Polo Torres, guida del Che, guerrigliero senza scarpe

La rivoluzione non è sicuramente un pranzo di gala, però non è neanche un susseguirsi di azioni eroiche o di fede cieca nell’utopia. La storiografia, attraverso il lavoro di ricerca, sempre più spesso mette in evidenza l’aspetto umano, le paure, i tradimenti, gli slanci inaspettati. I protagonisti delle rivoluzioni hanno un corpo che trema, occhi che a volte non vogliono vedere, mani che fanno violenza. Raccontare tutto questo non è facile, bisogna fare i conti con le rimozioni e combattere con gli strati di retorica che coprono gli avvenimenti. La distanza degli anni a volte gioca brutti scherzi, in particolar modo a chi si accosta con curiosità ad esperienze passate e che meriterebbero un racconto scevro da giudizi politici precostituiti. In questo senso, il caso della rivoluzione cubana è emblematico, si tratta di un contesto, non solo geografico, tuttora ben presente. Cuba e le sue speranze di cambiamento rappresentano ancora oggi un’occasione di dibattito aperto. Una rivoluzione cristallizzata o il segnale di un’alternativa ancora viva? Anche in questo caso interviene prepotentemente il vissuto degli uomini e delle donne che materialmente hanno imbracciato un fucile, che lasciato tutto si sono lanciati in un'”avventura” dall’esito incerto. La testimonianza diretta è lo strumento privilegiato attraverso il quale individuare delle coordinate utili. Questa volta l’aiuto viene da un libro edito da “Lampi di stampa”. Titolo: Il Che, la rivoluzione, l’amore nel racconto di Polo e Juana (pp. 142, euro 10,00). Si tratta della testimonianza di due “campesinos”, Capitan Descalzo, Polo Torres, e della sua compagna Juana, della loro lotta contro la dittatura di Batista e sopratutto della loro esperienza insieme ad Ernesto Che Guevara sulla Sierra. Polo e sua figlia Nieve sono in questi giorni in Italia per presentare il libro su invito dell’Arci nazionale e ieri a Roma hanno raccontato la loro storia a Palazzo Valentini, sede della Provincia. Un’occasione per parlare ancora del Che, della sua attualità all’interno dei movimenti sociali dell’America Latina. Come ha ribadito Nando Simeone, vice presidente del consiglio provinciale, la figura di Ernesto Guevara rappresenta ancora la stella polare «per non cadere nella stanca retorica rivoluzionaria e per valutare Cuba in tutta la sua complessità». Polo Torres ha passato il traguardo dei settant’anni e la sua storia ci fa da guida, così come lui fece da guida a Guevara sulle montagne della Sierra. Dalle parole di Torres emerge un mondo contadino povero e desideroso di riscatto, il cui incontro con i rivoluzionari, i “barbudos”, non fu però così naturale o segnato da un’adesione completa. Molto spesso prevalsero diffidenze e paure, lo stesso Che Guevara fu costretto ad usare la durezza, frutto dell’asprezza del momento, ma Polo Torres ricorda anche la sua dolcezza, il tentativo continuo di privilegiare il dialogo. Un’umanizzazione dell’esperienza rivoluzionaria che lo storico cubano Renè Hernandez, in Italia insieme a Torres, non ha mancato di sottolineare. Il cammino di Capitan Descalzo insieme al Che rappresenta infatti la dialettica continua che si è instaurata tra i “rivoluzionari di professione” e gli attori del “cambio total”, per usare un’espressione del vecchio “campesino”. I primi hanno imparato dal popolo e viceversa. Il libro dunque non parla solo della formazione di quadri politico-miltari, ma si sofferma sulle scelte di persone come Polo Torres e la sua compagna che hanno visto nel rapporto con Ernesto Guevara la speranza se non la certezza di un’altra vita. Senza il lavoro di Torres, che materialmente mise in piedi la “Mesa”, il comando più importante della guerriglia, la permanenza di Guevara sulla Sierra sarebbe stata molto più difficile. Nonostante ciò, Polo Torres rifiutò sempre per sé un ruolo importante all’interno dell’esercito rivoluzionario. Subito dopo la vittoria, ignorando gli inviti del Che ad assumere incarichi di comando, tornò sulle sue montagne per continuare il lavoro di coltivatore. La discipina militare non faceva per lui, la ragione del suo nome di battaglia, Descalzo, è così svelata. Polo Torres non ha mai voluto indossare le scarpe, se fosse rimasto all’Avana avrebbe dovuto farlo e sarebbe stato un po’ come tradire se stesso. La metafora delle scarpe sembra essere quella della rivoluzione, bisogna mantenere la semplicità e la spontaneità dei comportamenti per conservare lo slancio ideale. Un filo sottile, sul quale ha sempre camminato Guevara, che si è spezzato un giorno in Bolivia.