In quei suoi 33 metri quadrati nel cuore di Milano, si fa quasi fatica a scorgerlo, Dheeraj. Sette cabine telefoniche e un computer saturano lo spazio disponibile. Entrano due rappresentanti, offrono «vantaggiosi» contratti per risparmiare un po’ sull’elettricità. Involontaria beffa. «Guardi che io sto per chiudere…». 33 metri quadri, sette cabine telefoniche, un computer per le connessioni a internet e poi la rivendita di schede telefoniche, fax e fotocopie. Un investimento di 45 mila euro, fatto tre anni fa. Il pane quotidiano, «non un euro in più», per dodici ore di lavoro al giorno.
Tipico esempio di imprenditoria immigrata, Dheeraj, 35 anni, è arrivato in Italia, dalle Mauritius, diciassette anni fa. Diplomato in lingue, ha fatto il custode per quattordici anni. Entro la settimana, dovrà sigillare le sue sette cabine, metterà un paio di computer per trasformare il suo phone center in un internet point. «Ma con 1300 euro di affitto al mese, durerò forse due mesi – ammette rassegnato – E poi chi mi dice che non faranno un’altra legge per chiudere anche gli internet point?».
Sì, perchè a decidere la chiusura del negozio di Dheeraj, e quella della stragrande maggioranza degli oltre 2500 phone center seminati sul territorio lombardo (quasi 700 solo a Milano), è una legge regionale. Approvata dalla giunta Formigoni un anno fa, in vigore da domani, e retroattiva.
Tutti i phone center lombardi dovranno avere un atrio di 9 metri quadrati, cabine telefoniche grandi almeno un metro quadrato e doppi servizi (uno per il personale e uno per gli utenti a norma di handicap). Dovrà esserci un registro con i dati di tutti i clienti e la polizia municipale sarà autorizzata, in qualunque momento, a entrare e chiedere i documenti a chiunque. Nessun altro negozio deve rispettare una legge come questa.
«Adeguarsi? E come si fa…». Quella di Dheeraj è una voce tra tante. Come tante. Il suo è un phone center tra tanti. Come tanti. La maggior parte. In trentatrè metri quadrati, quando va bene, come si fa ad avere un atrio di nove? «E poi tre bagni…Io uno ce l’ho, è quello che uso io». «E le cabine di un metro, le mie sono di 95 centimetri, quelle della Telecom sono di 85 centimetri». «Se me lo dicevano prima, non avrei aperto di certo, continuavo a fare il custode». Lavoratore dipendente e sfruttato sì, imprenditore mai.
«Mi costringono alla chiusura e non mi ripagano neppure i soldi spesi» dice Hasam, 37 anni, da un angolo dei suoi 15 metri quadrati in una delle zone a più alta densità di migranti. Eccola l’imprenditoria immigrata, di prima e seconda generazione. Quelli che dopo anni di lavoro e sacrifici hanno investito i loro risparmi, «nell’unico investimento possibile». Hai voglia a domandare loro se non perdono anche un luogo di socialità e aggregazione. Non ne vogliono sentir parlare, e forse è una sorta di autodifesa indotta. «Questo è il mio lavoro – taglia corto Jamal, che viene dall’Eritrea – E qui viene chiunque abbia bisogno di fare una telefonata». C’é chi ha venduto casa per comprare il negozio. Chi si è indebitato per anni. Chi ha appena avviato le pratiche per il ricongiungimento familiare…Difficile ribattere a chi ti dice, «così non siamo trattati da esseri umani».
La settimana scorsa c’é stato un presidio di fronte alla sede della Regione, organizzato da Assiphoc (che rappresenta circa 400 phone center). Alcuni stranieri hanno iniziato uno sciopero della fame. Sabato prossimo ci sarà un’altra manifestazione. «Ma noi non abbiamo la voce che avete voi, non siamo organizzati come voi» dice Marco Yacoub, egiziano che ha appena ottenuto il ricongiungimento. Il terrorismo? «Ci sono i controlli, che chiudano tutti i negozi non in regola, ma noi…non siamo persone così». Già con le norme antiterrorismo varate dall’ex ministro Pisanu, hanno dovuto cambiare sistema informatico per registrare i documenti di tutti i clienti. Duemila euro di spesa e guadagni a picco da allora. «Perchè la gente, quando chiedi i documenti, va a telefonare da un’altra parte».
Pochi riusciranno a mettersi in regola. E a che prezzo? Dovranno ridurre le cabine (e quindi il fatturato), e dovranno anche rinunciare a tutte quelle attività collaterali che contribuivano al guadagno mensile. Perchè da domani in un phone center si potrà telefonare punto e basta. Quindi addio al money transfer, addio a fax e fotocopie, addio a internet. «Cosa racconto a mio figlio quando domani mi troverà senza soldi, senza lavoro?» domanda Tedros, eritreo. «Questi signori devono sedersi a un tavolo e pensare che ci stanno mandando in fallimento».
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