Peter Handke, uno spettro tra noi

C’è un avvenimento «europeo» dirompente. E’ l’attualità della vicenda «balcanica» che riguarda lo scrittore Peter Handke. Su questo abbiamo rivolto alcune domande a Moni Ovadia, un altro scrittore, autore di teatro e attore, ipersensibile ai nodi della democrazia reale, del rispetto delle minoranze, e più in generale dell’identità occidentale di fronte alla devastazione delle guerre e del terrorismo.
Possiamo dire che s’aggira per l’Europa lo «spettro» di Peter Handke»? Perché è accaduto che prima la Comédie française ha annullato la programmazione di un suo dramma e poi che la città di Düsseldorf ha sospeso l’assegnazione del prestigioso «premio Heine», vinto quest’anno da Handke. Lo scrittore è sotto accusa per essere andato al funerale di Milosevic e per essere filoserbo. Handke si è difeso accusando: «Basta incriminare solo i serbi, parliamo di tutti i crimini se vogliamo che la storia che nei Balcani non passa mai, cominci finalmente a passare». Che ne pensi?
Fatta naturalmente chiarezza sui crimini di Ratko Mladic e Karadzic che sono orrendi e sulle responsabilità di Milosevic, il caso che riguarda Peter Handke è importante perché prima di tutto appare come un modo per scaricare la coscienza dell’Europa dalle sue responsabilità. Come dimenticare infatti che la Federazione jugoslava è stata lasciata affondare proprio dall’Europa, perché l’allora premier Markovic aveva tentato di tenerla insieme aspettando un’apertura di credito, anche politico, proprio dalla Comunità europea. Mentre quando la spaventosa guerra interetnica è partita, sappiamo benissimo che dall’Europa invece sono venuti riconoscimenti intempestivi delle indipendenze su base etnica di Slovenia e Croazia, immediate da parte della Germania e del Vaticano – cosa di cui papa Wojtyla alla fine, se ben ricordo, fece in parte ammenda.
Poi ci sono i crimini compiuti dai leader delle altre «etnie», di cui nessuno parla. Silenzio su Franjo Tudjman, ipernazionalista xenofobo e revisionista storico, grande alleato dell’Occidente, già generale di Tito quindi perfino ex uomo della nomenklatura del regime, diventato poi di estrema destra al punto di riabilitare il cardinale Stepinac e gli ustascia – ci è mancato poco che andasse a recupare il corpo di Ante Pavelic. Le colpe e i crimini non sono solo dalla parte serba, ma anche croata e musulmana. Peter Handke ha ragione, e non citare mai le responsabiltà degli altri è una operazione non pulita. Bisogna abbandonare la pratica di coprire un massacro con un altro. Bisogna individuare le responsabilità precise, ma di tutti. Ho un amico – madre serba e papà croato – che molto emotivamente a una mia domanda sbottò: «E’ una guerra fra cattivi e pessimi».
Il fatto è che a Peter Handke rimproverano proprio i suoi dubbi sui riconoscimenti del 1991, quando domandò alle cancellerie europee perché consentissero alle autoproclamazioni di stati che si dichiaravano indipendenti sulla base di identità etniche quali la «slovenicità». Ma la risposta fu il riconoscimento delle divisioni fino alla loro statualità legittimando la guerra interetnica scatenata per raggiungere l’indipendenza…
Sono totalmente d’accordo. Infatti c’erano interessi strumentali degli stati europei quanto ad aree di influenza, che li ha spinti in questa direzione. Garantire l’ingresso unitario della Federazione jugoslava avrebbe favorito il permanere dell’entità «jugoslava», con milioni di persone legate a famiglie miste, con una lingua unica e bellissima, il serbo-croato, con interessi economici necessariamente eguali anche se, come in tutta l’Europa occidentale, fortemente contrapposti tra un nord e un sud interni. Era una convivenza quella della Federazione jugoslava necessaria anche per la nuova Europa che cominciava a nascere. E invece…
Certo, la questione resta complessa, perché insieme alle responsabilità dell’Europa impegnata nei Balcani a dividere invece che ad unire, ci sono anche le responsabilità del passato regime di Tito. C’è l’irrisolta questione del difficile equilibrio tra vari «diritti nazionali» con corrispettivi «diritti di veto», e il mancato approfondimento delle responsabilità degli ustascia, dello stato fascista croato. Comunque l’Europa si è comportata in modo ignobile con vari paesi europei che hanno fatto i loro affari con la devastazione della Jugoslavia. E non vorrei che l’operazione su Handke, un intellettuale scomodo e problematico che non ha mai scritto glorificazioni di Milosevic, servisse proprio per chiudere tutta la vicenda scaricando solo su Milosevic e su quattro tagliagole serbi l’intera vicenda, cosa che farebbe molto comodo a un’Europa che continua a non voler fare i conti con se stessa. Così continuiamo a tenerci dentro la malattia della menzogna, perché pensiamo di sfangarla … Come quando viene ripetutamente lanciata l’operazione delle foibe fino a dimostrare che l’Italia fascista fu la vittima. Nessuno va a inginocchiarsi nei villaggi africani davanti agli orrori del generale Graziani o, appunto, nei villaggi dell’ex Jugoslavia davanti alle lapidi dei civili e dei partigiani massacrati dalle camicie nere. Tutto dimenticato, la pulizia etnica ordinata da Mussolini, il lager di Arbe, quello di Jasenovac dove quasi 500.000 serbi sono stati massacrati dagli ustascia croati. Era l’imperativo del nazismo: le popolazioni slave dovevano essere liquidate o schiavizzate.
