Il direttivo nazionale di Rifondazione comunista inscena un processino alla guida di Fausto Bertinotti, con attacchi non proprio da fair play. Ma la linea del presidente della Camera tiene botta e appare chiara. Crede onestamente – a differenza dei più all’interno della sinistra – al dialogo tra Berlusconi e Veltroni: per questo li asseconda e si presenta come il loro alleato più affidabile. Obiettivo comune la riforma elettorale proporzionale. Secondo il ragionamento di Bertinotti, questo sistema garantirebbe autonomia politica al partitone della sinistra e sarebbe anche determinante per il processo unitario della Cosa rossa. Un solo ostacolo si frappone tra il subcomandante Fausto e l’agognato proporzionale: Romano Prodi. Così il presidente della Camera è pronto a mollarlo e ad appoggiare un governo istituzionale che porti alla riforma. Anche rinunciando alla delegazione dei ministri. Nell’attesa rinvia il Congresso del Prc.
Roma. Fausto Bertinotti è il migliore alleato del CaW (Cav. + W), almeno per adesso. A differenza di molti all’interno del suo stesso partito, il presidente della Camera crede all’onestà dell’accordo tra i due leader e lo condivide per ragioni di merito e di metodo. Lo ha confessato, privatamente, a più persone. La legge elettorale proporzionale – che gli è stata già sottoposta sotto forma di testo scritto – secondo il suo ragionamento spingerebbe all’aggregazione della sinistra, restituirebbe autonomia alla Cosa rossa e, infine, libererebbe il quadro politico “ingolfato da un bipolarismo fallimentare”. A rendere l’idea, condivisa dai dirigenti a lui più vicini, ci pensa il ministro Paolo Ferrero: “Basta parole e incontri privati – dice al Foglio – sulla legge elettorale cominci subito l’iter parlamentare”. Un invito alla carica che suona più o meno come “avanti con chi ci sta”(lo ha detto ieri il senatore Milziade Caprili), anche a costo di pensionare Romano Prodi. Tuttavia i giochi sono rimandati a gennaio, mese in cui la Corte costituzionale si esprimerà sul referendum elettorale (ultramaggioritario). Per adesso Bertinotti deve fare i conti nel partito con l’arrabbiatura delle minoranze e di parte della sua stessa maggioranza. Lui temporeggia, tuttavia esistono malumori profondi. E ieri, nel corso della direzione nazionale, non sono stati risparmiati attacchi anche feroci. Ramon Mantovani, che della maggioranza fa parte, a un certo punto ha preso la parola e l’ha messa giù dura: “Abbiamo fallito. Forse sarebbe stato meglio avere un ministro del Lavoro anziché – stoccata a Bertinotti – un bel presidente della Camera”.
Il sub comandante Fausto controlla ancora il Prc e ha gli uomini giusti nei posti chiave, tuttavia il malcontento cresce. Per questo gioca d’azzardo puntando tutto sulla Cosa rossa e la riforma tedesca: gli strumenti che gli consentirebbero di sedare sia i mugugni interni sia quelli esterni (di Verdi e Pdci). D’altra parte, pungolato, il capogruppo al Senato, Giovanni Russo Spena, finisce per ammetterlo: “La riforma tedesca favorirebbe l’aggregazione”. Così adesso Bertinotti si sarebbe orientato verso il rinvio del congresso (previsto originariamente a marzo) e contemporaneamente avrebbe smesso di considerare Romano Prodi come un idolo intangibile. Un po’ lo aveva annunciato mesi fa, quando disse che “se cade Prodi c’è un governo istituzionale”. Ma ieri il segretario, Franco Giordano, ha posto le basi politiche per il pensionamento del premier: “Per noi la verifica a gennaio – ha detto Giordano – va parallelamente con la legge elettorale”. Ovvero, tradotto: “Al governo ci si sta solo se la riforma elettorale è quella che va bene a noi”. Le elezioni anticipate non sono un’opzione praticabile, ma un governo istituzionale che faccia la riforma (anche senza ministeri per il Prc) non dispiacerebbe affatto. Con buona pace di chi, come Mantovani, dice che “una riforma elettorale con questi presupposti è una merda”.
I toni ultimativi, nel partito, appartengono solo agli arrabbiati (con Bertinotti). I dirigenti, fidati, si esprimono invece in maniera vaga (ufficialmente) e lasciano aperte tutte le ipotesi che dividono i cuori dei rifondaroli: sia sull’unità a sinistra sia sul rinvio del congresso. La parola che spiega tutto è “temporeggiare”. In realtà sembra che entrambe le decisioni siano state prese. Ai bertinottiani appaiono infatti chiarissime nelle loro conseguenze politiche. Per questo l’unità della sinistra va fatta subito, come si è detto, mentre il congresso (di marzo) va rinviato. Una scelta, quest’ultima, che serve a evitare alla dirigenza del partito di presentarsi da sconfitta di fronte ai delegati. Infatti un’assemblea congressuale all’indomani della vittoria sulla legge elettorale, e con il partitone della sinistra praticamente fatto, avrebbe il potere di allontanare il ricordo della sconfitta subita sul welfare, sulla politica estera (e forse sulla sicurezza). D’altra parte Giordano non ha proferito alcuna parola definitiva, come invece ci si aspettava, se non sulla riforma elettorale e su Romano Prodi. Al presidente del Consiglio un colpo di mannaia in fronte: “Dice che farà il garante della riforma? Mi pare troppo tardi”.