Silvio Berlusconi ne dovrebbe essere a giusto titolo orgoglioso: in termini di apprezzamento per il suo ruolo personale e quello del suo movimento politico, non avrebbe potuto sperare in nulla di più. La prima e fondamentale constatazione contenuta nell’ampio saggio appena pubblicato dal politologo francese Guy Hermet, con il titolo di Les populismes dans le monde (pp. 480, 170 FF.), presso l’editore parigino Fayard, riguarda infatti la centralità e il primato rappresentati dall’odierna situazione italiana nello sviluppo internazionale dei fenomeni neopopulisti. Ben al di là di quanto scritto in questi giorni dalla stampa d’oltralpe, Hermet, che studia la storia e la politica europea da oltre trenta anni e a cui si devono alcune notevoli opere sulla Guerra civile spagnola e sul regime di Franco, assegna ai partiti del Polo delle libertà un ruolo di veri e propri “apripista”, di anticipatori, per grandi linee, di quanto i movimenti e le formazioni populiste potranno dire nel futuro del vecchio continente. Un giudizio che, da solo, già riassume il senso dei molti interrogativi che gli osservatori internazionali hanno posto in questi giorni sul futuro del nostro paese in caso di successo elettorale delle forze della cosiddetta “Casa delle libertà”.
Inoltre l’idea che l’Italia sia diventata una sorta di laboratorio politico e sociale, dove si vanno definendo gli orizzonti futuri di fermenti politici segnati profondamente dalla critica populista ai meccanismi della democrazia rappresentativa, non scaturisce nella ricerca di Hermet da una presa di posizione preconcetta, da un discesa in campo “partigiana” contro le forze della destra nostrana. Questo non soltanto per la credibilità dell’autore, attualmente docente all’Istituto di studi politici di Parigi dopo aver insegnato in Svizzera e Belgio, quanto perché Les populismes dans le monde vuole essere soprattutto una vera storia sociologica del populismo, letto attraverso le sue manifestazioni storiche nel corso degli ultimi due secoli e la sua diffusione addirittura planetaria. Il risultato conduce a delineare in qualche misura l’ideale albero genealogico del Cavaliere e di tutta la nuova destra italiana, le differenti famiglie del populismo e lo stesso spazio politico che questo fenomeno ricopre non come risultato mimetico del vecchio fascismo, ma come fenomeno originale che trasforma i sostenitori del rifiuto della “politica” che parlano a nome e per conto del popolo, in “politici” di successo e di potere. Nell’indicare il percorso dal vecchio populismo alle forme contemporanee e mediatiche del fenomeno, risaltano alcune caratteristiche stabili della comunicazuione politica populista: dall’idea di incarnare il popolo in contrapposizione ai politici, all’espressione di vicinanza e prossimità agli elettori o ai cittadini; una descrizione della realtà secondo i canoni della denuncia, la proposizione di cure semplici e “antipolitiche” per risolvere i problemi, infine l’accento posto in ogni momento sulla necessità di una riforma profonda della nazione.
Hermet costruisce l’analisi del populismo offrendo una formidabile descrizione della sua fenomenologia nelle tracce politiche e culturali che ha lasciato fin qui: a partire dai narodniki russi della prima metà dell’Ottocento, per giungere fino a Forza Italia. Se dalla prima corrente politica e intellettuale, legata alle tendenze slavofile della cultura russa del periodo zarista, trae origine la stessa adozione nel vocabolario contemporaneo del termine “populismo”, lo studioso francese attraversa gli anni e le fasi storiche per delineare modelli e caratteristiche proprie alle diverse manifestazioni populiste. Tra i “casi fondatori”, oltre a quello della Russia, sono citati l’esempio del generale Georges Boulanger, negli anni Ottanta dell’Ottocento, che utilizzerà in politica la sua immagine di “salvatore della patria” conquistata sui campi di battaglia – da cui la definizione di boulangisme usata nella storiografia transalpina – e del Peoples Party fondato alla fine dello stesso secolo per rispondere alle attese e ai timori dei “piccoli bianchi” statunitensi e iniziatore di quel fenomeno populista nordamericano che, passando per George Wallace e l’opposizione al movimento per i diritti civili dei neri negli anni Sessanta, arriva fino a Ross Perrot.
