Quello che accadrà, e sapremo far accadere, nei prossimi anni, sarà decisivo per l’alternativa, il paese, la stessa Europa. Per questo il nostro dibattito deve essere più attento, approfondito, capace di ragionare con fantasia e rigore sul futuro. Dobbiamo, perciò, superare una discussione autobloccante fra correnti (per la loro conservazione) come invece tendono a fare i dirigenti emendatari: in passato era il partito (che qualcuno voleva sciogliere) o il lavoro (abbandonato per la scelta dei movimenti), ora sono i punti irrinunciabili dell’eventuale accordo. Continuano i loro interventi ciclostilati senza autocritiche eppure, dagli articoli di Grassi e Burgio contro il movimento di Genova, non ne hanno azzeccata una. La politica dei picchetti è fallita nelle esperienze locali, e non la pratichiamo più, ed è curioso che la ripropongano Pegolo e Grassi responsabili degli enti locali. E la politica dei picchetti non è forse quella fallimentare del pdci, verdi, sinistra ds! In questa strumentalità viene fuori, tuttavia, la cultura superata di questo gruppo: le ricette preconfezionate, la trattativa è fra partiti, si enfatizza l’accordo scritto, tutto è elettorale.
Al contrario le riserve di molte compagni sull’intervista a Bertinotti sono reali, io ne avrei un’altra decina, tuttavia, fissandoci sulla problematica delle primarie scagliamo l’obiettivo ed i destinatari della stessa. Penso che l’intervista intendesse riportare esattamente l’attenzione sui contenuti, mettere i piedi in casa altrui, evitare il plebiscito per Prodi. Col plebiscito che ce ne faremmo dei picchetti e dei programmi?! Sarebbe: “un prendere oppure desistenza”! Parola d’ordine che, guarda caso, gli emendatari hanno fatto cadere proprio perché indicibile, ma, opportunisticamente, non ne tirano le conseguenze perché cadrebbe il finto sinistrismo. Se pensiamo alla vastità del movimento contro la guerra, agli 11 milioni per l’art.18, alle lotte diffuse, ma anche all’inchiesta fatta alle feste dell’unità dove il 70% si pronuncia contro la precarietà e l’attacco alle pensioni, o al sondaggio di Repubblica dove opinione pubblica appare riorientata verso i servizi pubblici, comprendiamo che non possiamo avere una politica di piccolo cabotaggio, farci stringere in logiche anguste, nè rappresentare solo noi stessi poiché il dato sociale contrasta fortemente con quello elettorale. Dobbiamo, dunque, portare i conflitti “nella politica politicante” per farli pesare ben oltre i risultati elettorali dei partiti e far esplodere lo scarto fra sociale e politica. Scarto che rischia di durare in mancanza di una sinistra d’alternativa bloccata da gruppi dirigenti che badano solo alla propria rendita di posizione. Nello stesso tempo è necessario lavorare per sedimentare cultura ed organizzazione alternativa di massa poiché, abbiamo detto, il cambiamento strategicamente deve avvenire nella società. Ecco, dunque, che il richiamo ad una consultazione di massa allude alla forzatura della “crisi” della democrazia rappresentativa ed a percorsi partecipativi altri, mantiene la tensione su cambiamenti classisti che devono evolvere a livello sociale. Al contrario di quello che appare si cerca di tenere aperta la strada ad un accordo dinamico, di non chiudere le contraddizioni: altrimenti sarà la nostra morte e quella dei movimenti. Non credo che si faranno mai le primarie sul programma. Dall’autunno dovremo, invece, con alleanze e formi variabili per ogni tema, organizzare noi campagne affinché le “primarie” di massa sul programma in qualche modo si facciamo davvero.
Ugo Boghetta