Pierino che avrà 20 anni nel 2010

Ispirato da un ritorno in sedicesimo dello Spirito hegeliano nel mondo postmoderno, Piero Fassino presenta il Pd non come un progetto politico ma come «una necessità storica». Non è che i Ds lo vogliono, è che lo devono all’Italia: «Grava sulle nostre spalle una gigantesca responsabilità verso l’Italia e verso gli italiani», e assumersela significa «dare all’Italia un soggetto politico nuovo», concepirlo come un dono come un uomo fa con una sposa. Perché questo matrimonio fra l’Italia e il partito post-comunista avvenga in tempi di globalizzazione matura, quando sarebbe il momento di guardare più al mondo che alla nazione, è uno di quei paradossi che in politica capitano, ma non è inspiegabile. Fattosi finalmente Stato cioè pienamente governo, quel partito s’è accorto che «i caratteri costitutivi della nazione» (ruolo internazionale, modello di sviluppo, coesione sociale) sono dissestati, e dunque pesca nel proprio passato per rilanciare «la funzione nazionale» che fu del Pci nei momenti cruciali, dalla Resistenza al «contributo alla salvezza del paese negli anni ’70».
E’ l’unico tassello della tradizione a essere rilanciato: per il resto, «la nostra storia, lontana e recente, non è in discussione», ma ormai «serve un pensiero nuovo per un secolo nuovo», che «non è iniziato il 1° gennaio 2000, ma il 9 novembre ’89». E’ vero, serve; e Fassino ha pure ragione quando ammonisce «guai a credere che stare fermi, rifugiarsi nell’identità, coltivare le nostalgie della memoria, sia sufficiente per esercitare il ruolo politico a cui la sinistra aspira». Ma se poi si vanno a cercare nella sua relazione gli spunti o anche solo gli stimoli del pensiero nuovo per il secolo nuovo, non si trova molto di più che il resto di niente. Sei righe (su 54 cartelle) sulla globalizzazione, altre sei sul postfordismo, cinque sulle migrazioni, undici su clima e energia e parecchie di più solo su famiglia e bioetica, «temi sensibili» per il rapporto con i cattolici. Né la brevità, in questo caso, sta per densità: nel tempo nuovo «tutti i caratteri della società – modo di produrre, di consumare, di lavorare, di comunicare, di relazionarsi agli altri – sono cambiati profondamente», ma più in là di questo non si va. «La geografia economica e politica del pianeta muta», ma di questa mutazione il segretario si limita a elencare i capitoli: «crisi della leadership Usa, protagonismo dei paesi emergenti, complessità dei rapporti fra Islam e occidente». E così pure mutano il clima, la produzione e il lavoro, gli equilibri demografici e anagrafici, la struttura delle famiglie, il rapporto con la vita e la morte, la natura e la tecnologia, ma su ognuno di questi titoli si vola bassissimo. E si sorvola pure su quello della crisi della democrazia e del rapporto fra cittadini e politica, su cui qualche idea il «partito nuovo» dovrà pure farsela venire…Sì che quando Fassino dice che invece di attardarsi sulla propria identità bisogna «stare in sintonia con la società e la sua costante evoluzione» va preso alla lettera: in sintonia, senza l’ombra della critica e senza nemmeno la fatica dell’interpretazione.
Con queste premesse non promette granché l’incontro fra i valori storici della sinistra – libertà, democrazia, giustizia, uguaglianza, solidarietà, lavoro – con l’alfabeto del nuovo secolo – cittadinanza, diritti, laicità, innovazione, integrazione, merito, multiculturalità, pari opportunità, sicurezza, sostenibilità, sopranazionalità» che il segretario invoca come piattaforma culturale del Partito democratico; anzi a guardare bene promette meno del Psi di Craxi e Martelli, che ai meriti nell’81 affiancava almeno i bisogni, e della laicità non pensava che dovesse limitarsi a gestire il traffico del dialogo «tra tutte le culture, religiose o secolari» e «garantire la Repubblica dall’integralismo religioso, ideologico e economico». E’ vero che il Partito democratico «lo facciamo per chi avrà vent’anni nel 2010». Ma anche chi avrà vent’anni nel 2010 non si vede perché non dovrebbe meritare qualcosa di più.