccano i principi fondamentali.
L’ex presidente della Consulta Zagrebelsky si augura la ripresa di un dibattito costituzionale che porti all’introduzione di nuovi diritti – quelli che attengono alla cittadinanza e alla cosiddetta biopolitica, limiti e responsabilità della scienza, eutanasia – tra i principi generali della Carta. E’ d’accordo?
Non penso che sia necessario aggiungerli nella Costituzione. Credo che bastino le leggi ordinarie. la Costituzione è per così dire a futura memoria: non è necessario esplicitare tutto. Cerchiamo piuttosto di realizzare i diritti che sono previsti. Come il diritto all’istruzione, il dovere dello stato di fornire una buona scuola. Lo stato che non investe nella scuola pubblica viola la Costituzione. La Carta che adesso compie sessant’anni era sostanzialmente un grande progetto di cambiamento della società. Aveva bisogno di una conseguente attività legislativa che non c’è stata. Già Costantino Mortati, che pure era stato membro della Costituente, trent’anni fa nell’ultima edizione del suo manuale scriveva che le forze innovatrice che erano all’origine di quel progetto avevano fallito. Io penso che invece di pensare di cambiare continuamente la Carta bisognerebbe impegnarsi per realizzarla. Vede, a me piace il diritto costituzionale mentre il diritto in genere mi annoia perché la Costituzione non è una legge come le altre, ha un contenuto ideologico fortissimo. Se le togliamo questo è finita. In qualche modo è in questo senso che la Costituzione dovrebbe unire tutti, come si ripete un po’ stancamente: dovrebbe unire i cittadini in un certo modo di concepire la società.
Il dibattito politico ci dice un’altra cosa: i partiti di centrodestra e di centrosinistra lavorano già per un nuovo radicale intervento sulla Carta «a prescindere» dal risultato del referendum. Non sono liberi di farlo?
Considero molto grave che vengano prese posizioni che delegittimano la Costituzione, a maggior ragione quando a farlo è la sinistra. Sembra che la nostra sia una brutta Costituzione. Mentre c’è solo bisogno di limitati interventi di manutenzione per razionalizzare i rapporti tra stato e regioni e tra le due camere. Del resto è per questo che c’è il meccanismo di revisione costituzionale, l’articolo 138. Per riforme limitate, in modo che poi i cittadini possano esprimersi a ragion veduta su singole questioni con il referendum.
Ma le modifiche fatte con il 138 non sono garanzia di qualità: la devolution è stata approvata così. Non è forse il caso di rivalutare alcuni degli strumenti che vengono proposti: commissione bicamerale, convenzione o addirittura una nuova assemblea costituente?
Assolutamente no. Intanto, perché c’è tutto questo bisogno di avere una nuova Costituzione? Cosa è successo, c’è stata una rivoluzione e non me ne sono accorta? Si è sovvertito qualcosa? Lo Statuto albertino segnava la fine della monarchia assoluta, la Carta del ’48 il ritorno della democrazia. E poi, è vero che la devolution è stata approvata in parlamento, ma grazie a dio c’è il referendum e i cittadini potranno bocciare questa pessima riforma. La Costituzione prevede una e una sola via, l’articolo 138. Basta. Anzi, in regime maggioritario bisogna alzare il quorum ai due terzi. Nei paesi seri come la Svezia o la Svizzera sa come si cambiano le costituzioni? Con due votazioni, ma tra l’una e l’altra il parlamento si scioglie. Si va a nuove elezioni e il sì definitivo, salvo il referendum, deve darlo il nuovo parlamento. Così in qualche modo c’è anche una partecipazione popolare, visto che i partiti politici nel candidarsi alle elezioni devono dire come la pensano sul progetto di riforma. E’ un sistema al quale avevano pensato anche i nostri costituenti. Ma alla fine fu accantonato per non rendere troppo rigida la nostra Costituzione.