Pil, «la fine di un’illusione»

«Il Pil a quota zero? Non c’è da meravigliarsi. Con una struttura industriale come quella che abbiamo non mi stupisco più di nulla, ormai siamo costretti a ragionare sui decimi di punto». Luciano Gallino, sociologo, professore emerito all’Università di Torino, autore dell’«Italia in frantumi», pubblicato dalla Laterza, commenta così la gelida pioggia dei dati Istat relativi al Pil, al rapporto con il deficit e soprattutto ai trucchi berlusconiani sull’occupazione. Con lui parliamo di crescita zero ma anche dello «schiaffo francese» nel settore dell’energia

Professor Gallino, il milione di posti di lavoro in più sventolati dal «prestigiatore» Silvio Berlusconi che fine ha fatto?

Come si può pretendere che aumenti l’occupazione se il prodotto interno lordo non cresce? Il nostro apparato industriale è messo male e quindi non c’era da aspettarsi altro. Tenga conto che l’industria continua ad essere l’asse portante della nostra economia. Molti parlano di servizi ma dimenticano che nel nostro paese i servizi sono prevalentemente servizi alle imprese. E’ inutile vendere illusioni, noi non siamo la Gran Bretagna, gigante dei servizi finanziari. Da noi anche l’informatica, la logistica e i trasporti sono legati all’andamento dell’industria

Torniamo all’occupazione: i dati Istat parlano di 102.000 posti di lavoro in meno, pari a un calo dello 0,4%. Non era cresciuta l’occupazione?

Silvio Berlusconi ha usato molto spesso questa storia dell’aumento dell’occupazione a fini propagandistici ma le cose non stanno così, se si leggono bene i dati la realtà è ben più preoccupante: i circa 650.000 posti di lavoro in più in realtà lavoravano già ma non erano ancora iscritti alle liste, ancora non comparivano; quando sono stati iscritti il governo li ha «venduti» come nuovi occupati. In verità l’occupazione è ferma da tre anni e se si calcola rispetto alla popolazione è in calo. Anche gli altri dati parlano chiaro: il governo del pubblico bilancio non è riuscito a mantenere i livelli precedenti. Il calo dell’avanzo primario, poi, mostra che lo Stato non riesce a regolare le spese

Come è possibile che il governo abbia deformato in questo modo la realtà?

Qualcuno ha preso alcuni indicatori parziali e li ha generalizzati. Ad esempio c’è stata una ripresa della produzione di autoveicoli e dell’economia tedesca, accompagnate da un pil statunitense in crescita ma questo evidentemente non si è tradotto in una crescita dell’economia italiana. Eppure chi ha saputo giostrare con quei dati ha fatto credere che ci sarebbe stata una ripresa

Se lei permette passerei a un altro argomento che sta dilagando in Italia e in Europa: il caso Suez-Gdf. Che cosa ne pensa?

Alla scelta francese si può obiettare che sarebbe stato meglio creare accordi internazionali in Europa, piuttosto che in casa propria ma non ci si può indignare più di tanto per quello che è avvenuto: sono dieci anni che in Europa si parla dell’importanza che devono assumere gli azionisti nelle imprese. I francesi hanno fatto proprio questo. La differenza sta nel fatto che l’azionista principale di Gdf è lo Stato francese. Più in generale penso che l’Europa in questo momento soffra di una patologia grave: le continue acquisizioni non avvengono per ragioni legate a un progetto industriale ma per evitare le scalate. Prevale quindi una pericolosa ottica finanziaria che non credo sia salutare all’Europa

Qualcuno parla di ritorsioni, qualcun altro di simmetria. Anche Romano Prodi ha detto che l’assimmetria è insopportabile

Può essere un discorso ragionevole ma la verità è che manca una politica industriale. E poi l’Enel ha fatto l’errore di annunciare un opa all’improvviso, senza che i ministri italiani e francesi potessero prendere contatti e gestire la questione. D’altronde in questi anni il governo Berlusconi nelle scelte industriali ha privilegiato gli Stati Uniti e quando ha potuto ha preso a pedate la Francia. Ci sono molti casi che mostrano questa politica del nostro governo. Mi pare che la Francia oggi ci restituisca i «favori». Insomma, credo che noi raccogliamo quello che abbiamo seminato

Molti osservatori hanno recitato il de profundis per l’Europa. E c’è qualcuno che addirittura pensa a una crisi irreversibile. Lei cosa pensa, il futuro dell’Europa è davvero compromesso?

Ma non scherziamo. Bisogna distinguere diversi livelli prima di decretare la morte dell’Europa comunitaria. Certo, ci sono elementi di crisi ma bisognerebbe avere più attenzione al fatto che per tantissime cose l’Europa è ormai un punto di non ritorno. E’ una grande macchina da ormai 15-20 anni che difficilmente si potrà fermare. Tutta la legislazione europea prevale su quella dei singoli stati e in molti casi è inconcepibile fare progetti se non in ambito europeo. Io starei attento a decretare troppo facilmente la morte dell’Europa. Forse bisognerebbe pensare e lavorare di più per un Europa industriale e dei servizi piuttosto che per un Europa soltanto finanziaria. La nascita della moneta è stato un passo importante ma non l’unico per costruire l’economia europea.