Perde Vendola: «E’ la fine di Rifondazione»

Parla di «plebeismo culturale», di un partito in mano a «un guazzabuglio di culture minoritarie». Ci va giù duro Vendola, che – entrato papa in conclave – ieri ha visto la sua fumata nera, anzi nerissima. Fallite tutte le mediazioni, il comitato politico nazionale del Prc ha infatti eletto a maggioranza Paolo Ferrerò segretario del partito (142 favorevoli, 134 contrari). Il ribaltone, al congresso di Rifondazione terminato ieri a Chianciano, è avvenuto nella notte di sabato quando l’ex ministro ha messo insieme l’union sacrée degli anti-ber-tinottiani, alleandosi con i rappresentanti della mozione tre Pegolo-Giannini (titolo: «Per rilanciare il conflitto sociale») e della mozione quattro di Bellotti (titolo «Per la falce e il martello»). Parole d’ordine: attacco al Pd e svolta comunista. Per Vendola si è materializzato il dramma politico. E a quel punto, non avendo più i numeri, il governatore della Puglia ha ritirato la sua candidatura, annunciando che darà vita a una corrente: «Compagni della mozione due ci vediamo nell’area politico-cultiira-le “Rifondazione per la sinistra”». E la sconfitta più dura per i bertinottiani («Considero questo congresso come la fine di Rifondazione» ha tuonato Vendola), che per la prima volta nella loro storia sono minoranza nel partito. Fausto – riferiscono i suoi – si è detto «deluso», «sconcertato» per il livello culturale espresso dal congresso: «Plebeismo» è la parola che anche l’ex presidente della Camera ha usato più volte. E come se il suo lavoro di questi anni non fosse servito a nulla. Ora,dalla sua rivista e dal centro studi che a ottobre terrà a battesimo, darà sponda alla battaglia interna di Nielli. Anche perché i suoi non entreranno nei gruppi dirigenti: «Nessuna compromissione» ha affermato Vendola.
Lo schiaffo è arrivato quando l’ex capogruppo al Senato Russo Spena, nella tarda mattinata di ieri, ha letto il documento che sarà alla base della “nuova stagione” di Rifondazione. Ogni capitolo,dicono gli uomini di Bertinotti, porta indietro l’orologio della storia. E primo, ad esempio: «Superare la collaborazione organica col Pd»;o il secondo: «Svolta a sinistra del Prc». Per non parlare di quello dal titolo: «Collaborazione con i movimenti comunisti e rivoluzionari». È davvero troppo per chi ha fatto una battaglia per portare il partito al dialogo con D’Ale-ma, in nome di un «nuovo centrosinistra» e ora si ritrova come interlocutore Diliberto. Alfonso Gianni, fedelissimo di Bertinotti, è di umore plumbeo: «Si retrocede su tutta la linea – spiega -. Ferrerò e i suoi si sono rinchiusi nel fortino del Prc e parlano di una non ben definita forza comunista e anticapitalista. E invece bisognerebbe dire come si ricostruisce la sinistra». L’ex ministro ha concesso, e non poco, alle minoranze interne, decisive per cucire la maggioranza che lo ha portato alla guida del partito. All’Area dell’Ernesto di Fosco Giannini (7,7 per cento) che esulta: «Siamo noi i veri vincitori del congresso. Ferrero ha fatto sua la nostra linea di unità dei comunisti». Lui (guai a chiamarlo trotzkista, visto che si definisce orgogliosamente «leninista») in questi mesi ha alzato le barricate rispetto all’idea di andare oltre Rifondazione, promuovendo pure una contestazione di Giordano&Co davanti a via del Policlinico: «Altro che costituente di sinistra. Dobbiamo dar vita alla costituente comunista col Pdci e con tutte le forze anticapitaliste» dice Giannini. E il Pd? «Assolutamente nessuna alleanza». Ferrero ha concesso molto anche all’altra minoranza di Bellotti (32 per cento) che, invece, si definisce orgogliosamente «trotzkista»: una “verifica” col Pd negli enti locali. Spiega Bellotti: «E passato il nostro criterio. In molte amministrazioni il Pd esprime politiche che noi contrastiamo da sempre.
Ogni accordo futuro andrà verificato. E finita ogni forma di subalternità a un partito che è stato considerato la brutta copia dei Ds, che a loro volta venivano considerati la brutta copia del Pei. Il Pd è invece fuori dalla sinistra».
La scissione non ci sarà, almeno per ora: «Noi abbiamo fatto la storia di questo partito, non ce ne andiamo» afferma l’ex capogruppo alla Camera Migliore. Ma il “piano b” non è ancora chiaro: «Ci riprendiamo il partito dopo le europee. Tanto Ferrerò non lo vota nessuno» dice un ber-tinottiano di rango. Ammesso che ci sarà ancora un qualcosa da riprendere.