Ma se l’Europa e gli Stati uniti hanno visto storicamente nascere i primi segnali populisti è soprattutto l’America Latina che si è trasformata negli anni in vera terra d’elezione per il fenomeno. Hermet ripercorre l’intera vicenda novecentesca del continente ispanoamericano disseminata dall’ascesa al potere dei vari “caudillos”, concentrando poi particolarmente la propria attenzione sulla vicenda di Getulio Vargas in Brasile e di Juan Domingo Peron in Argentina. In questa ricostruzione globale d’impianto storico trovano posto anche quelli che vengono definiti come “i populismi della decolonizzazione”, nei paesi dell’Africa e dell’Asia: da Nasser in Egitto, all’India e al Pakistan, attraversando i movimenti populisti di ispirazione musulmana, fino all’Indonesia e alle Filippine.
La traccia della ricerca ritorna infine in Europa, dapprima all’est con i movimenti nati dopo la caduta del muro di Berlino, ma spesso con filiazioni storiche più lontane, e quindi all’ovest con lo sviluppo di quello che Jean Viard ha definito come “nazionalpopulismo” (Jean Viard, Aux sources du populisme nationaliste, Editions de l’Aube, 1996) a proposito, in particolare, del Front National di Jean Marie Le Pen e dei fenomeni analoghi nati negli ultimi quindici anni, dapprima in Scandinavia, e quindi via in Austria, Svizzera, Belgio e Italia.
L’approdo europeo e più che attuale dell’indagine di Hermet gli consente anche di situare i fenomeni neo-populisti degli ultimi anni nella “destra radicale”, vale a dire in modo distinto dall’estrema destra gruppuscolare o apertamente nostalgica, ma anche dalla vecchia destra parlamentare tradizionale. E’ nello schema che riassume, secondo l’autore, le cinque principali componenti del populismo europeo di oggi, ma proiettato pericolosamente anche nel futuro, che il ruolo dell’Italia assume grande rilievo.
La prima di queste tendenze è rappresentata dai partiti anti-tasse dei paesi scandinavi che sono nati mettendo in discussione il modello di stato sociale sostenuto dalla socialdemocrazia – in Norvegia sono attualmente in grado di superare addirittura gli stessi socialdemocratici nelle intenzioni di voto – e che hanno progressivamente arricchito il loro repertorio con posizioni esplicitamente xenofobe e contrarie all’integrazione europea. Il secondo nucleo riunisce le grandi formazioni nazional-populiste centrate sul rigetto dell’immigrazione e sulla difesa dello Stato-nazione di fronte ai processi della globalizzazione: da Le Pen a Haider, passando per lo svizzero Blocher e i tedeschi dei Republikaner, fino ai “Repubblicani” cechi. Al terzo anello incontriamo invece quei movimenti che pongono l’accento, in modo contrario ai precedenti pur facendo ricorso al medesimo razzismo, sulle rivendicazioni secessioniste e antistatali, come il Vlaams Blok nelle Fiandre, la Lega dei Ticinesi in Svizzera o la Lega Nord da noi. Gli ultimi due esempi di questa “catalogazione” proposta dal libro di Hermet sono appannaggio esclusivo di formazioni italiane. La quarta tipologia populista presa in esame riguarda infatti Alleanza Nazionale, partito che viene posto dall’autore a metà cammino tra il proprio passato strettamente fascista e il tentativo di configurarsi come un movimento neo-populista, segnato in particolare dal riferimento sia politico che organizzativo all’autoritarismo. Infine, all’ultima casella, c’è proprio Berlusconi e Forza Italia che vengono descritti come la prima vera testimoniaza europea di un fenomeno già osservato in altre parti del mondo e che viene descritto come “neopopulismo mediatico”.
Secondo il ricercatore francese Forza Italia “si inscrive nel repertorio di una antipolitica postideologica” caratterizzata da due elementi fondamentali. Da un lato “l’utilizzo intensivo delle tecnologie della comunicazione (…) in una prospettiva analoga a quella del marketing di un prodotto”; dall’altro il riferimento costante, per il progetto berlusconiano di gestione dello Stato, al modello dell’azienda. “Un fenomeno come quello di Forza Italia – aggiunge Hermet – non ha eguali nel resto d’Europa, le uniche vere somiglianze che si possono cogliere riguardano piuttosto l’America Latina, teatro in particolare della miracolosa ascensione verso la presidenza del Brasile di Fernando Collor sostenuto dalla potente tv Globo”.
A conclusione di questo viaggio nelle radici storiche di un fenomeno di stringente attualità, Hermet sottolinea come chi si voglia opporre oggi ai nuovi populisti debba comprendere che sta fronteggiando un fenomeno che ha ormai valicato l’ambito ristretto e temporaneo della “protesta” per inserirsi stabilmente nel panorama politico internazionale, non come una vestigia sopravvissuta del passato, ma come un sintomo amaro della modernità e delle sue contraddizioni.