Petrolio e guerra dietro il crack della Enron

Un filo rosso lega la guerra in Afghanistan alla bancarotta della Enron. Le lobby economico-produttive che hanno contribuito all’insediamento di Bush e Cheney alla Casa Bianca potrebbero aver esercitato un ruolo nelle vicende post-11 settembre, e persino nella scelta del neopremier ad interim di Kabul. Da anni, infatti, Hamid Karzai è uno dei consulenti chiave della Unocal, la compagnia petrolifera californiana che aveva tentato di venire a patti con il regime taleban per la realizzazione di un oleodotto-gasdotto che, partendo dal Turkmenistan, e attraversando il territorio afghano, sfociasse in Pakistan, dopo 1300 km di un percorso quantomeno insidioso. Per capire gli intrecci dell’”affaire”, è necessario partire dagli eventi delle ultime ore: dal contrasto tra il Congresso americano e il vicepresidente Dick Cheney, accusato di non voler rivelare i dettagli degli incontri con i top manager dell’industria americana per la messa a punto del piano nazionale dell’energia. Il sospetto è che Cheney, in questo modo, ostacoli l’inchiesta per il fallimento Enron.
Attenzione: proprio alla “corporation” protagonista del più grave crack della storia statunitense era stato affidato, a suo tempo, lo studio di fattibilità sull’impianto petrolifero in Asia Centrale progettato dalla Unocal. Ai meeting riservati dei primi mesi dello scorso anno, Cheney aveva ammesso anche il presidente della Enron Kenneth Lay. Intanto, molti azionisti di punta dell’azienda erano già entrati nell’amministrazione Bush: tra questi, il Segretario alla Difesa Donald Rumsfeld e il Rappresentante per il Commercio Robert Zoellick. Non bastasse, uno degli ex vicepresidenti della Enron, Thomas White, è ora Segretario dell’Esercito. E prima di diventare numero due della Casa Bianca, lo stesso Cheney era alla guida della Halliburton, la multinazionale candidata alla realizzazione delle infrastrutture del gasdotto afghano.
A Wall Street, tuttavia, temono che la prossima bancarotta riguardi proprio la Halliburton, il cui titolo in borsa ha avuto nelle ultime settimane un calo del 40 per cento. Per il momento, dunque, la triangolazione Unocal-Enron-Halliburton rischia di rivelarsi un fallimento istituzionale, potenzialmente in grado di travolgere l’amministrazione Bush, i suoi “grandi elettori”, e il progetto di un nuovo ordine mondiale.
E non troppo solida potrebbe rivelarsi anche la posizione dell’”uomo nuovo” di Kabul, quell’Hamid Karzai ora volato a Washington per consultazioni con il presidente. Negli Stati Uniti Karzai non è un turista per caso: assieme ad alcuni fratelli possiede una catena di ristoranti a Chicago, San Francisco, Baltimora e Boston. Alla Cia lo considerano di casa: il direttore dell’Agenzia, Bill Casey, andava a trovarlo in Pakistan, dove Karzai aveva stabilito la sua residenza negli anni in cui gli Stati Uniti finanziavano la guerriglia dei mujaheddin contro i sovietici. In quel periodo, dall’America affluivano soldi di ogni tipo agli afghani: dietro gli 007, le consorterie del petrolio tentavano di ingraziarsi tribù ed etnie in attesa di tempi migliori per il gasdotto. È allora che Karzai, confermano fonti del governo turco e iraniano, diventa consulente Unocal.
Dalla metà degli anni novanta, la compagnia petrolifera californiana ospita a più riprese, nel suo quartier generale di Sugarland, Texas, alcuni emissari taleban. Nel ’97 la CentGas, il consorzio internazionale alla cui testa è la Unocal, deve guardarsi dalla concorrenza degli argentini della Bridas Group, anch’essi interessati a sfruttare i giacimenti di gas naturale e petrolio in Asia Centrale. Dietro le quinte, al fianco di Karzai lavora per la lobby americana Zalmay Khalilzad, figlio di un esponente dell’ex governo afghano ai tempi di re Zahir Shah. E qui ogni tassello sembra andare al posto giusto: Khalilzad, che analizza il fattore di rischio per il progetto CentGas, è in quel momento uno dei più stretti collaboratori del Consigliere per la Sicurezza Nazionale Condoleeza Rice, la stessa che, per la sua esperienza in materia, ha avuto l’onore di veder battezzata con il suo nome una superpetroliera Chevron. Khalilzad, proprio come Karzai, ricompare al centro delle questioni afghane quando, dopo i raid di questi ultimi mesi, Bush lo spedisce a Kabul come Inviato Speciale Usa.
Dal 1998, ufficialmente, la Unocal ha rinunciato all’idea dell’oleodotto in Afghanistan. Una posizione riconfermata all’indomani dell’11 settembre 2001, quando la compagnia ha affermato di non aver più rapporti con gli esponenti taleban. Peccato che, in modo molto discreto, negli ultimi tre anni i rappresentanti degli “studenti” coranici abbiano mantenuto rapporti più che cordiali con i maggiorenti Usa. Una loro emissaria negli States è stata Laili Helms, nipote di un altro ex direttore Cia. E nella primavera scorsa Ramatullah Hashami, un “diplomatico” spedito a Washington dal mullah Omar, si è presentato alla Casa Bianca con in dono un prezioso tappeto afghano per Bush. La guerra ha mandato all’aria le trattative, ma il sogno dei petrolieri è rimasto in piedi. Serviva un governo affidabile a Kabul, e Karzai è subito parso l’uomo adatto. L’unico ostacolo al suo insediamento poteva essere il rivale Abdul Haq, il leader dell’Alleanza del Nord considerato dalla Cia troppo vicino agli interessi di Mosca e Teheran. Haq è stato ucciso dai taleban appena entrato in Afghanistan per perorare la causa dell’ex re Zahir Shah: secondo alcune fonti la “soffiata” sarebbe partita dai servizi segreti pakistani dell’Isi, legati a doppio filo con quelli Usa.
Le bombe hanno dunque riaperto la via del petrolio: l’ambasciatore americano a Islamabad, Wendy Chamberlain, ha già avuto colloqui con il ministro pakistano Usman Aminuddin per il via libera al terminale del gasdotto davanti a Karachi.