Perché è fondamentale da oggi sino al 17 febbraio recarsi ai banchetti e firmare a favore del referendum contro la riforma costituzionale voluta dal centro-destra? Quali sono, di questo progetto di riforma, gli elementi più pericolosi?
Credo che sia di grande importanza raccogliere queste firme, perché anche attraverso questa via, attraverso l’istanza popolare, dobbiamo raggiungere l’obiettivo.
Questa è una modifica costituzionale molto pericolosa. Sebbene si parli ormai da molti anni, ben prima del 2001, della necessità di modificare la carta del 1948, la storia ha voluto che, concretamente, provvedessero alla modifica della Costituzione forze che sono o del tutto estranee alla sua scrittura oppure nemiche di questa Costituzione.
In mano a loro, quella che è una norma costituzionale (l’articolo 138) finalizzata a modificare non intere parti ma singole norme della Costituzione, è diventata uno strumento per cambiare radicalmente lo spirito costituzionale
Il primo senso che si coglie da questa modifica, che del resto corrisponde largamente alle modifiche della costituzione materiale del nostro Paese negli ultimi anni, è l’emarginazione netta di quello che è, e dovrebbe essere, il soggetto centrale della Costituzione, il lavoro.
E’ una modifica costituzionale ispirata alle esigenze di una società immaginata diversa, rispetto al 1948, nei suoi presupposti fondamentali: una società che si dovrebbe adeguare alle esigenze del mercato globalizzato e che, quindi, come tale, si deve ristrutturare anche a livello istituzionale in nome dell’efficienza del mercato.
Il vecchio principio di uguaglianza viene sostituito da nuove indicazioni: l’efficienza del mercato globalizzato e la competitività, cioè i criteri di fondo di tutta una serie di scelte economiche, politiche, istituzionali.
Questa modifica, tutt’altro che necessaria, si configura invece come un grave arretramento rispetto alle conquiste di grandi ed importanti lotte.
Ogni costituzione può essere cambiata. E ben venga il cambiamento quando si produce sul versante istituzionale un avanzamento, un ampliamento ed un rafforzamento dei diritti.
Ma la direzione intrapresa negli ultimi 10-15 anni, compresa la Bicamerale presieduta da D’Alema, è tutt’altra.
Mi preoccupa, dentro questa ristrutturazione delle istituzioni, la forte centralizzazione del potere in capo all’esecutivo con una corrispettiva marginalizzazione delle istituzioni di bilanciamento e di controllo, a cominciare dal Parlamento, che diviene sede di ratifica della volontà dell’esecutivo.
All’interno della scelta valorizzare fortemente l’esecutivo vi è il rafforzamento del primo ministro, che ha poteri imparagonabili con quelli concessi a figure analoghe in altre costituzioni, compreso il potere di porre la fiducia, con il ricatto dello scioglimento del Parlamento, su singoli provvedimenti di legge.
Dal punto di vista istituzionale è grave che la vecchia scelta della diffusione del bilanciamento dei poteri, dei reciproci controlli, di meccanismi che assicurassero che nessuna istituzione avesse troppo potere ma tutte avessero un ruolo da svolgere in un quadro bilanciato, mi riferisco alla scelta di democrazia assunta nel 1948, sia stata messa da parte per tornare a meccanismi di tipo neoautoritario, plebiscitario e personalistico.
Si tenga inoltre presente che questa modifica della Costituzione è stata approvata a maggioranza, prescindendo da qualunque accordo che, normalmente, quando si scrive una Costituzione, interviene tra una serie di forze.
Nel 1994 Gianfranco Miglio, al tempo in cui la Lega ancora si affidava agli ideologi, lo disse chiaramente: è sbagliato dire che la Costituzione debba essere voluta da tutto il popolo. La Costituzione è un patto che i vincitori impongono ai vinti.
Si profilava allora la vittoria dei Poli del Buongoverno e della Libertà e il sogno di Gianfranco Miglio era che l’asse Lega Nord – Forza Italia, raggiungendo la metà più uno dei voti, potesse imporre al Paese la propria costituzione. Ricordo che Miglio al tempo aggiungeva, con un certo piglio sprezzante: «Poi si tratterà di mantenere l’ordine nelle piazze ».
Questa idea della legge come imposizione del vincitore al vinto è la negazione della democrazia. Ed è stata fatta propria da questa maggioranza di governo. Quando si modifica una costituzione in tempo di pace la regola democratica vorrebbe che ci fosse un concorso di forze e che si tenesse conto di una serie di istanze. Invece in questo caso ci si è mossi per trasformare la “Costituzione del Lavoro” nella “Costituzione dell’Impresa e del Mercato” e per concretizzare una riorganizzazione istituzionale funzionale all’operatività dell’impresa e del mercato.
Il fatto che il popolo, escluso da ogni possibilità di interloquire, evidenzi attraverso le firme l’intenzione di riappropriarsi di una tematica da cui non può essere espropriato mi sembra elemento di grande importanza.
Come si spiega l’incredibile silenzio che circonda questa campagna referendaria, la sottovalutazione dell’importanza di questo appuntamento?
Volendo dare una lettura benevola, direi che probabilmente ci si fa distrarre dalla scadenza delle elezioni politiche. Siccome vi è la necessità di battere queste destre, la scadenza dell’elezione delle Camere assorbe probabilmente ogni attenzione.
Non voglio pensare a disattenzioni o a cose peggiori, anche se va detto che i discorsi sulla modifica della Costituzione, con un certo taglio non di avanzamento dei diritti ma di governabilità efficiente, sono cominciati proprio con la Bicamerale.
Questa lettura, ripeto, benevola è però anche miope, perché se si guardano bene le cose e se si considera importante che queste destre di governo subiscano una sconfitta radicale, allora non si può non vedere che la sconfitta deriverà certamente dalle elezioni, ma il successivo colpo attivabile con il referendum potrà essere decisivo.
In altri termini: se le elezioni politiche possono essere la fine di Berlusconi e del berlusconismo, il successivo referendum può essere lo scompaginamento ulteriore dell’attuale alleanza di governo: basti pensare alla Lega, che non è più quella che era fino al 1998 (la secessione, il Dio Po, le valanghe di ingiurie contro Berlusconi) nella misura in cui ha ottenuto, andando al governo, la devolution e cioè un regionalismo irrazionalmente e pericolosamente rafforzato.
Se una volta al governo la futura maggioranza cancellasse la Bossi-Fini e sconfiggesse con il referendum il progetto di revisione costituzionale, si potrebbe produrre uno sconquasso enorme anche sulla Lega Nord.
Se si vogliono sconfiggere queste destre, è allora necessario pensare ad un’accoppiata: la scadenza elettorale più la scadenza referendaria.