Petrolchimico: “La sicurezza costa troppo”

MESTRE

Le aziende chimiche hanno anteposto la logica del profitto alla tutela della salute. Un’affermazione intuitiva e lapalissiana. Dovendola però provare in un’aula di giustizia, occorre esibire documenti, tabelle, indagini epidemiologiche, indici di tossicità del cloruro e del policlururo di vinile, organi bersaglio. E’ quel che sta facendo nella sua requisitoria il pm Felice Casson al processo contro il Petrolchimico di Porto Marghera (imputati per strage colposa e disastro ambientale 28 dirigenti di Montedison, Montefibre, Enichem, Enimont). Anche ieri, seconda tappa della requisitoria, Casson ha concesso pochissimo al colore e alle battute. Citiamo quella su sir Dole, un luminare dell’epidemiologia che, secondo le difese, smentirebbe i consulenti dell’accusa: “Nonostante tanto strimpellare, la difesa dell’Enichem ha preferito tenerlo nella terra di Albione. Per non rischiare”. I consulenti dell’accusa “non sono venuti qui a raccontare storie ad uso del pubblico ministero” e Casson lo dimostra puntigliosamente, incrociando le memorie dei suoi collaboratori con la letteratura scientifica internazionale. Il nocciolo dell’udienza di ieri è stato il rapporto di causa-effetto tra esposizione al Cvm e al Pvc e varie patologie. Al Petrolchimico di Marghera i più esposti erano gli addetti all’insaccaggio e alla pulizia delle autoclavi. E’ tra loro che si sono registrati i picchi di tumori e di patologie al fegato, ai polmoni, all’encefalo e al sistema linfatico e emopoietico. “E con i periodi di latenza previsti in letteratura”, commenta in una pausa dell’udienza il chimico Vladimiro Scatturin, “vorrà pur dire qualcosa se questi 220 morti ci sono stati al Petrolchimico e non altrove. Basta questo per inchiodare le aziende alle loro responsabilità”.
Basta, ma è meglio abbondare. Per questo Casson inserisce anche qualche colpo a sorpresa. Ad esempio, la relazione del ’74, sequestra alla Montedison, firmata da un “osservatore” inviato dall’azienda negli Usa. Riferisce sulle ricadute previste dalle industrie americane delle materie plastiche se si fossero abbassati – come sollecitava il dipartimento federale del lavoro – i limiti dell’esposizione al Cvm. Perdita di 2 milioni di posti di lavoro e di 65-90 miliardi di dollari all’anno, calcolando le industrie utilizzatrici di Cvm e Pvc. Prezzi “proibiti” per sostituirli con altri materiali, il che prova secondo Casson che per non rinunciare ai profitti la aziende hanno perseverato il più a lungo possibile nelle produzioni mortifere. Un passaggio del documento aggrava la posizione della Montedison. L’osservatore scrive che la relazione tra Cvm e angiosarcoma al fegato “era già stata osservata in studi condotti dalle stesse aziende, ma era stata tenuta segreta e nessun provvedimento era stato preso”. Tra questi, quello del professor Viola, della Solvay di Rosignano. Citato ampiamente da Casson nell’udienza dell’altro ieri, lo studio dimostra che le industrie “sapevano” ben prima del ’73, quando l’americana Goodrich rivelò che alcuni suoi operai erano morti per angiosarcoma.
Casson proseguirà la requisitoria il 5 e 6 giugno; uno dei capitoli in scaletta è intitolato “La risposta dell’azienda, imbrogli e ricatti”. Il che fa prevedere che ne sentiremo delle belle. I commenti di due legali di parte civile. Luigi Scatturin: “La forza della requisitoria è la mole impressionante di dati inconfutabili. Emerge che le industrie facevano sì ricerca, ma solo per lucrare sul rischio calcolato”. Sandro Gamberini: “Questo non è un processo sul passato. Parla moltissimo del presente perché al centro c’è il rapporto subordinato della ricerca tecnico-scientifica all’impresa. In un’epoca che canta le lodi dell’impresa non c’è nulla di più attuale”. Per questo processo le difese degli imputati “hanno noleggiato mezza università” trasportandola a Mestre su un pullmino speciale.