Perchè gli antiliberisti devono governare coi liberisti?

Il voto in Germania, quasi come il No francese e olandese alla Costituzione, registra il netto affievolirsi della popolarità del “vento privatizzatore”, di quel senso comune – indotto soprattutto dal cambio di campo di gran parte della sinistra – del genere “privato è bello, pubblico è corrotto e scialacquatore”. Tali risultati elettorali fotografano un nuovo stato d’animo popolare che rivaluta il “pubblico”, che tiene assai, malgrado il disfattismo antipopolare della sinistra liberista, alle strutture sociali conquistate con tante lotte, ai “beni comuni”, ai diritti del lavoro, seppure salariato.
Così, la maggioranza del popolo francese e di quello olandese si è ribellata ad una Costituzione che santificava il liberismo, la disgregazione delle strutture pubbliche e la concorrenza selvaggia nel mercato del lavoro; e tanti tedeschi hanno rifiutato non solo il liberismo senza veli di Cdu-Csu ma anche quello più “morbido” di Schroeder, costringendolo, in una campagna elettorale trasformista, a cambiare rotta, a parole, almeno di novanta gradi ed in ogni caso premiando la campagna in difesa del “pubblico” e dei diritti sociali e del lavoro del Linkspartei.

Si può dunque comprendere lo sconcerto di tanta parte del mondo politico e dei mass-media qui da noi: dopo la Francia e l’Olanda neanche la Germania sembra amare il “vento liberista”. C’è però un aspetto del voto tedesco che, tra le fila della sinistra antagonista, merita un approfondimento: ed è quello riguardante le posizioni del Linkspartei e in particolare di Lafontaine e i riflessi/analogie su/con la situazione italiana e il nostrano centrosinistra.

Scorrendo le interviste a Bertinotti (ma anche l’articolo su “Liberazione” del responsabile esteri del Prc Gennaro Migliore), si potrebbe concludere che, essendo il Prc e il Pds tedesco affratellati nel Partito della sinistra europea e in quella “sinistra alternativa” che Bertinotti distingue da quella “riformista” (ma a quali “riforme” si allude? I Fassino-D’Alema praticano le “controriforme”!), i due partiti si stiano muovendo sulla stessa linea.

E invece la linea Lafontaine e quella Bertinotti divergono di 180 gradi proprio sul punto decisivo dei rapporti tra le cosiddette “due sinistre”. Sia nella formazione del nuovo partito, sia nella campagna elettorale, Lafontaine si è contrapposto frontalmente a Schroeder, al suo progetto liberista, alla sua “Agenda 2010” che abbasserebbe le tasse alle imprese e taglierebbe servizi sociali, pensioni, sussidi ai disoccupati. Allo Schroeder che si definiva “cancelliere del centro” e affermava “non esistere una politica economica di destra o di sinistra ma solo una politica moderna”, Lafontaine ha contrapposto la difesa dello stato sociale, delle pensioni, dei salari, del lavoro dipendente. Niente di rivoluzionario, una tradizionale linea socialdemocratica, ma “condita” da un elemento oramai quasi eversivo: il rifiuto di qualsiasi alleanza con la sinistra liberista (non socialdemocratica, quella è rappresentata da Lafontaine), il ripudio di ogni scelta tra incudine (Schroeder) e martello (Merkel), della subordinazione alla governabilità per “battere le destre” o, da noi, “cacciare il puzzone”.

Tutto ciò Lafontaine lo ribadisce oggi. Domanda del giornalista: “Sarebbe meglio un governo Schroeder o Merkel? “. Risposta di Lafontaine: “La differenza tra i due è talmente piccola che non cambierebbe molto per noi, si tratta di sfumature”. Domanda: “Ipotesi di collaborazione con la socialdemocrazia? “. Risposta: “Neanche a parlarne. Per questa legislatura staremo all’opposizione, poi vedremo, dipende da come cambierà la Spd”. E ancora: “A chi mi chiede se preferisco Merkel o Schroeder, rispondo: io guardo ai programmi, tutto il resto è un teatrino assurdo”.

Può darsi che il Linkspartei cambierà: e d’altra parte in passato il Pds ha liberalizzato servizi e lavoro in alcune città e regioni dell’Est ove ha governato. Ma per ora il rifiuto di scegliere tra destra e sinistra liberista, il chiedere consensi ai settori popolari proponendo una battaglia intransigente contro chiunque governerà politiche liberiste, rappresentano una linea opposta a quella che in Italia sta seguendo il Prc, scegliendo l’alleanza di governo, a priori e senza condizioni, con la nostrana sinistra liberista (ripeto: né riformista né socialdemocratica).

Bertinotti, che non può non vedere tale divaricazione, non può giustificarla sostenendo che i Fassino, Prodi, D’Alema sono più a sinistra di Schroeder: sa che quest’ultimo ha almeno tenuto la Germania fuori dall’Iraq (i “nostri” non hanno mosso foglia per il ritiro delle truppe), ha provato a tenere testa agli Usa (i “nostri” riconfermano imperitura fedeltà agli Stati Uniti) e sulle questioni civili non fa da tappetino ai papi o ai Ruini. Dunque, all’unico intervistatore (“La Repubblica”) che gli ha fatto notare la divaricazione, ha risposto che dipende dal fatto che in Italia c’è Berlusconi nonché un poderoso movimento che sta spostando “a sinistra” anche i liberisti “temperati”: per cui in Italia si può fare quello che in Germania Lafontaine considera impossibile, e cioè difendere i settori popolari dal liberismo alleandosi con i liberisti “temperati” (ma davvero Bersani e D’Alema sono più “temperati” di Follini e Casini?).

Ora, il primo argomento non regge perché – parole di Bertinotti all’ultimo Cpn del Prc – “un ciclo politico, economico e sociale, il berlusconismo, è miseramente fallito.. si è consumata l’era di Berlusconi”; perché Berlusconi (che per alcuni aveva instaurato un “regime almeno ventennale”) è considerato un “cane morto” persino dai suoi alleati che stanno cercando di seppellirlo al più presto; e perché, comunque, battere elettoralmente Berlusconi (sempre che sia lui il candidato) non implica fare un governo con la sinistra liberista e per giunta senza condizioni.

In quanto al secondo argomento, non vorrei che Bertinotti pensasse a alibi tipo “se il movimento farà la sua parte, piegheremo i D’Alema-Fassino-Rutelli; altrimenti sarà colpa sua”. Gli effetti sul movimento (comunque lo intendiamo) dell’alleanza con i liberisti e i guerrafondai, del massiccio irrompere della “politica politicante” in ogni ambito di movimento – con il codazzo asfissiante di primarie, alleanze, candidature, nuove e vecchie liste, file di candidati promessi o desiderati – li abbiamo già sotto gli occhi. Mobilitazione infima rispetto al 2001-2003 (quella generale, di massa, unitaria), paralisi del movimento anti-guerra, sforzi immani (che faremo del tutto per portare a buon fine) persino per garantire il 15 ottobre una grande manifestazione anti-Bolkestein.

E come potrebbe tutto ciò migliorare con un bel governo unitario tra liberisti e antiliberisti?