Perché si licenzia Granisci per assumere Olof Palme?

Il progetto – espresso in modo chiaro da Bertinotti, Alfonso Gianni, Sentinelli ed altri – di andare “oltre Rifondazione Comunista” e costruire un nuovo partito di sinistra, si ricongiunge con quello occhettiano della “Bolognina” recuperandone i due elementi essenziali: da una parte la cancellazione dell’identità e dell’autonomia comunista, dall’altra la costruzione, su quelle macerie, di un partito socialdemocratico di sinistra. Come dire: dal Pds di Occhetto alla “cosa rossa” di Bertinotti attraverso la liquidazione di due partiti comunisti ( Pci e Prc).
Attorno a questa non secondaria questione il dibattito è stato solo, per ora, di natura politicista. Gli argomenti forti (perché un partito comunista non deve più esistere nel nostro Paese? Che cosa lo sostituisce, nello scontro di classe?) non sono stati posti.
Le argomentazioni vagamente portate (occorre andare oltre il Prc ed unire la sinistra perché vi è il rischio che essa scompaia; oppure: il rischio della vittoria delle destre è grande, dunque occorre unirsi) più che il prodotto di un’analisi strutturale sembrano l’ulteriore frutto di un’antica attitudine della sinistra: l’utilizzo di escamotages volti a cambiare la natura di un partito di classe senza turbare più di tanto gli iscritti e la base militante.
Vi sono stati diversi casi di questo tipo: negli ultimi anni dell’800 la socialdemocrazia tedesca, per superare la propria natura anticapitalista, dichiara la fine del ruolo storico della Comune di Parigi, da cui occorreva prendere le distanze. In verità, quella socialdemocrazia prendeva le distanze da se stessa per avviare la propria mutazione. Negli anni ’80, in Italia, Enrico Berlinguer afferma che “si è esaurita la spinta propulsiva della Rivoluzione d’Ottobre”. L’affermazione si sarebbe rivelata un cavallo di Troia, attraverso il quale non sarebbe passata un’analisi severa delle degenerazioni del socialismo realizzato volta al rilancio di un progetto rivoluzionario in Occidente; sarebbe passato un ulteriore processo di socialdemocratizzazione del PCI.
Quando nell’89 cade il Muro di Berlino, Occhetto avvia la “Bolognina”: le macerie del Muro sono solo un alibi per superare definitivamente il Pci, già corroso al suo interno da una profonda mutazione politica e culturale.
Oggi sono ambigue le motivazioni con le quali si vuole andare “oltre” Rifondazione Comunista e l’esigenza di unire la sinistra non è un argomento sufficiente, di per sé, a cancellare l’esperienza comunista in Italia.
C’è qualcosa che non và. Che non si ammette. Che si omette.
Bertinotti non ammette il fatto che andare “oltre” Rifondazione, in verità, non risponde solo all’esigenza dell’unità a sinistra (unità necessaria, ma che si può perseguire senza cancellare il Prc); essa appare, piuttosto, la conseguenza dell’intero processo di decomunistizzazione che ha investito il Prc tramite l’opera dell’attuale Presidente della Camera e del suo gruppo dirigente. Con la chiusura di Rifondazione Comunista, insomma, Bertinotti conclude il suo lavoro, che trova forma compiuta in una nuova forza socialista.
Ciò che con Alfonso Gianni e Bertinotti altri dirigenti del Prc non ammettono (usando la formula ambigua: la “cosa rossa” non è il superamento di Rifondazione) è che la fine dell’autonomia del Prc non chiude solo la storia del partito comunista ma, insieme (e l’affermazione non appaia solo tautologica), anche l’ambizioso e necessario progetto di rifondare un pensiero ed una prassi rivoluzionari. Poiché è del tutto evidente che se tale progetto (ambizione originaria del Prc) non è riuscito in un regime di totale autonomia politica e culturale, non può certo riuscire in un regime in cui l’autonomia comunista si dissolve in un partito di sinistra che tutto potrà fare meno che porsi il problema di attualizzare e riproporre un movimento comunista e rivoluzionario all’altezza dei tempi e dello scontro di classe.
Ciò che i liquidatori rimuovono è che non sarà possibile costruire dalle ceneri del Prc una forza di sinistra anticapitalista assieme a compagni “mussiani” che dichiarano l’obiettivo strategico del bipolarismo; che, per le pensioni, si dichiarano d’accordo con la controriforma pensionistica di Padoa Schioppa, che peggiora persino la legge Maroni; che, al contrario del Prc, erano (silenti) col governo D’Alema che bombardava la Jugoslavia; che guardano ancora all’Internazionale Socialista come punto di riferimento; che non possono vedere, per loro cultura, le pulsioni imperialiste dell’Unione europea e che per questo sostengono la formazione dell’esercito europeo.
I liquidatori del Prc, essenzialmente, non ammettono che la fase internazionale è segnata dalla competizione globale, che i rapporti di forza tra capitale e lavoro non pongono all’ordine del giorno una via neokeynesiana e che, dunque, la presenza dei comunisti e delle forze di sinistra d’alternativa in un governo, come quello Prodi, votato ad un liberismo temperato, è particolarmente difficile, contraddittoria e, infine, sbagliata. Il paradosso è che, specularmene al Partito Democratico, anche la “cosa rossa” sembra invece costituirsi non solo all’interno del governo, ma assumendo anche l’inclinazione governista (perché socialdemocratica) dell’ex sinistra diessina. Mentre è del tutto evidente che siamo oggi nell’esigenza di rilanciare un lungo ciclo di lotte sociali contro le politiche interventiste e di guerra e in difesa dei diritti dei lavoratori, volte ad un cambiamento dei rapporti di forza sociali.
Ciò che i liquidatori omettono è che l’Europa ha già visto, negli ultimi anni, esperienze di saldatura a sinistra finite male per i comunisti e le forze anticapitaliste.
Ci riferiamo all’Izquierda Unida in Spagna, dove i comunisti versano in grave crisi; all’esperienza del Sinaspysmos greco, sfociata in una violenta scissione tra comunisti e socialdemocratici, che ha indebolito l’intera sinistra greca; all’Alleanza di Sinistra finlandese, finta in rissa appena i comunisti hanno posto agli alleati di sinistra di proseguire, anche dal governo, la lotta contro la Nato. Crediamo che la cultura comunista contenga in sé, attraverso l’analisi marxiana, la più efficace griglia di lettura del capitalismo e che attraverso il progetto strategico del superamento dei rapporti capitalistici di produzione – che la Rivoluzione d’Ottobre ha dimostrato, una volta per tutte, non naturali, ma storicamente superabili – si presenta come l’idea più conseguentemente rivoluzionaria e più funzionale alla liberazione degli sfruttati.
Nel ‘900, assieme alle grandi e universali vittorie del movimento comunista, abbiamo visto anche gli errori e le profonde distorsioni del socialismo realizzato. Che hanno posto il problema, da sviscerare nella ricerca teorica e nella lotta – come oggi si fa in Venezuela – della democratizzazione del potere rivoluzionario, della forma partito, dell’unità con i movimenti.
Ma perché, da un problema storicamente postosi, vi è chi vuol cancellare Gramsci per assumere Olof Palme, rischiando di finire con Saragat ?