Il dirigente politico palestinese più importante assassinato da Israele da quando è scoppiata la seconda intifada è Abu Ali Mustafa, il leader di una delle formazioni storiche della sinistra dell’Olp, il Fronte popolare per la liberazione della Palestina (Fplp). E’ significativo che Israele abbia colpito così in alto, al cuore della sinistra palestinese che pure, nell’Intifada in corso nei Territori occupati, ha avuto una posizione più marginale rispetto ad Al Fatah o ai movimenti islamici Hamas e Jihad. E’ una strategia che dietro la motivazione pubblica di voler eliminare “i responsabili di atti di violenza e terrorismo”, nasconde con ogni probabilità la volontà di provocare il collasso dell’Autorità nazionale palestinese di Yasser Arafat e colpire le componenti della sinistra dell’Olp, lasciando invece intatte le strutture dei gruppi islamici più radicali che pure sono stati responsabili di attentati sanguinosi in Israele.
Era accaduto lo stesso negli anni precedenti alla prima Intifada (1987-’93), quando i comandi militari israeliani sbattevano in prigione i palestinesi militanti nei gruppi politici laici e invece chiudevano un occhio, anzi tutti e due, di fronte all’attività di propaganda dei Fratelli Musulmani a Gaza e in Cisgiordania, allo scopo di minare le basi del consenso popolare all’Olp. E’ evidente che il primo ministro israeliano Ariel Sharon sogna di eliminare la Anp, l’Olp, la sinistra, in definitiva il nazionalismo laico palestinese – che pure è l’unica parte con cui Israele può raggiungere un compromesso – perché preferisce combattere la sua guerra contro il diritto all’indipendenza e alla libertà del popolo palestinese lanciando alla fine le sue armate verso Hamas e Jihad. Sapendo che quel giorno avrà dalla sua parte tutto il mondo occidentale antislamico che invece oggi continua – si ostina, dice Sharon – a parlare e dialogare con Yasser Arafat.
Gli anni ’90 sono stati difficili per la sinistra palestinese. La fine del mondo bipolare, la crisi, anche in Medio oriente, delle ideologie laiche e la crescita di movimenti politici di chiaro orientamento islamico, hanno messo a dura prova il Fronte popolare, il Fronte democratico e il Partito comunista (oggi Partito del popolo). Più di tutto ha giocato a sfavore della sinistra la sua incapacità di offrire alla popolazione palestinese una soluzione politica alternativa, e allo stesso tempo realistica, agli accordi di Oslo firmati da Arafat con Israele nel 1993. Il Fronte popolare e il Fronte democratico, un po’ meno gli ex comunisti, avevano brillantemente intuito i pericoli per le aspirazioni palestinesi contenuti negli accordi di Oslo. Allo stesso tempo, dopo il 1993, non sono andati oltre la denuncia di quelle intese che, come si è visto, sono naufragate sui nodi del conflitto: il diritto al ritorno nella loro terra per i profughi palestinesi, Gerusalemme, il controllo delle risorse naturali. Non hanno saputo inoltre contrapporsi efficacemente alla crescita dei movimenti islamici che, se da un lato combattono contro Israele dall’altro negano il laicismo ed i diritti delle donne palestinesi.
Abu Ali Mustafa, privo del carisma del fondatore del Fplp, George Habbsh, ora anziano e ammalato, in verità non aveva messo in mostra le qualità necessarie per guidare la transizione politica del suo gruppo verso una più attiva partecipazione alla vita politica e sociale palestinese del dopo-Oslo mantenendo allo stesso tempo una posizione di fermezza contro gli accordi firmati da Arafat. In acque agitate hanno navigato anche i leader del Fdlp, tuttavia più inclini di Abu Ali Mustafa a trovare un compromesso con Arafat e Israele.
L’esplosione dell’Intifada contro l’occupazione, esattamente 11 mesi fa, ha rimesso in moto la società palestinese e tutti i movimenti politici. La seconda rivolta contro Israele ha ridato slancio ad una sinistra caduta nell’oblio, alla ricerca da troppo tempo di una sua identità. Si sono riveste le bandiere rosse, tante, alle manifestazioni e, purtroppo, ai funerali dei quasi 600 palestinesi uccisi sino ad oggi. Gli uffici, soprattutto del Fronte popolare si sono di nuovo affollati di giovani e soprattutto si è riaperto il dibattito sulle fondamenta laiche e democratiche da dare al futuro stato di Palestina. Anche nella lotta armata la sinistra palestinese ha mostrato una strada diversa. Non quella degli attacchi indiscriminati, con le bombe umane contro civili israeliani innocenti, condotta dai gruppi islamici, ma invece azioni contro le forze armate israeliane che occupano i territori dello Stato di Palestina. Ariel Sharon ordinando l’assassinio di Abu Ali Mustafa, ha creduto di liberarsi di un altro dirigente politico palestinese esaltando allo stesso tempo il potenziale bellico e tecnologico del suo paese. Rischia adesso di ritrovarsi di fronte una sinistra palestinese più motivata, decisa ora più che mai a far sentire il suo peso nella lotta di liberazione.