I comunisti in prima fila nella preparazione della giornata di lotta
Articolo tratto dal sito http://solidarite-internationale-pcf.over-blog.net/
Traduzione dal francese a cura di Massimo Marcori per l’Ernesto online
Con una recessione del 4,1% e un deficit pubblico del 5,9% nel 2009, la vecchia locomotiva industriale del blocco dell’Est è sprofondata in una profonda crisi 21 anni dopo la “controrivoluzione di velluto” che ha restaurato nell’ex Cecoslovacchia un sistema capitalista liberale, messo in opera dall’ODS di Vaclav Havel e Vaclav Klaus.
Nel quadro del modello liberale ceco, con una politica che favorisce “l’offerta” (cioè il capitale) sulla “domanda interna” (cioè i lavoratori) ed un’economia estremamente dipendente dagli investimenti stranieri e dalle esportazioni di macchinari industriali e prodotti finiti, la crisi del capitalismo mondiale non poteva che colpire duramente.
E soprattutto farne pagare le conseguenze ai lavoratori stessi, in particolare del settore privato. I piani sociali e le chiusure di fabbriche si moltiplicano, come avviene con il costruttore di camion Tatra che ha licenziato 500 dei suoi 2.500 operai quest’anno o anche con la Società di gestione delle ferrovie che ha soppresso quasi 1.000 posti quest’anno. La sola industria automobilistica ceca ha soppresso 12.000 impieghi nel 2009.
Logica conseguenza è il rialzo spettacolare del tasso di disoccupazione che passa dal 4 a quasi il 10% in un anno, come pure la riduzione generale dei salari reali e anche nominali.
Un piano d’austerità che fa pagare la crisi ai lavoratori e privatizza i servizi pubblici ereditati dal sistema socialista
Il piano d’austerità proposto dal governo di destra e adottato martedì 2 ottobre dal Parlamento aggrava il pesante fardello sulle spalle dei lavoratori cechi: rialzo delle imposte forfettarie, socialmente le più inique (imposizione al 50% del risparmio abitativo, imposta eccezionale di 4 euro a testa); riduzione e restrizione per l’accesso ai sussidi sociali e familiari; riduzione dei salari dei funzionari dal 10 al 43%.
Queste misure che colpiranno duramente i lavoratori sono da ricondursi all’attacco a fondo del governo di destra condotto contro i resti dello stato sociale e dei servizi pubblici ereditati dall’epoca socialista. Il governo prevede la fine dell’educazione gratuita con l’introduzione di spese di scolarità, la demolizione del sistema pensionistico assicurativo attuale e la sua privatizzazione con un sistema a 3 livelli, con capitalizzazione e mantenimento di un minimo livello di sicurezza assistenziale e infine la demolizione definitiva della sanità pubblica ceca.
Il governo ceco prevede di assegnare 400 milioni di euro in meno al settore sanitario per il 2011. Le conseguenze dirette, sono le riduzioni di visite mediche e di medicinali che si intensificano come anche l’aumento delle tariffe ospedaliere con conseguenze talvolta drammatiche. La conseguenza indiretta è lo sviluppo di una sanità privata accessibile unicamente ai più ricchi e la generalizzazione delle pratiche di corruzione.
Altra conseguenza, la riduzione attesa delle remunerazioni di medici e infermieri che lasciano presagire un massiccio esodo di medici cechi verso i vicini tedeschi e austriaci. Nel 2009, 250 medici cechi avevano già scelto l’esilio, mentre nel paese di registra la mancanza di 700 medici ogni anno.
I sindacati contano su un potenziale di mobilizzazione inedito per piegare il governo
Per i cechi il troppo è troppo. Perché con l’aumento degli affitti e dei crediti da rimborsare, numerose famiglie sono sull’orlo del fallimento. Cifra che illustra l’ampiezza del disastro sociale: nel 2009, il numero dei fallimenti personali è aumentato del 250%. Quando al tempo stesso, il governo di destra trova il denaro per rafforzare il contingente militare in Afghanistan di 200 uomini, il carattere pretestuoso delle argomentazioni del padronato diviene manifesto.
Solo un ceco su cinque approva le misure d’austerità del governo. E’ su tale capitale di simpatia e su questo potenziale inedito di mobilizzazione che i sindacati sperano di costruire un movimento capace di piegare il governo.
Il 21 settembre scorso, più di 50.000 lavoratori avevano percorso le vie di Praga per protestare contro la politica di distruzione sociale del governo. Una delle più grandi manifestazioni di questi ultimi due decenni, con l’irruzione nuova e massiccia della gioventù studentesca.
I sindacati hanno annunciato la loro volontà di chiamare ad una giornata di sciopero nelle prossime settimane. Il giorno è stato fissato all’inizio di questa settimana e sarà l’8 dicembre. Se l’ipotesi di sciopero ad oltranza non è ancora stata decisa dall’intersindacale, essa è già stata messa in cantiere e beneficia di una larga simpatia tra la base sindacale.
La destra screditata, i socialdemocratici pronti a negoziare: la ragione d’essere dei comunisti
In questo contesto, le elezioni parziali del Senato del 16 e 23 ottobre erano un test per il governo, un “mini referendum” sulle controriforme proposte. L’impopolarità del governo si è riflessa anche nelle urne poiché la destra ha perso 15 dei 25 seggi che metteva in gioco in questo scrutinio. Essa perde con questo la maggioranza al Senato che passa alla sinistra.
I grandi vincitori di queste elezioni sono indubbiamente i socialdemocratici, che ottengono 12 seggi direttamente conquistati alla destra e ottengono per un seggio (41 su 81) la maggioranza al Senato. Il partito socialdemocratico ha saputo colorare il suo discorso di sinistra nell’opposizione, opponendosi sia alle misure di austerità che al rafforzamento del contingente in Afghanistan. Tuttavia il suo accordo sostanziale con le riforme del governo, evidente nella sua pratica governativa anteriore, non costituisce una minaccia per il progetto di legge.
Infatti, come afferma esplicitamente il leader dei socialdemocratici, Bohuslav Sobotika: “Ci auguriamo che il Senato presenti un’alternativa, affinché il governo sia costretto a cercare dei compromessi in occasione della sua messa in opera”. No ad un veto al Senato, sì ad un piano di austerità negoziato, ecco la posizione dei socialdemocratici cechi.
Ecco la ragione d’essere dei comunisti cechi. Soltanto loro conducono da vent’anni la critica conseguente del sistema capitalistico e delle controriforme liberali condotte spesso dalla destra ma consentite dalla sinistra socialdemocratica. I comunisti, in circoscrizioni difficili e in un’elezione che non è la migliore per loro, hanno ottenuto un buon risultato del 10,5%.
Di là da questo, il disincanto di tanti lavoratori cechi nei confronti del sistema capitalistico e la loro nuova volontà di battersi per opporsi a questa macchina stritolatrice, i lavoratori e il popolo danno ragione alla lotta ostinata del Partito Comunista di Boemia e Moravia.
Uno dei rari partiti dell’Europa dell’Est che ha rifiutato la dissoluzione nel 1989-91 e che 20 anni dopo ritrova tutte le ragioni della sua scelta.