Piazzale Loreto riguardato in poltrona

Forse non succede niente di importante nel mondo, se il settimanale di attualità della famiglia Berlusconi spara in copertina una foto lugubre di Benito e Claretta appesi per i piedi a Piazzale Loreto e un’immagine ancor più lugubre di Massimo d’Alema accigliato e severo che dichiara «Mussolini non doveva essere ucciso». La copertina annuncia che Bruno Vespa riapre il dibattito (quale?) sulla fine del Duce, e che D’Alema rompe un tabù (quale?) dell’antifascismo. In realtà si tratta di anticipazioni del libro annuale di Bruno Vespa, dal titolo incredibile Le stagioni dell’odio. Dalle leggi razziali a Prodi e Berlusconi (e qualcuno tra i suoi saggi interlocutori potrebbe spiegare a Vespa che accostare gli anni della guerra ai nostri anni sotto il segno di «stagioni dell’odio» è cosa non solo antistorica, ma anche stupida).

In questo libro D’Alema, secondo Vespa, compie «una revisione intelligente e coraggiosa di un episodio cruciale della storia italiana». In verità D’Alema si limita a esercitare la sensibilità di un contemporaneo di fronte alla ferocia di quel tempo e aggiunge, in maniera significativa: «oggi, a due persone che ne parlano in poltrona, appare incomprensibile». Parlandone sempre in poltrona, potremmo aggiungere che sarebbe stato generoso risparmiare la vita di Annibale da parte dei romani, e che Cromwell sarebbe stato magnanimo nel graziare Carlo I dalla decapitazione.

Contestualizza con più senso storico Piero Fassino, che richiama le logiche spietate di quella guerra, «i partigiani torturati, fucilati, morti nei capi di sterminio. A quelli nessuno ha fatto il processo». Da dimenticare lo sproloquio di Silvio Berlusconi, degno della sua cultura. Assennata e lapidaria è invece la risposta di Gianfranco Fini: «Lasciamo la storia agli storici».

Gli storici a loro volta interpellati si muovono con comprensibile prudenza sul terreno della storia controfattuale, che può essere un divertissement puramente fantastico, ma anche un esercizio con sue regole non del tutto arbitrarie. Realisticamente, bisogna pur dire che l’alternativa alla fucilazione sarebbe stata con ogni probabilità il linciaggio, un Piazzale Loreto ancor più truculento. Per la verità nessuno, fascisti esclusi, in quel tempo biasimò l’esecuzione di Mussolini, mentre l’esposizione del suo cadavere fu esecrata da tutti gli uomini della Resistenza. Di processo mancato non si parlò, né in Italia né fuori d’Italia. Mussolini, come ebbe ad annotare Croce nel suo diario, appariva in realtà già morto da molto tempo per gli italiani.

La fantasia del processo, ad imitazione di Norimberga, nacque molto più tardi. Ed è strano che nessuno oggi abbia ricordato un corposo libro di trent’anni che offriva addirittura gli Atti di un immaginario processo a Mussolini (Paolo Pavolini, Il processo Mussolini, edito da Bompiani nel 1975).

«Benito Mussolini è qui – iniziava la cronaca -, seduto davanti a noi, con due military-police inglesi alle spalle… veste un borghesissimo doppiopetto grigio, con una grossa cravatta turchina annodata al colletto di una camicia a righe…». Il punto di vista dell’autore, giornalista e partigiano, era esattamente opposto a quello dei Vespa di oggi: processare Mussolini non sarebbe stato gesto di pacificazione «buonista» ma si sarebbe risolto in un atto lacerante ma necessario di autocoscienza per il paese. Il processo si risolveva infatti in una chiamata di correità per monarchia, Chiesa, esercito, Inghilterra, per tutte le forze che erano state complici nell’avvento, nella durata, nei crimini del fascismo. Non a caso alla fine del libro Mussolini faceva la fine di Pisciotta, con un bicchiere di latte avvelenato al posto della tazzina di caffè.

Al di là del gioco di fantasia, sembrava suggerire l’autore, il vero problema, vivo o morto che fosse Benito Mussolini, era il mancato processo all’Italia che aveva reso possibile il fascismo. Trent’anni dopo, in termini di elaborazione collettiva, il problema è ancora quello, ma col passare degli anni si è fatto più torbido e intricato, un groviglio quasi inestricabile.