Perché hanno fallito gli intellettuali islamici d’Europa

A colloquio con Mohammed Chaib, saggista, deputato islamico al parlamento catalano, esperto d’immigrazione. Punta l’indice contro chi ha preferito parlare ai media occidentali piuttosto che cercare il dialogo con le comunità musulmane

«Quando è arrivata la televisione francese ad intervistarmi ho chiesto ai giornalisti se in un paese come la Francia, da anni popolato da migliaia di musulmani, era stato eletto qualche deputato islamico. Mi hanno risposto di no, che non ce n’erano e che per questo motivo volevano parlare con me.» Chi sottolinea questa situazione di grave emarginazione che vivono gli immigrati in Europa, anche quelli della cosiddetta prima generazione, è Mohammed Chaib, primo deputato del parlamento catalano di origine araba e musulmana, e unico islamico presente in una assise parlamentare europea insieme ad un deputato britannico. Chaib, nato a Tangeri nel 1962, autore di libri come la biografia Enlloc com a Catalunya (Rustica, pp. 136, euro 14,00) e Etica para una convivencia (Esfera de los libros, pp. 368, euro 22, pubblicato in spagnolo, catalano e arabo), entrambi disponibili presso il sito www. casadellibro. com, ha preso parte al recente convegno su “Immigrazione: ricchezza e problema. Spagna e Italia, soluzioni a confronto”, tenuto sabato scorso a Novi Ligure, accogliente cittadina a metà strada tra il mare della Liguria e le colline piemontesi, che ormai da anni ospita iniziative culturali organizzate dall’autorevole rivista Spagna contemporanea. Il seminario ha ospitato studiosi spagnoli, catalani e italiani ma certamente su Mohammed Chaib, proprio per il fatto di essere un deputato europeo islamico, si è incentrata la nostra attenzione.
La sua vita è quella di un figlio di immigrati: «Avevo quattro anni quando sono arrivato in Catalogna con i miei genitori – dice Chaib – ma quando, nel 1975, mio padre fu costretto a tornare in Marocco, venne a sapere che, una volta uscito, non poteva più ritornare a causa di problemi politici insorti in quel momento tra Madrid e Rabat.» Terminate le scuole superiori a Tangeri, dove apprende l’arabo, a quel punto Mohammed torna a Barcellona dove si laurea in farmacia. Ma in cima ai suoi pensieri c’è il destino di chi è costretto a vivere fuori dal proprio paese «per poter tornare un giorno con del denaro e poter costruire una casa, comprare un’automobile o aiutare la famiglia». Proprio per poter dare un sostegno a queste persone, a lui tanto vicine, fonda nel 1994 una grande associazione umanitaria intitolata a Ibn Batuta, viaggiatore e scrittore del trecento, considerato un Marco Polo marocchino. Poi la scelta di entrare in politica e l’elezione al parlamento catalano nella file del partito socialista.

Chaib affronta a trecentosessanta gradi il grande tema della presenza islamica in Occidente, sintetizzando quanto ha scritto in Etica para una convivencia. Un libro che «pretende essere un apporto reale per comprendere il funzionamento e la realtà della immigrazione nella nostra terra, in Catalogna come in Spagna, nei nostri quartieri e municipi, offrendo proposte che ci aiutino a conoscerci meglio gli uni con gli altri, a favorire il dialogo e a creare un clima ben disposto ad una buona convivenza.» E a proposito di convivenza Chaib non condivide l’atteggiamento dell’Europa nei confronti del velo femminile: «La cosa importante per le donne islamiche – dice il saggista – non è mettere o non mettere il velo, ma poter terminare gli studi. Per questa ragione quello che è successo in Francia è molto grave. Il nostro obbligo in realtà è quello di educare le persone, e formarle in modo tale che quando saranno maggiorenni potranno decidere liberamente.» Proprio per questo il deputato rivendica l’importanza, per il proprio paese, di aver creato il Consiglio islamico e culturale di Catalogna. Un organismo che vede gli imam catalani, e dunque europei, veri intermediari tra le comunità islamiche locali e lo Stato. «Ci sono stati casi di famiglie musulmane, provenienti soprattutto da ambienti rurali, che proibivano alle proprie figlie di terminare gli studi – dice Mohammed – o di padri che non volevano che alle figlie venissero impartite lezioni di ginnastica o di musica, secondo una visione assolutamente falsa del Corano. Di fronte a questi casi è dunque assolutamente importante l’esistenza di una figura, appunto come quella dell’imam, capace di ragionare e di far vedere a queste persone che le cose stanno in un altro modo.» Insomma, per Chaib è doveroso dialogare con le comunità islamiche, anche e soprattutto se si vuole combattere il terrorismo. E a questo proposito non è tenero con quegli intellettuali musulmani ormai ben radicati in Europa, che hanno scritto molti libri, spesso invitati nei tanti dibattiti televisivi: «Avevano nelle loro mani una carta importante da giocare – dice lo scrittore – è non l’hanno giocata. Potevano mediare tra le comunità musulmane e la società europea e non l’hanno fatto. Non hanno capito che il discorso teorico non è sufficiente e che è necessario tramutarlo in una pratica quotidiana. Hanno invece affrontato tematiche così delicate dal punto di vista di chi vive in Europa da tempo, si considera più preparato e più colto degli altri, più moderno. Un grande errore.»

Durante il convegno Chaib non può non affrontare la questione del terrorismo e degli attentati che hanno colpito la Spagna l’11 marzo del 2004. «Hanno scosso profondamente la società spagnola – sottolinea Mohammed – è quando parlo di società spagnola intendo riferirmi anche a quei musulmani che ne fanno parte. Fu un colpo molto duro e quando mi dissero che erano stati degli islamici che vivevano qui, in un primo momento non volevo crederci. Perché questo odio nei confronti della Spagna? La comunità musulmana soffrì moltissimo per questo tragico evento e temeva, come successe negli Stati Uniti, una reazione violenta degli spagnoli. Ma questi ultimi ebbero invece un comportamento esemplare, sapendo separare molto bene il terrorismo dalla comunità islamica.» Mohammed Chaib non esita a mettere in guardia sulle cause che stanno dietro questi attentati: «Nulla giustifica la violenza – scrive in Etica para una convivencia – ma questo non deve impedire una riflessione sui fatti. Abbiamo saputo che tra questi giovani terroristi alcuni non erano affatto religiosi e avevano giustificato il loro atto con altre motivazioni, in gran misura legate al contesto politico internazionale. Stiamo parlando della Palestina, ma possiamo fare riferimento anche all’Iraq. E in questo momento – ammonisce Chaib – tutto lascia pensare che esiste una volontà chiara di produrre uno scontro di civiltà.»