E’ giusto celebrare i morti innocenti che nelle foibe ci sono stati, ma capire anche quali sono le principali responsabilità: non si può riabilitare il fascismo attraverso le foibe. Lo stesso meccanismo viene usato per l’ex Jugoslavia. E’ stata solo colpa di Milosevic – dimenticando i suoi saldi rapporti con gli Usa -, i tagliagole al suo soldo e ai suoi ordini hanno fatto tutto, le altre milizie «etniche» armate sono perfettamente a posto. Temo che così abbiamo creato altri «problemi», se non altri rigurgiti di odio… e di guerra.
Wim Wenders ha difeso Handke ricordando ai tedeschi che è incredibile che quelli ai quali è stata risparmiata l’accusa di «colpa collettiva» verso il nazismo, diventino gli accusatori di un intero popolo, i serbi…
Ha ragione: la Germania ha avuto sì il processo di Norimberga ma dopo gli è stata data fiducia illimitata, al punto che abbiamo una delle democrazie più forti. Allora lo stesso va fatto con la Serbia, anche se il paragone non tiene neanche quanto a colpe. L’argomento di Peter Handke ha grande dignità se lo si legge in profondità, non ideologicamente. Il suo libro Viaggio in inverno parte proprio dal presupposto di salvare l’innocenza del popolo serbo, anche dall’ignominia dei luoghi comuni che lo vogliono colpevole di tutto. Ma attaccare un intellettuale, metterlo alla gogna, non serve a niente. E’ polvere mediatica. Non serve neanche a colpire Peter Handke la cui autorevolezza intellettuale e la cui capacità di leggere problematicamente la sua società e l’Europa è secondo me più forte di tutti questi boicottaggi. L’isolamento – parlo solo di isolamento mediatico culturale – può sembrare giusto per i negazionisti alla Irving. Ma il problema resta se non si vanifica il discorso negazionista nella fattività sociale. Noi non possiamo mettere in galera Irving, eppoi vivere in un paese dove i nazifascisti partecipano da protagonisti nella coalizione di centrodestra che si presenta alle elezioni. Colpire Handke, vuol dire colpire la problematicità di pensiero.
Per nascondere verità fastidiose. Come il fatto che la Serbia accusata di pulizie etniche, vive con un milione di profughi cacciati da Bosnia, Krajine croate e Kosovo. Mentre si plaude alla nascita di piccole patrie, il Montenegro e tra poco il Kosovo…
Tutta gente che vivrà e crescerà in un totale risentimento. Convinti di essere le vittime, oltretutto pugnalate alla schiena da quell’Occidente del quale si considerano da sempre parte. Peccato che Versailles non abbia insegnato niente. Sono stato con Paolo Rumiz in un monastero serbo protetto dalle truppe italiane. Sono i luoghi, raccontano i monaci, dove durante le catastrofi di tutte le guerre hanno sempre accolto tutti, anche albanesi e musulmani. Ho sofferto enormemente a vedere come sono ridotti e considerati i serbi. Perché i serbi sono fra i pochissimi che hanno messo i loro corpi, letteralmente, tra i nazisti e gli ebrei. Siamo alle solite, c’è la pace di Dayton, e tutto è fatto sempre con il solito meccanismo. Le responsabiltà profonde della comunità internazionale, le ragioni per cui è accaduto, una analisi articolata e problematica anche con un confronto vero – come chiede Peter Handke – non c’è. Perché per esempio l’Onu non è in grado di intervenire a monte invece che a valle? – tra l’altro con interventi fallimentari. Perché ci vuole sempre lo sceriffo che faccia vedere che è meglio se lui è il padrone del mondo, così tutto va a posto? L’operazione contro Handke mira ad imbavagliarci. C’è ormai una malattia assai diffusa: non c’è più l’ascolto e la dignità dell’argomento. Se critichi la guerra in Iraq sei subito antiamericano, se critichi la guerra alla Jugoslavia sei immediatamente filoserbo.
Non sarebbe ora che l’Italia e l’Europa ripensassero a quel che è accaduto nei Balcani comprese la guerra «umanitaria» decisa dalla Nato, senza l’Onu, e con tante vittime civili?
E’ assolutamente necessario. E devono smetterla di tapparci la bocca con il fatto che i bombardieri americani hanno impedito che venissero uccise migliaia di persone se poi quei bombardieri hanno ucciso migliaia di persone. Possiamo continuare con un mondo nel quale sono gli americani a decidere chi va bene e chi no? Non si può andare avanti così perchè i risultati poi peseranno tra una generazione. E potrebbero scatenarsi i mostri.