Portogallo: il liberismo temperato a sinistra non paga. L’autonomia e la lotta di classe sì

Domenica 22 gennaio si sono tenute le elezioni presidenziali in Portogallo, a poco meno di un anno dalle politiche anticipate (20 febbraio 2005) ed a soli tre mesi dalle amministrative (9 ottobre 2005). Dopo la disastrosa esperienza dei governi liberisti di centro-destra (Durao Barroso e Santana Lopez), sostenuti dall’alleanza tra socialdemocratici e popolari, alle politiche anticipate si è imposto il Partito Socialista, ottenendo la maggioranza assoluta e proponendo una politica di governo imperniata sulla “terza via” (liberismo più o meno temperato e stretta fedeltà euro-atlantica), modello tanto caro anche al centro-sinistra italiano. Austerità e rigore finanziario per contenere le politiche di ridistribuzione dei redditi ed i diritti sociali, privatizzazioni di massa e profitti alle stelle per i grandi gruppi economici e finanziari. Dopo soli otto mesi di governo, alle amministrative del 9 ottobre è suonato per i socialisti un campanello d’allarme, tramutatosi in una slavina alle presidenziali, con il candidato ufficiale dei socialisti, Soares, letteralmente travolto dalla disillusione popolare (778.389 voti e 14,34%), superato non solo dal candidato della destra, uscito vittorioso al primo turno (2.745.491 voti e 50,59%), ma anche dall’indipendente di area socialista Alegre (1.124.662 voti, pari al 20,72%).
A sinistra Jerònimo de Sousa, Segretario Generale del Partito Comunista Portoghese, ha ottenuto il miglior risultato nell’ultimo quindicennio per un candidato comunista alle presidenziali: 466.428 voti, pari all’8,6% (contro i 433.369 voti, corrispondenti al 7,6%, ottenuti dalla Coalizione Democratica Unita, formata da comunisti, verdi ed indipendenti di sinistra, alle elezioni politiche del 20 febbraio 2005), confermando così l’avanzata ottenuta alla tornata amministrativa del 9 ottobre. A fronte di questo risultato ottenuto dal PCP, fortemente critico tanto dell’attuale processo generale di integrazione europea quanto del Partito della Sinistra Europea, il Blocco di Sinistra (BE), formazione politica che annovera tra le proprie fila trotzkisti, ex maoisti ed esponenti della nuova sinistra e che costituisce il riferimento portoghese della Sinistra Europea, ha subito, nonostante sondaggi interessati riguardanti la “competizione” aperta all’interno della sinistra anticapitalista preconizzassero il sorpasso ai danni del PCP, il primo rallentamento dopo anni di lento avanzamento (alle presidenziali il BE ha ottenuto 288.224 voti, 5,3%, contro i 364.971, 6,4%, delle politiche).
Evidentemente, il liberismo temperato a sinistra non paga, avendo come conseguenza la disaffezione popolare e la conseguente ed inevitabile vittoria della destra liberista. Inutile, da questo punto di vista, ricercare riflessioni autocritiche all’interno del gruppo dirigente socialista, troppo impegnato a puntare il dito sulla frammentazione ed a preconizzare futuribili scenari bipolari. Al contrario, un partito con solidi legami di massa che non nasconde il proprio orizzonte strategico (“democrazia avanzata”, una sorta di “democrazia progressiva” in salsa portoghese, e socialismo) continua ad ottenere, dall’opposizione e nonostante i sondaggi, risultati importanti e significativi.